29 novembre 2012

TORNIAMO A PARLARE DI PIRANDELLO





FRANCESCO VIRGA – PIRANDELLO E IL FASCISMO

Bernardo Puleio ha rievocato una delle pagine meno gloriose della vita di Luigi Pirandello: la sua adesione al movimento fascista all’indomani dell’assassinio di Giacomo Matteotti.
Puleio ha ricostruito sommariamente la coda polemica che il gesto dello scrittore agrigentino suscitò nell’opinione pubblica del tempo; polemiche che toccarono l’apice in un duro scontro editoriale tra due periodici di allora: Il mondo, diretto da Giovanni Amendola, e  L’Impero di Telesio Interlandi (mi pare opportuno ricordare che Il mondo, insieme a tutta la stampa indipendente dal Regime, venne messo a tacere nel 1925).
Su Il mondo Amendola arriverà a definire Pirandello “un uomo volgare”. Ma è probabile che l’uomo politico liberale, uno dei più coerenti del tempo, non sarebbe giunto a tanto se l’agrigentino non avesse rilasciato a L’Impero un’intervista nella quale si scagliava contro la timida opposizione liberale al nascente Regime chiedendo misure più radicali per stroncarla.
E’ già stato notato che, per comprendere fino in fondo lo stato d’animo che condusse Pirandello all’infelice scelta politica, bisogna tenere presente – oltre al suo costituzionale temperamento antipolitico che lo conduceva ad aborrire ogni tipo di mediazione e compromesso – il disprezzo profondo da lui mostrato, molto tempo prima dell’avvento  del fascismo, nei confronti della classe politica liberale che, secondo il suo punto di vista, aveva tradito le speranze garibaldine condivise da un suo antenato. Per descrivere questa amara delusione Pirandello scrisse un romanzo intero, il suo unico romanzo storico, intitolato I vecchi e i giovani , la cui prima edizione risale al 1909.
Questa delusione non giustifica, comunque, la sua adesione al fascismo. Adesione che contraddice radicalmente la lettera e lo spirito dell’arte pirandelliana. Basti pensare al suo profondo disprezzo per la retorica dannunziana, vero e proprio incunabolo della cultura fascista, che Pirandello esprimerà direttamente in occasione della celebre commemorazione di Giovanni Verga.
 Ma, in verità, è tutta la sua opera, la sua concezione dolorosa e tragica della vita, il suo particolare umorismo – definito,  non a caso, sentimento del contrario – a renderlo incompatibile con il fascismo. Una indiretta prova viene anche dai fischi che accompagnarono le sue prime teatrali, negli anni trenta, a Roma e a Berlino. In quest’ultima città, addirittura,  nel 1933, con l’avvento al potere di Hitler, venne vietata la rappresentazione delle sue opere teatrali. 
L’unica possibile spiegazione, per quanto irrazionale, del suo approdo al fascismo, credo che l’abbia data Leonardo Sciascia che, con la sua consueta arguzia, parlando di un famoso studioso di letteratura latina approdato allo stalinismo, ha osservato:
“Concetto Marchesi […] dichiarò fede allo stalinismo forse per il sentimento stesso per cui Pirandello dichiarò fede al fascismo: per misantropia, per pessimismo, per dispetto e disprezzo” (L. Sciascia, Alfabeto pirandelliano, Adelphi, 1989, pag. 54)


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