Rileggere i classici. Ovidio inedito e ribelle
Carlo Carena
Non avviene spesso di
imbattersi in un libro di cultura antica appassionato e diretto come
Con Ovidio di Nicola Gardini (Garzanti, 2017). Gardini unisce
alla preparazione e agli studi classicistici, con formazione e
attività didattica anche all’estero, una produzione di romanziere
e di poeta. Così la poesia del Sulmonese dell’età augustea e il
romanzo della sua esistenza l’hanno coinvolto doppiamente,
studiando alla scrivania e immaginando o inseguendo gli scenari della
sua vita brillante e poi drammatica.
Gardini trova e addita al
lettore nelle opere del poeta un intero “universo verbale”: il
museo spettacolare delle Metamorfosi
umanizzate e un canzoniere amoroso; la voce di un dissidente politico
e di un maestro dell’erotismo. Ma buona parte del suo studio verte
sulla sventura del brillante enfant gâté di Roma imperiale,
la disgrazia e l’esilio sul Mar Nero, come i momenti più vicini
alla sua umanità e più toccanti per noi; indagati e illustrati in
presa diretta, cimentandosi col poeta attraverso i suoi versi,
soprattutto le elegie delle Tristezze e delle Lettere dal
Ponto.
I due famosi e misteriosi
moventi di quel rovescio della fortuna, “un carme e un errore”,
sono scrutati e analizzati in lungo e in largo: il primo, il
canzoniere giovanile dell’Arte dell’amore, scusa ufficiale
del bando; il secondo, l'error, uno scivolone personale su un
tranello delle circostanze: errando, il poeta ha commesso un fallo
involontario, una sciocchezza. E la paga fin troppo cara, radiato
dalla scena, privato degli splendori e delle malizie dei salotti, del
tepore e delle sete delle alcove, delle sorgenti e del piacere della
sua arte. “Pare” che abbia visto qualcosa a corte che non avrebbe
dovuto vedere; che sia stato testimone di una scena proibita: come
all’innocente Atteone delle Metamorfosi càpita di scorgere
Diana che fa il bagno nuda, e viene perciò trasformato in cervo e
sbranato dai propri cani. Di lì il vagabondaggio ovidiano di uno
sbandato, allontanato dal suo cammino e dalla sua meta, finendo
lontano, dove non ritrova più nemmeno se stesso fra nebbie gelide e
barbari irsuti. E da dove cerca di mantenere vivo il dialogo con i
suoi lettori mediante confidenze disperate e un ultimo anelito di
sopravvivenza.
La sua poesia, esaminata
a fondo e senza pregiudizi creati dai posteri, è all’opposto
quella di un autore profondamente serio, chiuso in un perenne lavorio
di creazioni d’immagini e di perfezioni di verso, ben altro anche
qui dall’immagine vulgata del ciarliero depravato e futile. Egli si
getta capofitto nei suoi scritti. Perciò vi si può scorgere e se ne
ricava un personaggio quale Gardini può rappresentare vividamente e
che è andato a ritrovare anche sui luoghi stessi della sua agonia
come di altri martiri della politica venuti dopo, ancora in tempi
recenti.
Certo si può avvertire
qualche perplessità e avere qualche soprassalto («un poeta
profondamente serio, votato a una sua generale riforma del pensiero e
della morale», a pag. 180 ecc.). Ma il suo Ovidio così costruito
non ha mai del monumento. E il costruttore non chiede nemmeno il
consenso esplicito del lettore. Gli consiglia e indica una strada da
percorrere assieme, per godere con lui della “felicità di leggere”
qualsiasi classico, come recita il sottotitolo del libro. Aprire
un’edizione di un classico è «aprire le braccia a un
sopravvissuto e ospitare uno straniero» che non viene a mani vuote:
e qui più che mai.
Il Sole 24 Ore, domenica 30 luglio 2017
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