FRANCESCO VIRGA – PIRANDELLO E IL FASCISMO
Bernardo Puleio ha rievocato una delle
pagine meno gloriose della vita di Luigi Pirandello: la sua adesione al
movimento fascista all’indomani dell’assassinio di Giacomo Matteotti.
Puleio ha ricostruito sommariamente la
coda polemica che il gesto dello scrittore agrigentino suscitò nell’opinione
pubblica del tempo; polemiche che toccarono l’apice in un duro scontro
editoriale tra due periodici di allora: Il
mondo, diretto da Giovanni Amendola, e
L’Impero di Telesio Interlandi
(mi pare opportuno ricordare che Il
mondo, insieme a tutta la stampa indipendente dal Regime, venne messo a
tacere nel 1925).
Su Il
mondo Amendola arriverà a definire Pirandello “un uomo volgare”. Ma è
probabile che l’uomo politico liberale, uno dei più coerenti del tempo, non
sarebbe giunto a tanto se l’agrigentino non avesse rilasciato a L’Impero un’intervista nella quale si
scagliava contro la timida opposizione liberale al nascente Regime chiedendo
misure più radicali per stroncarla.
E’ già stato notato che, per comprendere fino in fondo
lo stato d’animo che condusse Pirandello all’infelice scelta politica, bisogna
tenere presente – oltre al suo costituzionale temperamento antipolitico che lo
conduceva ad aborrire ogni tipo di mediazione e compromesso – il disprezzo
profondo da lui mostrato, molto tempo prima dell’avvento del fascismo, nei confronti della classe
politica liberale che, secondo il suo punto di vista, aveva tradito le speranze
garibaldine condivise da un suo antenato. Per descrivere questa amara delusione
Pirandello scrisse un romanzo intero, il suo unico romanzo storico, intitolato I
vecchi e i giovani , la cui prima edizione risale al 1909.
Questa delusione non giustifica, comunque,
la sua adesione al fascismo. Adesione che contraddice radicalmente la lettera e
lo spirito dell’arte pirandelliana. Basti pensare al suo profondo disprezzo per
la retorica dannunziana, vero e proprio incunabolo della cultura fascista, che
Pirandello esprimerà direttamente in occasione della celebre commemorazione di
Giovanni Verga.
Ma,
in verità, è tutta la sua opera, la sua concezione dolorosa e tragica della
vita, il suo particolare umorismo – definito, non a caso, sentimento del contrario – a renderlo incompatibile con il
fascismo. Una indiretta prova viene anche dai fischi che accompagnarono le sue
prime teatrali, negli anni trenta, a Roma e a Berlino. In quest’ultima città,
addirittura, nel 1933, con l’avvento al
potere di Hitler, venne vietata la rappresentazione delle sue opere
teatrali.
L’unica possibile spiegazione, per quanto
irrazionale, del suo approdo al fascismo, credo che l’abbia data Leonardo
Sciascia che, con la sua consueta arguzia, parlando di un famoso studioso di
letteratura latina approdato allo stalinismo, ha osservato:
“Concetto Marchesi […] dichiarò fede allo
stalinismo forse per il sentimento stesso per cui Pirandello dichiarò fede al
fascismo: per misantropia, per pessimismo, per dispetto e disprezzo” (L.
Sciascia, Alfabeto pirandelliano, Adelphi,
1989, pag. 54)
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