Massimo
Recalcati - L’epoca senza Edipo
Quest’anno
ricorre il quarantennale dell’uscita di un libro che fece epoca: l’Anti-Edipo
di Deleuze e Guattari che uscì a Parigi nel1972. Si tratta della più potente
critica alla pratica e alla teoria della psicoanalisi mossa da “sinistra”.
Oggi, come sappiamo, imperversa la critica conservatrice: contro la
psicoanalisi vengono invocati la psicologia scientifica, il potere chimico
dello psicofarmaco, l’autorità esclusiva della psichiatria nel trattamento del
disagio mentale. Invece gli autori dell’Anti-Edipo (un filosofo già molto noto
e un brillante psichiatra analizzante di Lacan con il quale ruppe bruscamente)
non rimproverano affatto alla psicoanalisi di non essere sufficientemente
scientifica nella sue affermazioni teoriche e nella sua pratica clinica, ma
qualcosa di assai più radicale. Le rimproverano di essere al servizio del
potere e dell’ordine stabilito. La loro accusa è che la psicoanalisi dopo aver
scoperto il “desiderio inconscio” ha volutamente ridotto la portata
rivoluzionaria di questa scoperta mettendosi al servizio del padrone. Su cosa
si reggerebbe il culto psicoanalitico dell’Edipo se non sull’obbedienza cieca
alla Legge repressiva e mortificante del padre?
Nonostante
la violenza spietata degli Anti-Edipo gli psicoanalisti dovrebbero leggere e
rileggere ancora oggi la loro opera come un grande vento di primavera. Sotto la
retorica rivoluzionaria della liberazione del corpo schizo, fuori-Legge, del
“corpo senza organi” come macchina desiderante, come fabbrica produttiva del
godimento pulsionale, questo libro contiene una serie di rilievi alla
psicoanalisi che non si possono accantonare: la critica relativa all’uso
paranoico e violento dell’interpretazione (se un paziente dice X vuole dire Y),
una rappresentazione dell’inconscio come teatrino familaristico, chiuso su se
stesso, che perderebbe di vista il suo carattere sociale e i suoi infiniti
concatenamenti collettivi, una apologia conformista e moralista del principio
di realtà e dell’adattamento come fine ultimo della pratica analitica, l’uso
tutto politico del denaro che seleziona i pazienti in base al loro reddito, una
valorizzazione dell’Io e del suo principio di prestazione, eccetera.
Eppure
questo libro va molto al di là di questo, perché ha mobilitato alla rivolta una
intera generazione, quella del ’77. Quest’opera è una critica politica alla
psicoanalisi che non promuove tanto una improbabile teoria alternativa a quella
psicoanalitica (la schizoanalisi) ma una vera e propria teoria della
rivoluzione dove “tutto è possibile”. A questa teoria si sono abbeverati con
entusiasmo i giovani della mia generazione.
Foucault
aveva dichiarato che il nostro secolo forse sarebbe stato deleuziano. Aveva
ragione ma in un senso probabilmente molto diverso da quello che auspicava. Il
deleuzismo è sfuggito dalle mani di Deleuze (come spesso accade per tutti gli
“ismi”). L’Anti-Edipo ha dato involontariamente la stura ad un elogio
incondizionato del carattere rivoluzionario del desiderio contro la Legge che
ha finito paradossalmente per colludere con l’orgia dissipativa che ha
caratterizzato i flussi – non delle macchine desideranti come si auspicavano
Deleuze e Guattari – ma di denaro e di godimento che hanno alimentato la
macchina impazzita del discorso del capitalista. Lacan aveva provato a segnalare
ai due questo pericolo. In una intervista rilasciata a Rinascita nel maggio del
1977 a chi gli chiedeva un parere sul-l’Anti-Edipo rispose che «L’Edipo
costituisce di per se stesso un tale problema per me che non penso che ciò che
Deluze e Guattari hanno voluto intitolare l’Anti-Edipo possa avere il minimo
interesse». Lacan avverte che non bisogna
premere il grilletto troppo rapidamente sul padre. La contrapposizione
rivoluzionaria tra le macchine desideranti e la Legge, tra la spinta
impersonale e de-territorializzante della potenza del desiderio e la tendenza
conservatrice alla ter-ritorializzazione rigida del potere e delle sue
istituzioni (Chiesa, Esercito, famiglia, psicoanalisi… ) rischiava di
dissolvere il senso etico della responsabilità soggettiva. Per Deleuze e
Guattari la parola soggetto è infatti una parola da mettere al bando, così come
Legge, castrazione, mancanza. L’Anti-Edipo compie un elogio a senso unico della
forza della pulsione che lo fa scivolare fatalmente in una prospettiva di naturalizzazione
vitalistica dell’umano. La liberazione dei flussi del desiderio reagisce
giustamente al culto rassegnato del principio di realtà al quale sembra votarsi
la psicoanalisi, senza accorgersi di generare un nuovo mostro: il mito della
schizofrenia come nome della vita che rigetta ogni forma di limite. Il mito del
corpo schizo come corpo anarchico, a pezzi, pieno, senza organi, costruito come
una macchina pulsionale che gode ovunque, antagonista alla gerarchia
dell’Edipo, si è tradotto nei flussi della macchina cinica e perversa del
discorso capitalista.
Eppure
l’Anti-Edipo a rileggerlo oggi è anche molto più di questo. Non è solo la
celebrazione di un desiderio che non riesce a fare i conti con la Legge della castrazione. C’è una
linea più sottile che attraversa questo libro e che la nostra generazione non è
riuscita probabilmente a cogliere sino in fondo. È un grande tema
dell’Anti-Edipo se non il tema centrale. Deleuze e Guattari lo ripropongono
attraverso le parole dello psicoanalista Reich: «perché le masse hanno
desiderato il fascismo?». Problema che ritroviamo intatto già in Spinoza:
perchè gli uomini combattono per la loro servitù come se si trattasse della
loro libertà?
In
Millepiani Deleuze e Guattari, quasi dieci anni dopo l’An-ti-Edipo, devono ritornare
sull’opposizione tra desiderio e Legge con una precisazione che avrebbe dovuto
essere presa più sul serio. Attenzioni ai micro-fascismi, ai micro-edipi che
s’insediano proprio là dove pensavamo ci fosse il flusso liberatorio del
desiderio. «La madre – scrivono i due – può credersi autorizzata a masturbare
il figlio, il padre può diventare mamma». Un’autocritica che suona
anticipatrice dei nostri tempi. Come Nietzsche avvertiva gli uomini che
vivevano nell’annuncio liberatorio della morte di Dio del rischio di generare
nuovi idoli (lo scientismo, il fanatismo ideologico, l’ateismo stesso, ogni
specie di fondamentalismo), allo stesso modo Deleuze e Guattari avvertono che
esiste un pericolo insidioso inscritto nella stessa teoria del desiderio come flusso
infinito, come “linea di fuga” che oltrepassa costantemente il limite.
Attenzione, sembrano dirci, che questa linea «non si converta in distruzione,
abolizione pura e semplice, passione d’abolizione». Attenzione che questa
“linea di fuga” che rigetta il limite non diventi una “linea di Morte”.
La Repubblica 17 novembre 2012
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