Sono sempre più convinto che la poesia, in tempi duri e difficili come quelli che stiamo vivendo, sia necessaria e preziosa quanto il pane. Anche per questo voglio pubblicare oggi alcuni versi presi da un libro postumo di Wisława Szymborska:
Nel sonno
Ho sognato che cercavo una cosa,
nascosta chissà dove oppure persa
sotto il letto o le scale,
all’indirizzo vecchio.
.
Rovistavo in armadi, scatole e cassetti,
inutilmente pieni di cose senza senso.
.
Tiravo fuori dalle mie valigie
gli anni e i viaggi compiuti.
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Scuotevo fuori dalle tasche
lettere secche e foglie scritte non a me.
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Correvo trafelata
per ansie e stanze
mie e non mie.
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Mi impantanavo in gallerie
di neve e nell’oblio.
Mi ingarbugliavo in cespugli di spine
e congetture.
.
Spazzavo via l’aria
e l’erba dell’infanzia.
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Cercavo di fare in tempo
prima del crepuscolo del secolo trascorso,
dell’ora fatale e del silenzio.
.
Alla fine ho smesso di sapere
cosa stessi cercando così a lungo.
.
Al risveglio
ho guardato l’orologio.
Il sogno era durato due minuti e mezzo.
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Ecco a che trucchi è costretto il tempo
dacché si imbatte
nelle teste addormentate.
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Di seguito
ripropongo la recensione del libro fatta oggi da Franco Marcoaldi sul giornale La Repubblica:
Franco Marcoaldi – Szymborska: storia lirica
del mondo quotidiano
Il primo febbraio di quest’anno moriva Wisława Szymborska e subito
dopo è accaduta una cosa impensabile nel mondo editoriale italiano: grazie agli
appassionati omaggi comparsi sulla stampa, e soprattutto grazie a un incisivo
intervento in televisione di Roberto Saviano, l’opera della grande poetessa
polacca—come per miracolo—ha occupato la testa della classifica dei bestseller.
Un miracolo, appunto. Eppure facilmente spiegabile, perché i versi della
“signora di Cracovia” indicano ancora una volta, in modo inequivocabile, che
esiste una “poesia per tutti”. E quando quella poesia raggiunge tali vertici di
intensità, non conosce rivali. Perché nello spazio di pochi versi le parole
arrivano dritte al cuore, al cervello e allo stomaco del lettore: come una
frustata, o come una dolentissima carezza. Il nitore espressivo della
Szymborska ci costringe a risvegliarci dal nostro letargo mentale offrendoci
uno sguardo sghembo e imprevedibile sul mondo, accompagnato da uno humour
perfido, intimamente refrattario a qualunque pompa o solennità: bastano eventi
minuscoli, in apparenza insignificanti, che aprono però sempre e comunque sulle
cose ultime, sull’essenziale. Come stanno a dimostrare gli stessi titoli dei
suoi ultimi libri, via via sempre più minimali, ridotti all’osso: Attimo,
Due punti, Qui.
Ora però, alla semplicità, si aggiunge una vera e propria preveggenza: Basta così
suona infatti il titolo della raccolta postuma curata da Ryszard Krynicki e
tradotta da Silvano De Fanti per Adelphi. Si tratta di poche, fiammeggianti
poesie, a cui altre si sarebbero aggiunte, se non fosse sopraggiunta la morte
dell’autrice. Ma quelle poche, amorevolmente intessute dal curatore e che qui
compaiono anche sotto forma autografa, su foglietti scritti a mano con una
grafia minuta e crivellati da continue correzioni, scuotono il lettore più
ancora che in passato. Forse proprio perché sono gli ultimi suoi versi. E
dunque si è indotti a centellinarne la lettura: gustando a fondo e con pazienza
ogni singolo giro di frase, allo stesso modo di un nettare prezioso. Un’essenza
che ci rende assieme più ebbri e lucidi, pronti a seguire la poetessa nelle
diverse tappe del suo viaggio: mentre simpatizza per un tale che in solitudine
«lavora alla Raccolta dei rifiuti», senza dare mai «fiato alle trombe»; oppure,
mentre manifesta la sua palese insofferenza verso chi invece riesce a mettere
«tutto in ordine dentro e attorno a lui». Verso chi ha risposte per qualunque
cosa e «appone il timbro a verità assolute,/ getta i fatti superflui nel
tritadocumenti/, e le persone ignote/ dentro appositi schedari».
Come è possibile una simile, ottusa sicumera, a fronte dello straziante
enigma della vita? Come accettare la meschinità di chi passa disinvolto davanti
a un cane legato a una catena, talmente corta da non consentire al povero
animale di arrivare alla ciotola dell’acqua? Che fare davanti a una Natura
talmente «pazza» da imporci la fame, quando è evidente che « là dove c’è fame
finisce l’innocenza»? Come dichiararsi pacificati e soddisfatti in presenza di
quell’ingorgo ontologico fatto di «parole per spiegare le parole», «cervelli
intenti a studiare il cervello», «boschi ricoperti di bosco fino al ciglio»,
«occhiali per cercare gli occhiali»? Forse la nostra forza, e assieme la nostra
dannazione — rammenta la Szymborska in uno dei suoi guizzi vertiginosi — si
racchiude nella mano, in una semplice mano fatta di ossa, muscoli e cellule
nervose: « più che sufficiente/ per scrivere Mein Kampf/ o Winnie the Pooh».
Oltre che, se Dio vuole, per regalarci un libro non finito, minuscolo e
memorabile, come Basta così.
Riporto dal libro di Benedetta Tobagi, Come mi batte forte il tuo cuore, i versi di Wisława Szymborska: "Dunque ci sei? Dritto dall'attimo ancora socchiuso? La rete aveva un solo buco, e tu proprio da lì? Non c'è fine al mio stupore, al mio tacere. Ascolta, come mi batte forte il tuo cuore". Nessun commento, solo una forte pulsante emozione. Ed è sempre così con i versi di questa grande poetessa dell'anima.
RispondiEliminaTi ringrazio tanto per questo bel commento.
RispondiEliminaUn abbraccio