L'anniversario
della rivoluzione sovietica del 1917 può essere una occasione per ripensare criticamente l'esperienza e la teoria
socialista. Nell’articolo che segue, pubblicato oggi in un blog che seguo con simpatia http://cedocsv.blogspot.it , Franco
Astengo ci propone
una sua prima sommaria riflessione, nel
vuoto assoluto di pensiero critico che oggi affligge la sinistra (e non solo in
Italia)
Non deporre il filo rosso del ragionamento
Scrive Lucio
Magri nel suo “Sarto di Ulm”: sono diventato comunista, per ragioni d’età, quando
la temperie del fascismo e della Resistenza si era chiusa da un decennio, anzi
dopo il XX congresso del PCUS e i fatti d’Ungheria, e dopo aver letto oltre a
Marx, Lenin e Gramsci anche Trockij e il marxismo occidentale eterodosso. Non
posso dunque dire: l’ho fatto per combattere meglio il fascismo, oppure dello
stalinismo e delle “purghe” non sapevo nulla. Ci sono entrato, perché credevo,
come ho continuato poi a credere, a un progetto radicale di cambiamento della
società di cui occorreva sopportare i costi”.
A 95 anni
dalla Rivoluzione d’Ottobre, da cui giorno che John Reed definì come “ I dieci
giorni che sconvolsero il mondo”, prendo a prestito le parole di Magri per
cercare di argomentare ciò che ho cercato di descrivere nel titolo: non deporre
il filo rosso del ragionamento.
Argomenterò
questa mia necessità seguendo il filone indicato da un grande pensatore
marxista, Eric J. Hobsbawn nel suo “Il Secolo Breve, 1914-1991”, riprendendo
letteralmente dal suo testo una citazione di Marx del 1859 : “ Nella produzione
sociale dei loro mezzi di sussistenza gli esseri umani entrano in relazioni
determinate e necessarie, indipendenti dalla loro volontà, relazioni produttive
che corrispondono a uno stadio determinato nello sviluppo delle forze
produttive materiali…In una certa fase del loro sviluppo le forze produttive
materiali della società entrano in contraddizione con le relazioni produttive
esistenti, ossia, ciò che non è altro che l’espressione legale di queste, con
le relazioni di proprietà entro le quali esse si erano mosse precedentemente.
Da forme di sviluppo della forze produttive queste relazioni si sono
trasformate nelle loro catene. Entriamo allora in un’epoca di rivoluzione
sociale”.
Ecco
descritto, profeticamente in anticipo, il conflitto tra le forze di produzione
e la sovrastruttura sociale, istituzionale ed ideologica che, dalla Rivoluzione
d’Ottobre in avanti, aveva trasformato una economia agraria in una economia
industriale avanzate, dentro alle grandi temperie del ‘900 tra le quali si è
collocata, al centro, la grande tragedia della Seconda Guerra Mondiale e poi il
dipanarsi complesso e difficile di quella che è stata definita “Guerra Fredda”.
I problemi
che “l’umanità” o piuttosto i bolscevichi si erano posti nel 1917 non erano
risolubili nelle loro circostanze di tempo e di luogo, o lo erano solo molto
parzialmente. Oggi ci vorrebbe un grado di fiducia molto alto per
sostenere che è visibile una soluzione nel futuro prossimo per i problemi
scaturiti dal crollo del comunismo sovietico o per affermare che ogni soluzione
che si offrirà nella prossima generazione potrà rappresentare un punto di
progresso.
La
situazione che si trova di fronte a noi appare chiara: con il crollo dell’URSS
l’esperimento del “socialismo reale” è terminato. Infatti, anche dove sono
sopravvissuti regimi comunisti come in Cina essi hanno abbandonato l’idea
originale di una economia controllata dal centro e pianificata dallo stato in
una società completamente collettivizzata, oppure l’idea di una economia
cooperativa senza mercato né proprietà privata. Non possiamo però cedere
senza combattere la battaglia delle idee rispetto alle tesi di Huntington e
Fukuyama : la storia non è finita!
