01 dicembre 2017

OVIDIO SECONDO NICOLA GARDINI


Rileggere i classici. Ovidio inedito e ribelle 

Carlo Carena


Non avviene spesso di imbattersi in un libro di cultura antica appassionato e diretto come Con Ovidio di Nicola Gardini (Garzanti, 2017). Gardini unisce alla preparazione e agli studi classicistici, con formazione e attività didattica anche all’estero, una produzione di romanziere e di poeta. Così la poesia del Sulmonese dell’età augustea e il romanzo della sua esistenza l’hanno coinvolto doppiamente, studiando alla scrivania e immaginando o inseguendo gli scenari della sua vita brillante e poi drammatica.
Gardini trova e addita al lettore nelle opere del poeta un intero “universo verbale”: il museo spettacolare delle Metamorfosi umanizzate e un canzoniere amoroso; la voce di un dissidente politico e di un maestro dell’erotismo. Ma buona parte del suo studio verte sulla sventura del brillante enfant gâté di Roma imperiale, la disgrazia e l’esilio sul Mar Nero, come i momenti più vicini alla sua umanità e più toccanti per noi; indagati e illustrati in presa diretta, cimentandosi col poeta attraverso i suoi versi, soprattutto le elegie delle Tristezze e delle Lettere dal Ponto.
I due famosi e misteriosi moventi di quel rovescio della fortuna, “un carme e un errore”, sono scrutati e analizzati in lungo e in largo: il primo, il canzoniere giovanile dell’Arte dell’amore, scusa ufficiale del bando; il secondo, l'error, uno scivolone personale su un tranello delle circostanze: errando, il poeta ha commesso un fallo involontario, una sciocchezza. E la paga fin troppo cara, radiato dalla scena, privato degli splendori e delle malizie dei salotti, del tepore e delle sete delle alcove, delle sorgenti e del piacere della sua arte. “Pare” che abbia visto qualcosa a corte che non avrebbe dovuto vedere; che sia stato testimone di una scena proibita: come all’innocente Atteone delle Metamorfosi càpita di scorgere Diana che fa il bagno nuda, e viene perciò trasformato in cervo e sbranato dai propri cani. Di lì il vagabondaggio ovidiano di uno sbandato, allontanato dal suo cammino e dalla sua meta, finendo lontano, dove non ritrova più nemmeno se stesso fra nebbie gelide e barbari irsuti. E da dove cerca di mantenere vivo il dialogo con i suoi lettori mediante confidenze disperate e un ultimo anelito di sopravvivenza.
La sua poesia, esaminata a fondo e senza pregiudizi creati dai posteri, è all’opposto quella di un autore profondamente serio, chiuso in un perenne lavorio di creazioni d’immagini e di perfezioni di verso, ben altro anche qui dall’immagine vulgata del ciarliero depravato e futile. Egli si getta capofitto nei suoi scritti. Perciò vi si può scorgere e se ne ricava un personaggio quale Gardini può rappresentare vividamente e che è andato a ritrovare anche sui luoghi stessi della sua agonia come di altri martiri della politica venuti dopo, ancora in tempi recenti.

Certo si può avvertire qualche perplessità e avere qualche soprassalto («un poeta profondamente serio, votato a una sua generale riforma del pensiero e della morale», a pag. 180 ecc.). Ma il suo Ovidio così costruito non ha mai del monumento. E il costruttore non chiede nemmeno il consenso esplicito del lettore. Gli consiglia e indica una strada da percorrere assieme, per godere con lui della “felicità di leggere” qualsiasi classico, come recita il sottotitolo del libro. Aprire un’edizione di un classico è «aprire le braccia a un sopravvissuto e ospitare uno straniero» che non viene a mani vuote: e qui più che mai.

Il Sole 24 Ore, domenica 30 luglio 2017

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