Oggi, anche se rischio di
sorprendere qualche amico, voglio dire la mia sulle drammatiche notizie che vengono dalla
cosiddetta Terra Santa. Mi vado sempre più convincendo, infatti, che le
religioni, come le ideologie, sono una gran brutta cosa: “COPERCHI DI LORDURE”
le definiva Adorno, sulla scia di Marx.
Su Internet impazza una campagna contro Israele che non tiene
minimamente conto dei giochi di potenza in corso in quell'area, quasi che da
Gaza partissero verso le città israeliane fiori e non missili di fabbricazione
iraniana. Peraltro in tutte le guerre, ormai, le prime vittime sono gli inermi,
vecchi e bambini. Il problema vero è che tutti, palestinesi ed ebrei, in questo
conflitto ormai quasi secolare hanno torti e ragioni. Ed è stato proprio
questo groviglio di ragioni, torti e interessi a renderlo finora insolubile e
in questo il "pacifismo" a senso unico dei sostenitori di Hamas è
solo un fattore di ulteriore confusione.
Ripropongo di seguito un articolo pubblicato oggi su La Repubblica che,
se non altro, riassume efficacemente alcuni dei problemi aperti:
Lucio
Caracciolo - Conflitto senza soluzioni
Solo, quel
territorio cambia nome a seconda dell’identità di chi lo evoca. Per il diritto
di nominare il “proprio” spazio, da oltre sessant’anni in Terra Santa si vive e
si muore, si uccide e ci si uccide. Il conflitto israelo-palestinese appartiene
dunque alla vasta categoria dei problemi senza soluzione.
In termini
logici, un problema senza soluzione non è un problema. Ma in politica, specie
in geopolitica – ossia nelle dispute territoriali – non vige la logica formale.
Se poi lo scontro investe la dimensione simbolico- identitaria, financo
religiosa, come nel caso israelo-palestinese, la ricerca del compromesso
diventa chimera. È su questo sfondo che conviene leggere l’ennesima crisi di
Gaza. In apparenza, è lo stesso copione del dicembre 2008 (Operazione Piombo
Fuso). Dopo che Hamas, filiale palestinese della Fratellanza musulmana, ha
preso in mano la Striscia di Gaza, da quel territorio (365 chilometri quadrati,
oltre un milione e mezzo di anime) partono a intervalli irregolari salve di
razzi che colpiscono Sderot, Ashkelon, Ashdod e altri insediamenti israeliani,
seminandovi il panico. Gerusalemme reagisce con raid aerei mirati. Finché, di
fronte all’intensificarsi degli attacchi missilistici, il governo non decide
che è il caso di dare una severa lezione a Hamas, in genere in vista di
un’elezione alla Knesset. La deterrenza strategica sposa la tattica politica.
In questo
caso, l’appuntamento elettorale di fine gennaio 2013 ha spinto Netanyahu a
giocare la carta militare per compattare il fronte interno e cogliere alle urne
una vittoria schiacciante. L’assassinio del capo militare (dunque il capo dei
capi) di Hamas, Ahmad Jabari, ha inaugurato mercoledì scorso l’Operazione
Pilastro di Difesa. Per ora aerea, forse presto terrestre. Come Piombo Fuso.
Scadute le poche settimane che le Forze armate israeliane possono dedicare a un
conflitto su terra, ognuno tornerebbe alle basi di partenza. In attesa delle
prossime (e) lezioni.
Tuttavia
l’apparenza inganna. Il copione delle provocazioni palestinesi e delle
rappresaglie israeliane sarà pure lo stesso, ma nei quattro anni che separano
Piombo Fuso da Pilastro di Difesa il mondo e il Medio Oriente sono cambiati. E
continuano a mutare, a ritmo convulsivo.
Anzitutto,
gli Stati Uniti hanno perso il Grande Medio Oriente. Dopo undici anni di guerra
al terrorismo e due disastrose campagne in Afghanistan e in Iraq, l’influenza
di Washington in quella che ci ostiniamo a definire una regione, mentre è uno
spazio in rapida frammentazione, è ai minimi storici. Sorpreso dalle “primavere
arabe”, Obama si è adattato a cavalcare un’onda rivoluzionaria che prometteva
di aprire una stagione di libertà, progresso e democrazia, scoprendo di doversi
accomodare, in Egitto e non solo, con i Fratelli musulmani, storica espressione
dell’islam politico.
Allo stesso
tempo, Obama si è costruito la fama di avversario di Netanyahu, irritando il
premier israeliano ma poi finendo per accettarne l’intransigenza sul dossier
palestinese e non solo pur di evitarne (ritardarne?) l’attacco all’Iran. Tanti
equilibrismi si traducono in schizofrenia a stelle e strisce: i Fratelli
musulmani che comandano al Cairo sono okay per assenza di alternative, i loro
affiliati a Gaza sono terroristi perché così ha stabilito Gerusalemme. Ancora,
dopo aver benedetto la rivoluzione contro Gheddafi, Obama scopre che gli
arcinemici del Colonnello uccidono il suo ambasciatore in Libia e così
contribuiscono a scatenare la faida fra le agenzie di intelligence americane.
