GUIDO VIALE -
La metafora Sandy
Sandy, l’uragano atlantico più
ampio e più forte che la storia ricordi, è una manifestazione diretta e
incontestabile dei cambiamenti climatici che minacciano il pianeta a causa di
un consumo incontinente di fonti energetiche fossili; e non in un futuro più o
meno lontano, ma già qui e ora.
E’ verosimile e del tutto probabile
che fenomeni climatici anche più devastanti si possano ripetere a breve. Non si
sa, né si può sapere con un margine sensato di probabilità, quanti, in che
forma, quando dove; magari anche lì dove Sandy ha appena lasciato un paesaggio
devastato peggio che da un bombardamento.
Ma Sandy mostra anche in modo
lampante – tra tante altre cose – che la dottrina che ha portato al governo
Mario Monti, e lo stuolo di professori che ne gonfiano i ranghi, non vale un
fico secco ed è solo una manifestazione di grande prepotenza e di grande
ignoranza, di una vera e propria “dittatura dell’ignoranza”. Ignoranza di ciò
che sta succedendo o che sta per succedere nel mondo reale, quello della vita
quotidiana di tutte e di tutti, e non nell’iperuranio dello spread e dell’alta
finanza, che comunque anche Monti e i suoi sodali italiani ed europei – molti
altri sparsi nel mondo – non sanno o non vogliono mettere sotto controllo.
Un’ignoranza dei vertici che tracima e si diffonde su tutti i fabbricatori di opinione pubblica: giornali e Tv che per occuparsi di Casini e Alfano hanno tolto dalle prime pagine, o addirittura ignorato, il più grande disastro climatico della storia mentre è ancora in corso.
Un’ignoranza dei vertici che tracima e si diffonde su tutti i fabbricatori di opinione pubblica: giornali e Tv che per occuparsi di Casini e Alfano hanno tolto dalle prime pagine, o addirittura ignorato, il più grande disastro climatico della storia mentre è ancora in corso.
Se si scende su questa terra dal
cielo dei cicloni o da quello delle tempeste finanziarie il risultato non
cambia. In un solo giorno Sandy ha provocato sulla costa orientale degli Stati
uniti un disastro analogo, ma dieci volte maggiore, di quello che le politiche
finanziarie adottate dall’Unione europea stanno infliggendo alla Grecia. Un
paese dove metà della popolazione non ha più la luce elettrica e usa le candele
non perché tre o quattro centrali nucleari sono state allagate o perché i cavi
elettrici sono andati in corto circuito, ma perché gli utenti non possono più
pagare le bollette e l’azienda, destinata alla privatizzazione se solo qualcuno
vorrà comprarla, taglia gli allacci. Dove l’acqua potabile spesso non arriva
più non perché le pompe sono bloccate, ma perché i gestori del servizio non
hanno più il denaro per farlo funzionare.
Dove molti non hanno più niente da
mangiare non perché le strade sono interrotte, ma perché il circuito economico
si è fermato e per chi è rimasto senza soldi non c’è più niente né da vendere
né da comprare.
Il cinismo con cui governo e ministro del lavoro (iena plorans) si sentono autorizzati a sacrificare diritti, dignità e vita non solo di milioni di giovani e di lavoratori, ma persino dei portatori di handicap nelle scuole e dei malati di sla (e che cosa resta più della loro vita?) che manifestano davanti ai palazzi del potere. E’ un anticipo di quello che succede in Grecia, che Monti chiama “risanamento”, ma dove negli ospedali non si opera e non si ricovera più per mancanza di medicine e di presidi sanitari e molti si procurano da mangiare frugando nei cassonetti. E fa il pari con l’assoluta indifferenza nei confronti della crisi ambientale planetaria di cui il governo ha dato e continua a dar prova. A cominciare dal discorso di presentazione del suo programma al Parlamento, in cui la parola ambiente non è mai stata nemmeno nominata (e nessuno, tranne il manifesto, lo aveva fatto notare). Non è una svista: nel frattempo il ministro Passera programma di trivellare il paese come una groviera, alla ricerca di poche gocce di petrolio che al massimo ne coprirebbero il fabbisogno per un anno o poco più; progetta di farne il perno (hub) del metano importato per tutta l’Europa da tutto il resto del mondo, finanzia con il risparmio postale chilometri di autostrade moltiplicando congestione, inquinamento, dissesto idrogeologico e costi del trasporto. Sprofondando tutti in un’economia fossile senza futuro.
