Secondo l'ultimo rapporto CENSIS in Italia cresce il disagio
sociale (lavoro sottopagato e precario, disoccupazione giovanile).
La politica istituzionale è lontana dalla gente. La sinistra, quasi
inesistente, non sa dare risposte. Cresce la rabbia che diventa
rancore, mentre avanzano populismo e sovranismo e si riaffaccia sulla
scena l'estrema destra neofascista.
Paolo Baroni
Il Censis: il nuovo
male dell’Italia si chiama rancore
Incavolati neri e offesi,
mortificati, incapaci di esprimere apertamente la propria rabbia ma
anche di dimenticare e di perdonare, in una parola rancorosi. Così
il Censis dipinge gli italiani, non tutti ma certamente una bella
fetta. L’Italia è uscita dal tunnel, l’economia ha ripreso a
crescere bene, trainata dall’industria manifatturiera, dall’export
e dal turismo che hanno messo a segno risultati da record, ma questo
non impedisce che in parallelo dilaghi il rancore. Che assieme alla
nostalgia finisce tra l’altro per condizionare la domanda politica
di chi è rimasto indietro ingrossando le fila di sovranisti e
populisti. Il fenomeno non è certo nuovo, ma ora investe anche il
ceto medio e si fa molto più preoccupante, perché in parallelo
«l’immaginario collettivo ha perso la sua forza propulsiva di una
volta e non c’è più un’agenda condivisa».
La ripresa non basta
Nella ripresa, mette in
chiaro il Censis nel suo 51esimo rapporto sulla situazione sociale
del Paese, persistono infatti «trascinamenti inerziali» da
maneggiare con cura: il rimpicciolimento demografico della nazione,
la povertà del capitale umano immigrato, la polarizzazione
dell’occupazione che penalizza l’ex ceto medio. In
particolare non si è distribuito il dividendo sociale della
ripresa economica e per questo il blocco della mobilità sociale
finisce per creare rancore. Un fenomeno questo, è scritto nel
Rapporto, che nella nostra società «è di scena da tempo, con
esibizioni di volta in volta indirizzate verso l’alto, attraverso i
veementi toni dell’antipolitica, o verso il basso, a caccia di
indifesi e marginali capri espiatori, dagli homeless ai rifugiati. È
un sentimento che nasce da una condizione strutturale di blocco della
mobilità sociale, che nella crisi ha coinvolto pesantemente anche il
ceto medio, oltre ai gruppi collocati nella parte più bassa della
piramide sociale». E ancora: «se la crisi ha avuto effetti
psicologici regressivi con la logica del “meno hai, più sei
colpito”, la ripresa finora non è ancora riuscita a invertire in
modo tangibile e inequivocabile la rotta . La distribuzione dei suoi
dividendi sociali appare finora adeguata a riaprire l’unica via che
potrebbe allentare tutte le tensioni: la mobilità sociale verso
l’alto».
Ceto medio in crisi
L’87,3% degli italiani
appartenenti al ceto popolare pensa infatti che sia difficile salire
nella scala sociale, come l’83,5% del ceto medio e anche il 71,4%
del ceto benestante. Pensano che al contrario sia facile scivolare in
basso nella scala sociale il 71,5% del ceto popolare, il 65,4% del
ceto medio, il 62,1% dei più abbienti. La paura del
declassamento è insomma il nuovo fantasma sociale. Ed è una
componente costitutiva della psicologia dei millennials: l’87,3% di
loro pensa che sia molto difficile l’ascesa sociale e il 69,3% che
al contrario sia molto facile il capitombolo in basso. Di
conseguenza, spiegano al Censis, si rimarcano sempre più le distanze
dagli altri: il 66,2% dei genitori italiani si dice contrario
all’eventualità che la propria figlia sposi una persona di
religione islamica, il 48,1% una più anziana di vent’anni, il
42,4% una dello stesso sesso, il 41,4% un immigrato, il 27,2% un
asiatico, il 26,8% una persona che ha già figli, il 26% una con un
livello di istruzione inferiore, il 25,6% una di origine africana, il
14,1% una con una condizione economica più bassa. E l’immigrazione
evoca sentimenti negativi nel 59% degli italiani, con valori più
alti quando si scende nella scala sociale: il 72% tra le casalinghe,
il 71% tra i disoccupati, il 63% tra gli operai.
