Crediamo che
la riflessione del filosofo bulgaro sullo smarrimento del senso di comunità,
apparsa qualche giorno fa su La Repubblica, aiuti a comprendere più di molti
discorsi "tecnici" l'attuale sentire politico di larghe masse in
Italia e come sia illusorio pensare di uscire da questa crisi affidandosi alle
doti salvifiche e al carisma di un leader.
T.
Todorov - I pericoli di un mondo in cui
ognuno rappresenta solo se stesso
In un’epoca ipertecnologica le relazioni danno spesso l’illusione di uno scambio
E questo ha delle conseguenze nella visione dell’etica e della responsabilità
Se si ha l’impressione di un tracollo dell’etica nel mondo in cui viviamo –
di uno smarrimento del senso di responsabilità e di comunità –, ciò non
dimostra che questa crisi sia realmente in atto. Si sente dire spesso: nel
nostro secolo gli interessi materiali regnano incontrastati, e si dimenticano i
valori spirituali. Ma è mai esistita quell’età dell’oro di cui si sogna?
Di fatto però, nel nostro mondo e nel nostro tempo, stanno avvenendo
mutazioni che hanno probabilmente un impatto negativo sul senso morale della
popolazione. Perché la morale ha anche a che fare con dei valori condivisi: non
è una semplice proiezione individuale, provoca pensieri, relazioni e azioni che
hanno conseguenze sociali. L’invenzione dei computer e la loro messa in rete
influenzano profondamente le nostre attività di comunicazione, e quindi i
rapporti tra gli individui e il nostro agire morale. Un secolo fa,
l’informazione era scarsa, il telefono difficile da ottenere; le notizie
arrivavano a rilento. Oggi l’informazione è permanente e pletorica; ognuno di
noi è collegato in permanenza a vaste reti e comunica con un gran numero di
persone. Ma al tempo stesso le popolazioni europee, le stesse che fruiscono di
queste tecnologie, si lamentano di un crescente senso di solitudine, di
isolamento, di abbandono. Il trionfo della comunicazione e la sua sconfitta
sembrano avanzare di pari passo.
Ci si rende conto allora che il termine di comunicazione si riferisce a due
funzioni ben distinte: la prima consiste nel trasmettere un’informazione, la
seconda nel partecipare alla formazione della persona. Quando parlo con
qualcuno, posso comunicargli una serie di dati sull’oggetto del nostro
colloquio, ma al tempo stesso mi metto in rapporto col mio interlocutore,
anticipo la sua reazione e mi adatto a lui; e così facendo mi trasformo, pur
cercando al tempo stesso di influenzarlo a mia volta. Nulla potrà mai
sostituire la prossimità di un volto, le sensazioni uditive, olfattive, tattili
che risentiamo nel corso di un incontro fisico. Senza di esse viviamo
nell’illusione di uno scambio, ma il nostro slancio è devitalizzato. Finiamo
per dimenticare che siamo fatti dagli altri, e che la chiave della nostra
fragile felicità è nelle loro mani.
La politica non va confusa con l’etica, ma è quest’ultima a conferirle un
orizzonte. Dalla caduta del muro di Berlino, che ha dato il via all’ascesa di
un neoliberismo sempre più potente, assistiamo in Europa a un cambio di
prospettiva: come se il tracollo dell’impero sovietico avesse dovuto comportare
un deprezzamento dei valori di solidarietà, di uguaglianza, di bene comune,
preconizzati ipocritamente da quello Stato e dai suoi satelliti. Secondo la
dottrina neoliberista che sottende le decisioni politiche dei nostri governi,
l’essere umano è autosufficiente, e gli interessi economici devono prevalere
sui nostri bisogni sociali. Ma in un mondo in cui il soddisfacimento
dell’individuo è il solo valore condiviso non c’è più posto per l’etica, il cui
principio sta nel tener conto dell’esistenza degli altri.
L’etica entra in crisi in un Paese in cui nessuno si preoccupa più di
tutelare le proprie risorse naturali, mettendo così a repentaglio la salute e
la stessa sopravvivenza delle generazioni future; che rifiuta di investire in
infrastrutture accessibili e utili a tutti; che professa il disprezzo per i
deboli e i poveri, tacciati di pigrizia o stupidità; che induce a vedere il
diverso da noi come una minaccia. Uno Stato che appare immorale erode anche le
basi dell’etica dei suoi abitanti.
Non siamo di fronte alla minaccia di un tracollo definitivo dell’etica, la
quale è inerente alla coscienza umana. La sua scomparsa significherebbe una
mutazione della nostra specie in quanto tale. Ma nel breve termine siamo
chiamati a reagire a queste trasformazioni. Quella dovuta allo sviluppo
tecnologico esige un maggior dominio delle nostre nuove capacità – così come si
impara a guidare un’automobile per non mettere in pericolo la propria vita. Mentre
le mutazioni originate da un’ideologia comportano di riflesso la necessità di
un’altra ideologia, più vicina alla verità delle nostre esperienze, che veda
nell’economia un mezzo e non un fine, e riconosca che è l’interumano, il
rapporto con l’altro, a fondare l’umano.
(Da: La
Repubblica del 25 novembre 2012)
Tzvetan Todorov (Sofia 1939) è un filosofo e
saggista bulgaro. Trasferitosi a Parigi, ha studiato filosofia del
linguaggio. Ha insegnato alla Yale University ed è stato poi direttore del
Centro di Ricerca sulle Arti e il Linguaggio di Parigi. Dopo lavori di
critica letteraria sulla poetica dei formalisti russi, si è occupato di
filosofia del linguaggio, di antropologia e del ruolo del singolo e della
sua responsabilità nella storia.
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