Il cinismo con cui governo e ministro del lavoro (iena plorans) si sentono autorizzati a sacrificare diritti, dignità e vita non solo di milioni di giovani e di lavoratori, ma persino dei portatori di handicap nelle scuole e dei malati di sla (e che cosa resta più della loro vita?) che manifestano davanti ai palazzi del potere. E’ un anticipo di quello che succede in Grecia, che Monti chiama “risanamento”, ma dove negli ospedali non si opera e non si ricovera più per mancanza di medicine e di presidi sanitari e molti si procurano da mangiare frugando nei cassonetti. E fa il pari con l’assoluta indifferenza nei confronti della crisi ambientale planetaria di cui il governo ha dato e continua a dar prova. A cominciare dal discorso di presentazione del suo programma al Parlamento, in cui la parola ambiente non è mai stata nemmeno nominata (e nessuno, tranne il manifesto, lo aveva fatto notare). Non è una svista: nel frattempo il ministro Passera programma di trivellare il paese come una groviera, alla ricerca di poche gocce di petrolio che al massimo ne coprirebbero il fabbisogno per un anno o poco più; progetta di farne il perno (hub) del metano importato per tutta l’Europa da tutto il resto del mondo, finanzia con il risparmio postale chilometri di autostrade moltiplicando congestione, inquinamento, dissesto idrogeologico e costi del trasporto. Sprofondando tutti in un’economia fossile senza futuro.
Ma soprattutto il governo lascia
andare in malora i maggiori stabilimenti produttivi del paese, perché risanarli
costa troppo caro, perché non hanno più mercato, perché ciascuno può andare a
investire dove vuole, perché conviene di più produrre o comprare armi che
autobus e treni, perché i capitali stranieri arrivano in Italia solo per
spremere risorse pubbliche e portarsi via know-how . E solo se attirati dagli
altissimi livelli di corruzione che la legge appena varata non fa che
peggiorare: vedi Alcoa, Jabil, Lactalis, Lucent, Acelor-Mittel, Electrolux,
Sevestal, Alstrom, Fiat, ormai americana. Con gli stabilimenti vanno in rovina
i lavoratori non più protetti nemmeno dalla cassa integrazione o dallo
“scivolo”; e con loro un kow-how frutto di anni di cooperazione. Non c’è certo
motivo di ritenere che tra un anno o due – quando dovrebbero ritornare
“ripresa” e “crescita”, invocate dal governo e servilmente riproposte da tutti
i media – quei lavoratori torneranno in fabbrica, quel patrimonio di conoscenze
tornerà a funzionare; o altre imprese, nate per miracolo dalle ceneri di quelle
chiuse o soffocate, avranno mezzi ed esperienza e piani per rimettere in sesto
l’economia del paese.
Perché, e qui sta la colpa più
grave del governo e di tutte – tutte – le forze che lo sostengono, l’ambiente
cancellato dalla loro agenda, soprattutto per ignoranza – è un fattore
cruciale. Prenderlo in carico è l’unico modo per garantire un futuro alle
imprese in malora, e ai lavoratori di cui si sta facendo carne di porco.
Significa lavorare a una loro riconversione a quelle produzioni che favoriscono
la transizione verso un’economia sostenibile: in campo energetico, edilizio,
nel settore della mobilità, in quello agro-alimentare, nella salvaguardia del
territorio, nell’educazione e nella ricerca, nelle mille e mille piccole opere
che possono garantire occupazione, sicurezza e vivibilità a tutte le comunità,
ma che al tempo stesso concorrono a mettere in sicurezza il pianeta. E che
potrebbero instradare il nostro paese verso le tecnologie e soprattutto le
soluzioni gestionali – complesse, articolate, altamente differenziate,
necessariamente partecipate – indispensabili per promuovere questa transizione.
E se non ora, quando?
Dal
manifesto di venerdì 2 novembre 2012.
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