In secondo
luogo, attorno a Gerusalemme non vi sono quasi più Stati, solo territori in
ebollizione, sui quali jihadisti e altri nemici di Israele si muovono con
agilità. La Siria non esiste più, è un campo di mattanza in cui gli islamisti
radicali guadagnano spazio e legittimazione. Il Libano è scosso dall’onda
d’urto della guerra civile siriana e Hezbollah continua a minacciare con i suoi
missili il Nord d’Israele. In Giordania il regime amico trema. L’Egitto,
governato dalla casa madre di Hamas, cerca di destreggiarsi fra solidarietà
ideologica ai fratelli di Gaza e interesse nazionale, che sconsiglia lo scontro
con Israele. Intanto il Sinai, penisola teoricamente egiziana dove passa il
confine con lo Stato ebraico e da cui si accede a Gaza, è più che mai terra di
nessuno – ossia di beduini e jihadisti.
Infine,
l’Iran. Il nemico numero uno dello Stato ebraico. Per Netanyahu, l’Operazione
Pilastro di Difesa è un capitolo nel confronto decisivo con Teheran. Hamas è
considerato da Gerusalemme il braccio armato dell’Iran in campo palestinese
(definizione spicciativa, ma che continua a orientare l’élite strategica e
soprattutto il pubblico israeliano). I razzi che hanno sfiorato Tel Aviv e le
colonie ebraiche presso Gerusalemme sono Fajr-5 di produzione persiana. Se
Israele attaccasse l’Iran, sarebbero usati per martellare lo Stato ebraico da
sud, mentre i missili di Hezbollah colpirebbero da nord.
Di qui
l’obiettivo dichiarato dell’attacco a Gaza: annientare il potenziale
missilistico annidato nella Striscia, peraltro in buona parte affidato a
milizie più radicali e assai più filo-iraniane dello stesso Hamas. Queste
ultime, in particolare la Jihad islamica e il Fronte popolare per la
liberazione della Palestina, sono responsabili dell’intensificarsi degli
attacchi anti-israeliani ai primi di novembre, che hanno offerto a Netanyahu
l’occasione per scatenare la sua aviazione contro Gaza. Quasi Teheran avesse
deciso di provocare Gerusalemme, in vista di una guerra che alcuni dirigenti
della Repubblica Islamica considerano vantaggiosa per la sopravvivenza del
regime.
Per ora, la guerra a Gaza è limitata. Israele non intende rioccupare la Striscia e Hamas non vuole suicidarsi nello scontro frontale con l’entità sionista.
Ma troppi focolai sono accesi attorno a Gerusalemme. Basta poco per incendiare l’intero Vicino Oriente e il Golfo. Nessuno potrebbe prevedere l’esito di una guerra totale. L’unica certezza è che non risolverebbe il dilemma arabo-israeliano, o peggio islamico-ebraico. In Terra Santa resta vero il postulato dell’antropologo americano Clifford Geertz: “Qui la sconfitta non è mai totale, la vittoria sempre incompleta, la tensione infinita. Tutte le conquiste e le perdite sono solo marginali e temporanee, mentre i vincitori cadono e gli sconfitti si rialzano”.
(Da: La
Repubblica del 18 novembre 2012)
Mi sembra discutibile equiparare le religioni alle ideologie.
RispondiEliminaBisogna innanzitutto intendersi sul significato che diamo al termine IDEOLOGIA.
RispondiEliminaNon hanno forse, tutte le religioni positive, determinato scelte ideali a sostegno di ipotetiche costruzioni del reale, e quindi con prospettiva politica?
RispondiEliminaEd in quanto tali, non si sono differenziate da quelle altre posizioni che tali scelte non avevano invece accolto?
Marx lo chiarisce a Feuerbach: le ideologie sono "interpretazioni" del mondo. Le religioni sono anche altro ovviamente, ma non si può negare la loro carica ideologica nella storia.
Carissima Grazia, tu conosci meglio di me il giudizio liquidatorio che Marx dà nella sua critica alla "Ideologia tedesca" e in "Miseria della filosofia" a tutte le ideologie. Su questo punto Gramsci, nei suoi Quaderni, si differenzierà da Marx. In Gramsci, infatti, si trova un giudizio più articolato e meno sommario sul peso che hanno avuto le ideologie nella storia.
RispondiEliminaFrancesco Virga
Ognuno è ebreo di qualcuno. Oggi i palestinesi sono gli ebrei di Israele.
RispondiEliminaPrimo Levi