Il punto sul
quale ragionare ancora, proprio oggi nella ricorrenza della data della presa
del potere da parte dei bolscevichi, riguarda il fatto che l’esperimento
sovietico non era stato concepito come alternativa globale al capitalismo, ma
come risposta specifica alla situazione peculiare di un paese come la
Russia. Il fallimento della rivoluzione mondiale, tra la fine degli
anni’10 e l’inizio degli anni’20 nell’immediato indomani della seconda guerra
mondiale, portò così all’emergere della linea del “socialismo in un paese solo”
e, quindi, all’assunzione di quel compito di alternativa globale, sulla base
del quale l’URSS ottenne comunque notevoli risultati, a partire dalla
costruzione degli altri Partiti Comunisti e della vittoria nella seconda guerra
mondiale.
L’esito,
però, è stato quello già rilevabile nel vizio d’origine (Plechanov scrisse: che
la Rivoluzione d’Ottobre potrà portare, nel migliore dei casi, ad un “Impero
cinese tinto di rosso”). L’impossibilità di rappresentare, da parte del
comunismo sovietico, una alternativa globale al capitalismo ha così portato,
alla fine, al rivelarsi di una economia senza sbocchi e ad un sistema politico
al riguardo del quale non è possibile esprimere certamente un giudizio
positivo.
Il nocciolo
della nostra riflessione deve però risiedere, oggi come oggi (dopo almeno due
decenni di arresto di qualsiasi tentativo di sviluppo in avanti di un pensiero
“critico”, al di fuori dalle logiche della globalizzazione e
dell’altermondismo, ma considerando tutti gli sviluppi verificatisi sul terreno
dell’economia, dell’innovazione tecnologica, del ruolo degli “Stati-nazione”,
della diversità e complessità dei livelli di sviluppo nell’ambito del pianeta)
nel cercare di comprendere fino a che punto il fallimento dell’esperimento
sovietico abbia messo in dubbio l’intero progetto del socialismo tradizionale,
cioè il progetto di una economia basata essenzialmente sulla proprietà sociale
e sulla direzione pianificata dei mezzi di produzione, di distribuzione e di
scambio. Si tratta di aprire un vero e proprio filone di pensiero, tante
volte enunciato, ma mai praticato: si tratta di separare la questione del
socialismo in generale da quello dell’esperienza specifica del “socialismo
reale”, con coraggio e curiosità intellettuale.
Proprio
l’incapacità dell’economia di tipo sovietico a riformarsi in un “socialismo di
mercato”, come pure si è tanto di fare dimostra con chiarezza come il
fallimento del socialismo sovietico non intacchi la possibilità di esplorare la
possibilità di altri tipi di socialismo, intesi – davvero – come alternativa di
società e quindi di espressione di una cultura politica assolutamente autonoma
ed in grado di affrontare le grandi contraddizioni dell’oggi, dal punto di
vista della difficoltà della condizione sociale delle grandi masse.
Non mi
addentro nell’analisi delle visioni profetiche di cui pure disponiamo
(Hilferding sulla finanziarizzazione, Luxemburg sul “socialismo o barbarie”,
Gramsci sull’egemonia, tanto per fare soltanto alcuni esempi). Concludo
ribadendo, appunto: non deponiamo il filo rosso del ragionamento.
Franco Astengo
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Nel blog http://candadi.blogspot.it/2012/11/il-95-anniversario-dellottobre-chagall.html
, realizzato da una persona che ha più
di un motivo per covare il suo giustificato risentimento nei confronti di un
regime che ha deluso tanti, ho trovato un bel commento al quadro di Marc
Chagall riproposto sopra. Ecco il commento:
Oggi è il 7
novembre ed è l'anniversario della Rivoluzione d'Ottobre (la sfasatura tra
ottobre e novembre è dovuta al calendario giuliano che misura il tempo della
Russia prerivoluzionaria. La Rivoluzione è avvenuta il 25 ottobre 1917).
Insomma, ottobre, novembre: le cose non sono mai quello che sembrano.
