28 novembre 2012

TODOROV CONTROCORRENTE...







Crediamo che la riflessione del filosofo bulgaro sullo smarrimento del senso di comunità, apparsa qualche giorno fa su La Repubblica, aiuti a comprendere più di molti discorsi "tecnici" l'attuale sentire politico di larghe masse in Italia e come sia illusorio pensare di uscire da questa crisi affidandosi alle doti salvifiche e al carisma di un leader. 


T. Todorov - I pericoli di un mondo  in cui ognuno rappresenta solo se stesso


In un’epoca ipertecnologica le relazioni danno spesso l’illusione di uno scambio E questo ha delle conseguenze nella visione dell’etica e della responsabilità

Se si ha l’impressione di un tracollo dell’etica nel mondo in cui viviamo – di uno smarrimento del senso di responsabilità e di comunità –, ciò non dimostra che questa crisi sia realmente in atto. Si sente dire spesso: nel nostro secolo gli interessi materiali regnano incontrastati, e si dimenticano i valori spirituali. Ma è mai esistita quell’età dell’oro di cui si sogna?

Di fatto però, nel nostro mondo e nel nostro tempo, stanno avvenendo mutazioni che hanno probabilmente un impatto negativo sul senso morale della popolazione. Perché la morale ha anche a che fare con dei valori condivisi: non è una semplice proiezione individuale, provoca pensieri, relazioni e azioni che hanno conseguenze sociali. L’invenzione dei computer e la loro messa in rete influenzano profondamente le nostre attività di comunicazione, e quindi i rapporti tra gli individui e il nostro agire morale. Un secolo fa, l’informazione era scarsa, il telefono difficile da ottenere; le notizie arrivavano a rilento. Oggi l’informazione è permanente e pletorica; ognuno di noi è collegato in permanenza a vaste reti e comunica con un gran numero di persone. Ma al tempo stesso le popolazioni europee, le stesse che fruiscono di queste tecnologie, si lamentano di un crescente senso di solitudine, di isolamento, di abbandono. Il trionfo della comunicazione e la sua sconfitta sembrano avanzare di pari passo.

Ci si rende conto allora che il termine di comunicazione si riferisce a due funzioni ben distinte: la prima consiste nel trasmettere un’informazione, la seconda nel partecipare alla formazione della persona. Quando parlo con qualcuno, posso comunicargli una serie di dati sull’oggetto del nostro colloquio, ma al tempo stesso mi metto in rapporto col mio interlocutore, anticipo la sua reazione e mi adatto a lui; e così facendo mi trasformo, pur cercando al tempo stesso di influenzarlo a mia volta. Nulla potrà mai sostituire la prossimità di un volto, le sensazioni uditive, olfattive, tattili che risentiamo nel corso di un incontro fisico. Senza di esse viviamo nell’illusione di uno scambio, ma il nostro slancio è devitalizzato. Finiamo per dimenticare che siamo fatti dagli altri, e che la chiave della nostra fragile felicità è nelle loro mani.

La politica non va confusa con l’etica, ma è quest’ultima a conferirle un orizzonte. Dalla caduta del muro di Berlino, che ha dato il via all’ascesa di un neoliberismo sempre più potente, assistiamo in Europa a un cambio di prospettiva: come se il tracollo dell’impero sovietico avesse dovuto comportare un deprezzamento dei valori di solidarietà, di uguaglianza, di bene comune, preconizzati ipocritamente da quello Stato e dai suoi satelliti. Secondo la dottrina neoliberista che sottende le decisioni politiche dei nostri governi, l’essere umano è autosufficiente, e gli interessi economici devono prevalere sui nostri bisogni sociali. Ma in un mondo in cui il soddisfacimento dell’individuo è il solo valore condiviso non c’è più posto per l’etica, il cui principio sta nel tener conto dell’esistenza degli altri.

L’etica entra in crisi in un Paese in cui nessuno si preoccupa più di tutelare le proprie risorse naturali, mettendo così a repentaglio la salute e la stessa sopravvivenza delle generazioni future; che rifiuta di investire in infrastrutture accessibili e utili a tutti; che professa il disprezzo per i deboli e i poveri, tacciati di pigrizia o stupidità; che induce a vedere il diverso da noi come una minaccia. Uno Stato che appare immorale erode anche le basi dell’etica dei suoi abitanti.

Non siamo di fronte alla minaccia di un tracollo definitivo dell’etica, la quale è inerente alla coscienza umana. La sua scomparsa significherebbe una mutazione della nostra specie in quanto tale. Ma nel breve termine siamo chiamati a reagire a queste trasformazioni. Quella dovuta allo sviluppo tecnologico esige un maggior dominio delle nostre nuove capacità – così come si impara a guidare un’automobile per non mettere in pericolo la propria vita. Mentre le mutazioni originate da un’ideologia comportano di riflesso la necessità di un’altra ideologia, più vicina alla verità delle nostre esperienze, che veda nell’economia un mezzo e non un fine, e riconosca che è l’interumano, il rapporto con l’altro, a fondare l’umano.

(Da: La Repubblica del 25 novembre 2012)

Tzvetan Todorov (Sofia 1939) è un filosofo e saggista bulgaro. Trasferitosi a Parigi, ha studiato filosofia del linguaggio. Ha insegnato alla Yale University ed è stato poi direttore del Centro di Ricerca sulle Arti e il Linguaggio di Parigi. Dopo lavori di critica letteraria sulla poetica dei formalisti russi, si è occupato di filosofia del linguaggio, di antropologia e  del ruolo del singolo e della sua responsabilità nella storia.




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