Pochi ricordano che la Santa Romana Chiesa, nel lontano 1558, predispose
il cosiddetto Index librorum
prohibitorum, ossia un Indice dei libri
proibiti, in cui vennero inclusi, oltre alla maggior parte
degli antichi classici greci e romani, tutte le opere di Giordano Bruno. Ancora
più grave mi sembra il fatto che tale Indice rimase in vigore fino al 4 febbraio del 1966
e che le stesse opere di Benedetto Croce vennero inserite in esso.
Ci si è più volte chiesti, negli ultimi tempi, a cosa realmente serva la censura. Qualcuno, facendo soprattutto
riferimente al successo postumo che hanno avuto tanti films censurati, ha
perfino sostenuto che la censura oggi può diventare una forma di pubblicità.
Ricordiamo troppo bene come il
nostro primo approccio, da ginnasiali curiosi, a Miller e Lawrence fosse dovuto
più al sapore di zolfo che emanava dai "Tropici" e da "Lady
Chatterley" che alla ricerca estetica del puro piacere letterario.
Comunque, visto che oggi ci siamo presi la libertà di criticare il
giornale di Eugenio Scalfari per la
censura cui ha sottoposto l’antipatico Odifreddi, ci sentiamo ancora più liberi
di riprodurre un articolo interessante
pubblicato ieri sullo stesso quotidiano:
Massimo
Novelli - Tagli, censure e condanne. La dura vita da scrittore
La prima censura di un libro in Italia risale probabilmente all' anno
venticinquesimo dopo la nascita di Gesù Cristo. Tacito lo narra nei suoi
Annali, ricordando il "delitto nuovo e inaudito" di cui venne
accusato il senatore Cremuzio Cordio, vissuto sotto il principato di Tiberio e
autore di opere giudicate troppo nostalgiche dell' epoca repubblicana. Vennero
bruciate per ordine del Senato, lui si lasciò morire di fame. L' ultimo caso
clamoroso è del 2007, quando lo storico Ariel Toaff, investito da polemiche
roventi, è costretto a chiedere alla direzione della casa editrice Il Mulino di
ritirare il suo saggio Pasque di sangue. Ebrei d' Europa e omicidi rituali. In
questo arco temporale, da Cremuzio Cordio a Toaff, la macchina censoria ha
funzionato a lungo a pieno ritmo, passando dall' Index librorum prohibitorum
del Concilio di Trento, chiuso soltanto dal Concilio Vaticano II, allo Statuto
Albertino, dalla dittatura fascista alla Repubblica democratica. Ma "la
storia della censura libraria nell' Italia contemporanea", spiega Roberto
Cicala, docente di editoria all' Università Cattolica di Milano, "è quella
che era stata meno approfondita. Con il lavoro svolto dagli allievi del master
organizzato dal Collegio universitario Santa Caterina, in collaborazione con l'
Università di Pavia, si è voluto colmare una lacuna".
Ne è nato il volume Inchiostro
proibito. Libri censurati nell'
Italia contemporanea, pubblicato dalle Edizioni Santa Caterina, con una
introduzione dello stesso Cicala e saggi di diversi giovani studiosi. Sono
raccontate le vicende travagliate di diciassette libri e di altrettanti autori
(compresi gli album di Topolino) che, dai primi anni del Novecento ai tempi
nostri, sono stati presi di mira dai censori di Stato, subendo revisioni,
sequestri, condanne giudiziarie. È un elenco di librorum prohibitorum che
comincia con Viva Caporetto! di
Curzio Malaparte, prosegue con Il
garofano rosso di Elio Vittorini e con La
mascherata di Alberto Moravia. Passa per Il dottor Zivago di Boris Pasternàk e per L' amante di Lady Chatterley di David Herbert Lawrence. Non
risparmia il Tropico del Cancro di
Henry Miller e il Pier Paolo Pasolini di Ragazzi
di vita, fino a L' Arialda di
Giovanni Testori, ad Altri libertini
di Pier Vittorio Tondelli e a Sodomie in
corpo 11 di Aldo Busi.
I tagli, le proibizioni, i processi, ebbero cause e motivazioni differenti.
Per alcuni dei libri messi all' indice, o perseguitati a vario titolo, scattò
la censura politica. Capitò per Malaparte e il suo scritto sulla disfatta di Caporetto,
ma pure per il romanzo di Pasternak. Il
dottor Zivago uscì nel 1957 nella traduzione italiana, e in prima edizione
mondiale, grazie a Giangiacomo Feltrinelli, che, come ricorda Cicala, vinse
"la pressioni internazionali del regime comunista sovietico". Anche
Vittorini col suo Garofano rosso,
uscito a puntate sulla rivista Solaria, fu condannato per ragioni politiche. Il
vero motivo sarebbe però da rintracciarsi nella "licenziosità", come
quando lo scrittore siciliano descrive i giochi erotici con ragazze che
"hanno le poppe mature, madre di Dio!».
Per altri si trattò di offesa al pudore: da Mafarka il futurista di Filippo Tommaso Marinetti a Lawrence, a
Pasolini, a Testori, a Henry Miller. E continuando con La ragazza di nome Giulio di Milena Milani, con Tondelli, con Busi
e con il Porci con le ali di Marco
Lombardo Radice e di Lidia Ravera, dove uno dei brani incriminati verte su una
"scopata tragica". Per le Esperienze
pastorali di don Lorenzo Milani, per Falce
e carrello di Bernardo Caprotti e per le Pasque di sangue di Toaff, giudici e avvocati hanno frapposto
"ostacoli sociali, religiosi o economici". Si salvò Topolino: con il
plauso dei Mondadori, le autorità fasciste ne permisero la pubblicazione fino
al 1942, per avere "un elemento artistico tale" da non essere un
tipico esempio "dell' americanismo". Oggi la censura sembra avere
cambiato volto. È il mercato, conclude Cicala, che "surclassa la stessa
autorità giudiziaria attraverso la ricerca dei numeri e del commercio più che
dei valori, la quantità sulla qualità".
(Da: La
repubblica del 20 ottobre 2012)
Sì, le censure non finiscono mai e all'antico Tribunale dell'Inquisizione si sono sostituiti altri "tribunali"!
RispondiEliminaSe si ripensa al processo subito da Giordano Bruno vengono i brividi. I processi staliniani hanno seguito l'esempio dato dall' Inquisizione.
RispondiEliminaAvete perfettamente ragione. Non a caso, peraltro, Stalin era stato in Seminario e conosceva bene i metodi seguiti dalla Santa Inquisizione.
RispondiEliminaFRANCESCO VIRGA