Marc Chagall lo sapeva bene e così ecco qua cosa scrive di quei
giorni memorabili nella sua La mia
vita (trad.M. Mauri, con lievi modifiche, edizioni SE):
“I soldati fuggivano dal fronte. La guerra, le munizioni, le pulci, tutto viene abbondonato nelle trincee.
I soldati, in preda al panico, rompevano i finestrini dei vagoni, prendevano d'assalto i treni distrutti, e, pigiati, come aringhe, filavano verso le città, verso le capitali.
La libertà ruggiva nelle loro bocche. Le bestiemme fischiavano.
Neanch'io resto al mio posto. Lascio l'ufficio, il calamaio e tutte le scartoffie registrate. Addio!
Anch'io, come gli altri abbandono il fronte.
La libertà e la fine della guerra.
Libertà. Libertà di tutto.
E scoppia, alfine, la rivoluzione di febbraio.
Il mio primo sentimento è che non avrò più guai con "passaportista".
/.../
Qualcosa stava per nascere.
Vivevo come in uno svenimento.
Non ho nemmeno udito Kerenskij. Era all'apogeo della gloria. La mano sul petto, come Napoleone, lo sguardo anche. Dorme nel letto imperiale.
Al ministero K.D. subentra quello dei semidemocratici. Dopo di loro, i democratici. Ci si univa. Scacco.
In seguito il generale Kornilov volle salvare la Russia. I disertori attaccavano tutti i nodi ferroviari.
"Torniamo ai nostri focolari!"
Si era nel mese di giugno. Gli esery [socialrivoluzionari] erano in voga. Cernov teneva, al circolo, discorsi.
"Assemblea costituente, assemblea costituente!"
Sulla piazza Znamenskij, davanti al grande monumento di Alessandro III, si cominciava a sussurrare:
"Lenin è arrivato"
"Chi è costui?"
"Lenin da Ginevra?"
"Proprio lui."
"E' qui."
"Possibile?"
"Abbasso! Cacciatelo via! Viva il governo provvisorio! Tutto il potere all'assemblea costituente!"
/.../
“I soldati fuggivano dal fronte. La guerra, le munizioni, le pulci, tutto viene abbondonato nelle trincee.
I soldati, in preda al panico, rompevano i finestrini dei vagoni, prendevano d'assalto i treni distrutti, e, pigiati, come aringhe, filavano verso le città, verso le capitali.
La libertà ruggiva nelle loro bocche. Le bestiemme fischiavano.
Neanch'io resto al mio posto. Lascio l'ufficio, il calamaio e tutte le scartoffie registrate. Addio!
Anch'io, come gli altri abbandono il fronte.
La libertà e la fine della guerra.
Libertà. Libertà di tutto.
E scoppia, alfine, la rivoluzione di febbraio.
Il mio primo sentimento è che non avrò più guai con "passaportista".
/.../
Qualcosa stava per nascere.
Vivevo come in uno svenimento.
Non ho nemmeno udito Kerenskij. Era all'apogeo della gloria. La mano sul petto, come Napoleone, lo sguardo anche. Dorme nel letto imperiale.
Al ministero K.D. subentra quello dei semidemocratici. Dopo di loro, i democratici. Ci si univa. Scacco.
In seguito il generale Kornilov volle salvare la Russia. I disertori attaccavano tutti i nodi ferroviari.
"Torniamo ai nostri focolari!"
Si era nel mese di giugno. Gli esery [socialrivoluzionari] erano in voga. Cernov teneva, al circolo, discorsi.
"Assemblea costituente, assemblea costituente!"
Sulla piazza Znamenskij, davanti al grande monumento di Alessandro III, si cominciava a sussurrare:
"Lenin è arrivato"
"Chi è costui?"
"Lenin da Ginevra?"
"Proprio lui."
"E' qui."
"Possibile?"
"Abbasso! Cacciatelo via! Viva il governo provvisorio! Tutto il potere all'assemblea costituente!"
/.../
La Russia si copriva di ghiacci
Lenin
l'ha rovesciata di sotto in su, come io rovescio i miei quadri. La signora
Kčessinskij è partita. Lenin tiene un comizio.
