Sta per compiere cento anni uno
dei miti della nostra generazione, volto di un'America che amiamo.
«Ero nemico dei maccartisti - dichiara - oggi lotto contro ogni
razzismo»
I cento anni di Kirk
Douglas: sogno come Don Chisciotte
Intervista di Giovanna Grassi
Los Angeles. «Spartacus» ha quasi cent’anni, li compirà il 9 dicembre e oggi è fiero soprattutto dei libri che scrive. Nulla ha sconfitto Kirk Douglas, l’interprete maschile premiato dall’Oscar (alla carriera, 1996) più anziano e ancora vivente e che la Ucla (l’Università di Los Angeles) celebra con la retrospettiva Kirk: A Centennial Celebration all’Hammer Museum’s Billy Wilder Theater.
Kirk non si arrende, con la moglie Anne Buydens, sposata nel 1954, è attivissimo in campo filantropico, va a Downtown portando da mangiare a chi ne ha bisogno ed è felice se qualcuno gli dice di aver letto i suoi romanzi, le sue memorie, le sue confessioni in My Strock of Luck in cui, con note di umorismo, racconta i malanni che ha subito e, da ultimo, un piccolo libro che gli è particolarmente caro.
Che cosa scrive in «Life Could Be Verse» ?
«Narro l’amore che ho
ricevuto e che ho dato. Gli attori sono come bambini, rifiutano di
crescere, giocano a fare i soldati, i cowboy, i navigatori. Possono
diventare ricchi, conquistare la fama, ma nulla li rende felici sino
a che, davvero, non arrivano a conoscere chi sono nella loro più
autentica essenza».
I giovani affollano la sala dove si proiettano film memorabili da «Il grande campione» (1949) a «Chimere» del 1950 interpretati prima della sua dura presa di posizione contro la caccia ai comunisti negli anni del maccartismo...
«In tutti quei momenti
cupi io ho puntato un pollice verso contro ogni ingiustizia,
discriminazione, emarginazione. Oggi lotto sempre contro la parola
razzismo. Sono subito andato a vedere L’ultima parola — La vera
storia di Dalton Trumbo, con Brian Cranston e gli ho detto che ero
dispiaciuto di una cosa sola. Non essere stato chiamato a
interpretare me stesso in una sequenza».
Che cosa l’ha sempre aiutata nei momenti difficili?
«Nella mia lunga vita
non ho perso l’umorismo. Quando la salute mi ha reso difficile il
parlare... (cosa può fare un attore quando gli viene tolta la voce?)
ho proposto a tutti i miei amici produttori un ritorno al cinema
muto».
Lei è molto legato a suo figlio Michael...
«Il mio libro ultimo di
poesie e racconti è dedicato anche ai nipoti che mi ha dato. L’ho
perdonato con una risata quando mi disse che ero troppo vecchio per
il film che stava producendo, Qualcuno volò sul nido del cuculo , e
diede la parte al bravissimo Jack Nicholson».
Lei ama ancora andare al cinema. Che cosa vuole dire ai giovani?
«A quelli che mi vengono
a trovare per qualche tesi su Hollywood dico di non pensare mai al
box office e ricordo loro che i film definiti non commerciali dai
mogul del mio tempo, sono entrati nella storia del cinema».
Ha nostalgia dei tempi d’oro di Hollywood?
«Nostalgia è una parola
che rifuggo. Mi mancano tanti colleghi, se ne sono andati tutti, da
ultima la mia amica Nancy Reagan. Penso a Burt Lancaster e a Tony
Curtis in I vichinghi . Certo, i western mi stimolavano ma sono
legato, in fondo, a tutti i miei film e mi sono sempre piaciute le
commedie musicali».
Ha sempre amato la musica?
«Sì e i grandi
direttori d’orchestra e musicisti sono le persone che, a volte, ho
invidiato perché entravano nel mistero della musica. È stato un
onore conoscere Zubin Mehta, cito un solo nome, potrei dirne tanti
altri. Altro che il palcoscenico, i grandi musicisti e direttori
d’orchestra hanno un podio ».
Forse, tra i suoi film, ce n’è uno speciale?
«Penso a Il compromesso
di Elia Kazan, grandissimo regista alla pari di Stanley Kubrick e
Vincent Minnelli. C’erano Faye Dunaway, che a Los Angeles spesso
ancora sento, e Deborah Kerr. Elia aveva tratto il film dal suo
romanzo The Arrangement . C’era un uomo in quel romanzo, io cercai
di riportarlo in tutta la sua complessità, nei suoi sogni ed errori,
nel suo percorso sentimentale e intellettuale. C’era l’America
intorno a lui, a noi, con i suoi sogni e i suoi incubi. Io credo a
un’America democratica, forte, coraggiosa».
Ha scritto in passato una lettera aperta agli uomini che aspirano a diventare presidenti degli Stati Uniti.Vuole riassumere il concetto più importante?
«Ho ricordato i tempi
del Ku Klux Klan, il fatto che il nostro presidente Obama, eletto due
volte abita in una casa che era stata costruita dagli schiavi. Non
possiamo cancellare errori gravissimi, ma dobbiamo per gli Usa e per
il mondo sempre bandire ogni forma di discriminazione. Papa
Francesco, ad esempio, lo dico da ebreo che lo ammira, è una grande
persona valida per tutte le religioni»
.
Lei è una leggenda, ma ama dialogare con tutti sui social media…
Lei è una leggenda, ma ama dialogare con tutti sui social media…
«No, non mi sento mai
una leggenda e continuo a guardare avanti, non indietro. I social
media sono utili. Per comunicare cose di cui siamo orgogliosi, per
ridere dei falsi necrologi che ci danno per morti prima che il nostro
tempo sia finito. O per pubblicare anche belle notizie in tempi in
cui tutti privilegiano quelle più cupe... Resto un sognatore, un po’
come Don Chisciotte».
Il Corriere della sera –
31 agosto 2016
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