Il testo seguente, ripreso da http://www.minimaetmoralia.it/, fa da introduzione a La Danza dei Corvi di Manuelle Z. Mureddu, edito da Betistoria, libera trasposizione a fumetti de Il Giorno del Giudizio di Salvatore Satta (Adelphi).
La danza dei corvi: la magia primordiale della Sardegna
La Danza dei Corvi di Manuelle Mureddu è un atto d’amore.
In primo luogo, un atto d’amore nei confronti di una terra, la Sardegna, isola dal fascino irriducibilmente magico, in cui Madre Natura mostra parrossisticamente i suoi due volti archetipici: lo splendore e la durezza. Terra gravida di memorie primordiali, codici ancestrali, segrete mappe danzanti di luce nelle tenebre del dolore umano. Un crocevia di antiche energie sotteranee, straziante e paradisiaco nel conchiuso microcosmo geografico visitato d’estate da mandrie di turisti ignari. Più in particolare, il libro è un atto d’amore nei confronti di una città, Nuoro, luogo pregno di precipitati storici.
Chiese, moderne e diroccate, e nuraghi, segnano il volto architettonico di un teatro di storie contrastanti, tremende carestie e fiere rivolte, influenze romane e dominazioni spagnole, regni estranei che non hanno scalfito la granitica identità dei locali.
Soprattutto, Nuoro, nella sua scostante seduzione, per il Novecento ha rappresentato un misterioso e arido dedalo di nobili ispirazioni letterarie. Non ci riferiamo soltanto al monumento Deledda, Premio Nobel per la Letteratura, colei che fece assurgere la città a luogo dell’anima per i lettori di tutto il mondo. Non ci riferiamo nemmeno alle note penne straniere, da D.H.Lawrence a George Steiner, che hanno visitato Nuoro come meta di pellegrinaggio letterario.
Ci riferiamo, appunto, al terzo grande oggetto d’amore del libro: Salvatore Satta, uno degli scrittori più affascinanti del Novecento italiano.
La stessa natura della sua scrittura è fonte di riflessione: una produzione tenuta oscura nel chiuso di un segreto personale, all’ombra dell’attività ufficiale, quella di noto giurista.
Solo dopo la sua morte emersero tra le sue carte le sue opere, tra cui s’impose Il Giorno del Giudizio, destinato a divenire un caso letterario internazionale grazie alla pubblicazione Adelphi del 1979.
Satta possiede il dono dei grandi scrittori, la capacità di evocare con una frase un cosmo di riferimenti non detti, sottese implicazioni, profonde verità inconsce.
Un dono non comune, che si rivela in frasi come questa, degne del Borges più ispirato: “La gente di Nuoro sembra un corpo di guardia in un castello malfamato”. Come scrisse il già citato Steiner in occasione del suo viaggio a Nuoro sui luoghi di Satta: “Nessuno scrittore della memoria, a parte Walter Benjamin, comunica in modo più toccante di Salvatore Satta (si noti il presagio contenuto nel suo nome di battesimo) il diritto degli sconfitti, dei ridicoli e degli apparentemente insignificanti a essere dettagliatamente rievocati.
Nei climi nordici, il mormorare del vento tra le foglie, segno della loro venuta, è concesso una volta l’anno, alla vigilia della festa di Ognissanti. A Nuoro quella notte dura tutto l’anno. I defunti sono perennemente vicini, a implorare, a supplicare l’elemosina del ricordo”. E ancora, sbilanciandosi in un giudizio tra i più lusinghieri ipotizzabili: “…né Edgar Lee Masters né Dylan Thomas hanno l’intelligenza filosofica, la pazienza della sensibilità che consentono a Satta di realizzare una struttura formale pressoché priva di difetti”. Accostamenti che al lettore digiuno dell’opera sattiana potrebbero apparire eccessivi o sensazionalistici, ma che assumono piena plausibilità a chi ha avuto il privilegio di attraversare le frammentarie ma illuminanti visioni dello scrittore.
Una prosa dal rigore inesorabile, eppure aperta a suggestioni soprannaturali, al richiamo incerto di memorie irrazionali, intrisa di amara sapienza popolare ma al contempo forgiata in raffinato lavorìo stilistico di progressiva rarefazione. Un aspetto fondamentale in Satta è il rapporto, tragico e complesso, con la Tradizione. A proposito, il geniale e controverso Sergio Quinzio ebbe un’intuizione rivelatrice, indicando una profonda parentela con le vette della letteratura russa, nell’inquietudine della sua identità spirituale: “Satta vuole di più, cerca una fede che non può stare nel solco millenario della religione tradizionale (…) Questo lo avvicina ai grandi autori russi nutriti in profondità dalla fede ortodossa – Gogol’, Dostoevskij, Solov’ëv, Rozanov – che invano si è tentato di riportare interamente alla tradizione ecclesiastica. In realtà, essi, e anche Satta, hanno domande troppo terribili per i pastori e per i teologi”.
Il libro di Mureddu è un tributo onesto ed originale: il celebrato libro di Satta, infatti, viene reinterpretato con rispetto, ma anche con quella disinvolta familiarità che ispirano le opere che ci hanno plasmato.
La prospettiva narrativa è rovesciata e mescolata, ritmata in tre tronconi narrativi che corrispondono alle Tre Gallie, i tre quartieri storici di Nuoro. Satta, nella versione fumettistica, da narratore diviene protagonista, testimone stupito e innocente della fantomatica “danza macabra”, culmine memorabile del racconto. Testimone che, in altra accezione, viene passato verso la fine al vero protagonista del libro originale, Pietro Catte, figura universale nella sua dolente parabola esistenziale.
Anche qui Mureddu sa reinventare con grande fedeltà, inscenando un’impossibile rivincita personale, nel ricordo idealizzato delle giovanili vittorie a carte nello storico Caffè Tettamanzi, cuore mondano della città.
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