Sono tutti presenti. Già rosseggiano le lettere R.S.F.S.R. Nelle fabbriche il lavoro si fermava.
Gli orizzonti si svelavano.
Spazio e vuoto.
Niente pane. I caratteri neri sui manifesti mattutini mi straziavano il cuore.
Colpo di Stato. Lenin, presidente del Sovnarkom. Lunačarskij, presidente del Narkompros.
C'è anche Trockij. E Zinov'ev pure. Urickij controlla gli ingressi dell'assemblea costituente.
Sono tutti là e io... a Vitebsk.
Io posso fare a meno di mangiare per diversi giorni e restarmene seduto presso un mulino a osservare il ponte, i mendicanti, i disgraziati gravati di fardelli.
Posso attardarmi davanti ai bagni e vedere i soldati e le loro donne uscire con i rami di betulla in mano.
Posso andare a zonzo in riva al fiume, vicino al camposanto.
Posso dimenticarti, Vladimir Il'ič Lenin, e così pure Trockij...
E invece, anziché starmene in pace a dipingere i miei quadri, ho fondato una Scuola di Belle Arti e ne sono divenuto direttore, presidente e tutto ciò che volete.
"Che fortuna!"
"Che pazzia!" pensava mia moglie.
Il narkom Lunačarskij, sorridendo, mi riceve al Cremlino nel suo ufficio.
L'ho conosciuto una volta a Parigi, un po' prima della guerra. Faceva il giornalista. E' venuto nel mio studio alla "Ruche".
Occhiali, barbetta, maschera di fauno.
E' venuto a vedere i miei quadri per farne un articolo su un giornale.
Ho sentito dire che è marxista. Ma la mia conoscenza del marxismo si limitava a sapere che Marx era ebreo e che portava una lunga barba bianca. Mi rendevo conto che la mia arte non si sposava con lui.
Dicevo a Lunačarskij:
"Soprattutto non chiedetemi perché ho dipinto in blu o verde e perché si vede un vitello nel ventre di una vacca. Del resto, sono d'accordo: se Marx è così saggio, che torni al mondo e ve lo spieghi."
/.../
Ho l'impressione che di quella visita abbia conservato, e per sempre, un pessimo ricordo.
Ed ecco che ora mi riconferma solennemente nelle mie nuove funzioni.
Rientro a Vitebsk la vigilia del primo anniversario della rivoluzione d'Ottobre.
La mia città, al pari delle altre, si prepara a festeggiare decorando le sue strade con grandi manifesti.
Nella nostra città c'erano non pochi imbianchini.
Li ho riuniti tutti, giovani e vecchi, e ho detto loro:
"Ascoltate: voi e i vostri figli sarete tutti allievi della mia scuola.
Chiudete le vostre botteghe di insegne e scarabocchi. Tutte le vostre ordinazioni verranno trasmesse alla nostra scuola e ve le distribuirete tra di voi."
Tutti quegli imbianchini, i vecchi barbuti insieme ai loro apprendisti, si sono messi a copiare le mie vacche e i miei cavalli.
E il 25 ottobre, in tutta la città, dondolavano le mie bestie multicolori, gonfie di rivoluzione.
Gli operai marciavano cantando l'Internazionale.
Vedendoli sorridere ero certo ch'essi mi capivano.
I capi, i comunisti, sembravano meno soddisfatti.
Perché la vacca è verde e perché il cavallo s'invola nel cielo, perché?
Che rapporto c'è con Marx e Lenin?
Ci si precipitava a ordinare ai giovani scultori dei busti di Lenin e di Marx in cemento.
Temo che si siano sciolti sotto la pioggia di Vitebsk.
Povera città!”
Sono tutti presenti. Già rosseggiano le lettere R.S.F.S.R. Nelle fabbriche il lavoro si fermava.
Gli orizzonti si svelavano.
Spazio e vuoto.
Niente pane. I caratteri neri sui manifesti mattutini mi straziavano il cuore.