Addio vecchi miti
Altro dato, l’immaginario
collettivo, ovvero quell’insieme di valori e simboli in grado di
plasmare le aspirazioni individuali e i percorsi esistenziali di
ciascuno, quindi di definire un’agenda sociale condivisa. Anche su
questo fronte si è persa gran parte della forza propulsiva.
«Nell’Italia del miracolo economico il ciclo espansivo era
accompagnato da miti positivi che fungevano da motore alla crescita
economica e identitaria della nazione» è scritto ancora nel
rapporto Censis. Adesso, invece, «nelle fasce d’età più giovani
(gli under 30) i vecchi miti appaiono consumati e stinti, soppiantati
dalle nuove icone della contemporaneità». Nella mappa del
nuovo immaginario i social network si posizionano al primo posto
(32,7%), poi resiste il mito del «posto fisso» (29,9%), però
seguito a breve dallo smartphone (26,9%), dalla cura del corpo (i
tatuaggi e la chirurgia estetica: 23,1%) e dal selfie (21,6%), prima
della casa di proprietà (17,9%), del buon titolo di studio come
strumento per accedere ai processi di ascesa sociale (14,9%) e
dell’automobile nuova come oggetto del desiderio (7,4%). Nella
composizione del nuovo immaginario collettivo il cinema è meno
influente di un tempo (appena il 2,1% delle indicazioni) rispetto al
ruolo egemonico conquistato dai social network (27,1%) e più in
generale da internet (26,6%).
Lavoro polarizzato
Nel campo del lavoro la
polarizzazione dell’occupazione penalizza operai, artigiani e
impiegati. Chi ha vinto in questi anni nella ripresa dell’occupazione
si trova in cima e nel fondo della piramide professionale. Nel
periodo 2011-2016 operai e artigiani diminuiscono dell’11%, gli
impiegati del 3,9%. Le professioni intellettuali invece crescono
dell’11,4% e, all’opposto, aumentano gli addetti alle vendite e
ai servizi personali (+10,2%) e il personale non qualificato
(+11,9%). Nell’ultimo anno l’incremento di occupazione più
rilevante - segnala il Rapporto - riguarda gli addetti allo
spostamento e alla consegna delle merci (+11,4%) nella delivery
economy. Nella ricomposizione della piramide professionale aumentano
dunque le distanze tra l’area non qualificata e il vertice. E se
tra il 2006 e il 2016 il numero complessivo dei liberi professionisti
è aumentato del 26,2%, quelli con meno di 40 anni sono diminuiti del
4,4% (circa 20.000 in meno). La quota di giovani professionisti sul
totale è scesa al 31,3%: 10 punti in meno in dieci anni.
La domanda politica
Risentimento e nostalgia
si riflettono pesantemente anche sulla domanda politica. E l’onda
di sfiducia non perdona nessuno: l’84% degli italiani non ha
fiducia nei partiti politici, il 78% nel Governo, il 76% nel
Parlamento, il 70% nelle istituzioni locali, Regioni e Comuni. Il 60%
è insoddisfatto di come funziona la democrazia nel nostro Paese, il
64% è convinto che la voce del cittadino non conti nulla, il 75%
giudica negativamente la fornitura dei servizi pubblici. «Non
sorprende – segnala ancora il Censis - che i gruppi sociali più
destrutturati dalla crisi, dalla rivoluzione tecnologica e dai
processi della globalizzazione siano anche i più sensibili alle
sirene del populismo e del sovranismo. L’astioso impoverimento del
linguaggio rivela non solo il rigetto del ceto dirigente, ma anche la
richiesta di attenzione da parte di soggetti che si sentono esclusi
dalla dialettica socio-politica».
La stampa – 1 dicembre
2017
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