Colpo di Stato. Lenin, presidente del Sovnarkom. Lunačarskij, presidente del Narkompros.
C'è anche Trockij. E Zinov'ev pure. Urickij controlla gli ingressi dell'assemblea costituente.
Sono tutti là e io... a Vitebsk.
Io posso fare a meno di mangiare per diversi giorni e restarmene seduto presso un mulino a osservare il ponte, i mendicanti, i disgraziati gravati di fardelli.
Posso attardarmi davanti ai bagni e vedere i soldati e le loro donne uscire con i rami di betulla in mano.
Posso andare a zonzo in riva al fiume, vicino al camposanto.
Posso dimenticarti, Vladimir Il'ič Lenin, e così pure Trockij...
E invece, anziché starmene in pace a dipingere i miei quadri, ho fondato una Scuola di Belle Arti e ne sono divenuto direttore, presidente e tutto ciò che volete.
"Che fortuna!"
"Che pazzia!" pensava mia moglie.
Il narkom Lunačarskij, sorridendo, mi riceve al Cremlino nel suo ufficio.
L'ho conosciuto una volta a Parigi, un po' prima della guerra. Faceva il giornalista. E' venuto nel mio studio alla "Ruche".
Occhiali, barbetta, maschera di fauno.
E' venuto a vedere i miei quadri per farne un articolo su un giornale.
Ho sentito dire che è marxista. Ma la mia conoscenza del marxismo si limitava a sapere che Marx era ebreo e che portava una lunga barba bianca. Mi rendevo conto che la mia arte non si sposava con lui.
Dicevo a Lunačarskij:
"Soprattutto non chiedetemi perché ho dipinto in blu o verde e perché si vede un vitello nel ventre di una vacca. Del resto, sono d'accordo: se Marx è così saggio, che torni al mondo e ve lo spieghi."
/.../
Ho l'impressione che di quella visita abbia conservato, e per sempre, un pessimo ricordo.
Ed ecco che ora mi riconferma solennemente nelle mie nuove funzioni.
Rientro a Vitebsk la vigilia del primo anniversario della rivoluzione d'Ottobre.
La mia città, al pari delle altre, si prepara a festeggiare decorando le sue strade con grandi manifesti.
Nella nostra città c'erano non pochi imbianchini.
Li ho riuniti tutti, giovani e vecchi, e ho detto loro:
"Ascoltate: voi e i vostri figli sarete tutti allievi della mia scuola.
Chiudete le vostre botteghe di insegne e scarabocchi. Tutte le vostre ordinazioni verranno trasmesse alla nostra scuola e ve le distribuirete tra di voi."
Tutti quegli imbianchini, i vecchi barbuti insieme ai loro apprendisti, si sono messi a copiare le mie vacche e i miei cavalli.
E il 25 ottobre, in tutta la città, dondolavano le mie bestie multicolori, gonfie di rivoluzione.
Gli operai marciavano cantando l'Internazionale.
Vedendoli sorridere ero certo ch'essi mi capivano.
I capi, i comunisti, sembravano meno soddisfatti.
Perché la vacca è verde e perché il cavallo s'invola nel cielo, perché?
Che rapporto c'è con Marx e Lenin?
Ci si precipitava a ordinare ai giovani scultori dei busti di Lenin e di Marx in cemento.
Temo che si siano sciolti sotto la pioggia di Vitebsk.
Povera città!”
E' IL CASO DI RICORDARE CHE IL GIOVANE GRAMSCI SALUTò LA RIVOLUZIONE DEL 1917 COME LA RIVOLUZIONE CONTRO IL CAPITALE? E TU SAI BENE CHE SI RIFERIVA AL Capitale DI KARL MARX!
RispondiEliminaPerché la vacca è verde e perché il cavallo s'invola nel cielo, perché?
RispondiEliminaTemo che dal non aver accettato questo (perchè non si può capire, ma solo accettarlo come evidenza immaginaria)siano derivati la bruttezza, il dolore e l'orrore del "regime realista".
Perchè soltanto pochi continuano a farsi domande scomode?
RispondiElimina