Disegno di Pino Manzella (2012)
In occasione della presentazione dell'ultimo libro del compianto Giuseppe Casarrubea, PIANTARE UOMINI, dedicato alla memoria di DANILO DOLCI, il nuovo Vescovo di Monreale, Mons. Michele Pennisi, secondo il resoconto che segue, ha benedetto l'opera dell' educatore e sociologo triestino.
I paradossi della storia sono davvero tanti e tutti imprevedibili: 50 anni dopo la maledizione del Cardinale Ruffini, su cui ci siamo tanto soffermati a parlare in questo blog, arriva inattesa la benedizione di un Vescovo di Papa Francesco.
fv
http://www.cinisionline.it/2014/10/21/piantare-uomini/6283
Visto che alcuni non riescono ad aprire il file www.cinisionline, di seguito potete leggere l'articolo in questione:
Piantare uomini
E’ stato presentato alla “Leggere è. Libreria, Caffè Teologico Letterario” di Partinico l’ultimo libro di Giuseppe Casarrubea Piantare uomini. Danilo Dolci sul filo della memoria. Il titolo deriva da un proverbio cinese che Danilo amava citare frequentemente: Chi guarda avanti dieci anni pianta alberi, chi guarda avanti cento anni pianta uomini.
Il moderatore della serata è Orazio De Guilmi, ex collaboratore di Danilo Dolci, che ricorda l’attività del sociologo negli anni ’50 e ’60, dopo aver lavorato con don Zeno Saltini a Nomadelfia. In Sicilia Dolci comincia a praticare e diffondere una sua personale reinterpretazione della nonviolenza gandhiana attraverso forme di lotta già utilizzate dal movimento contadino come le occupazioni delle terre o gli scioperi alla rovescia, sperimentando anche azioni fino ad allora poco conosciute dalle nostre parti come lo sciopero della fame. Ma è soprattutto la creazione di forme aggregative dal basso e l’uso delle conversazioni maieutiche di gruppo in cui, attraverso il racconto autobiografico, si riflette, si scopre sé stessi, la realtà che ci circonda e come cambiarla. Danilo Dolci è stato il promotore di una serie di strutture come Borgo di Dio a Trappeto, la scuola di Mirto e la diga sullo Jato. Il figlio di Danilo, Amico, ricorda che la scuola fu costruita in 6-7 mesi, il Comune di Partinico per sistemare la strada che portava alla scuola ci mise 19 anni.
Mons. Michele Pennisi, vescovo della diocesi di Monreale, apre il suo intervento dicendo che non ha mai incontrato personalmente Danilo Dolci ma lo ha conosciuto attraverso le parole di uomini come don Zeno Saltini, Lorenzo Barbera, Ignazio Silone, Carlo Levi, Ignazio Buttitta, don Cosimo Scordato. Anche lui fa una breve storia dell’attività del sociologo, la maieutica, “far emergere dal basso ciò che può contribuire al cambiamento della società”, “costruire una diga per togliere alla mafia il controllo delle risorse idriche”, “Danilo Dolci ha piantato dei semi, tocca a noi lavorare per vederne i frutti”. A questo punto Mons. Pennisi dice una cosa che non ci aspettavamo, un accenno di autocritica da parte della Chiesa: Il Cardinale Ruffini nel 1964 accusò ingiustamente Danilo Dolci di diffamare la Sicilia. De Guilmi, collegandosi a queste ultime parole, ricorda che Massimo Naro una volta gli disse che la Chiesa doveva chiedere scusa per come aveva trattato Danilo Dolci. Tocca al Dott. Francesco Del Bene, Sostituto Procuratore di Palermo, che con una certa enfasi dice che anche la Magistratura dovrebbe chiedere scusa perchè invece di appoggiare le lotte di Dolci è stata il braccio armato di un blocco di potere sostenuto da Politica, Chiesa e dalla stessa Magistratura. “La Magistratura doveva tutelare i diritti degli ultimi, pastori, contadini, pescatori, e invece si scagliò contro Danilo Dolci”. Tant’è vero che quando Bernardo Mattarella lo querela Dolci viene processato e condannato a due anni di reclusione per diffamazione, anche se le dichiarazioni raccolte erano molto precise e circonstanziate e, aggiunge De Guilmi, “i testimoni non furono neanche sentiti”.
Il Sostituto Procuratore a questo punto si guarda attorno e chiede: “Dove sono i giovani? Se i giovani non ci sono la colpa è nostra. Gli insegnanti dovrebbero trovare dieci minuti per parlare di Danilo Dolci ai loro studenti”. Ecco perchè “A Partinico Addiopizzo ha difficoltà a entrare”.
Tocca a Giuseppe Lo Bianco, giornalista del Fatto Quotidiano: “La storia di Danilo Dolci è la storia di una grande incomprensione. Non fu capito. Oltre alla Chiesa e alla Magistratura anche la categoria dei giornalisti dovrebbe chiedere scusa”. E racconta di un certo Montanelli che si presenta a Cortile Cascino sotto falso nome e quasi irride al digiuno per via della corpulenza di Dolci. Ricorda che il sociologo fu uno dei primi ad occuparsi di mafia ma non si fece attenzione alle sue denunce tant’è vero che “la mafia ormai riguarda le classi dirigenti di questo Paese”. Infine tocca all’autore del libro, lo storico Giuseppe Casarrubea: “Danilo Dolci è personaggio complesso. Ha organizzato e lottato a fianco di contadini e pescatori ma era anche un intellettuale. Ci ha dato delle coordinate entro le quali sviluppare un lavoro per il cambiamento della società attraverso processi che partano dal basso”. Si dovrebbe utilizzare la maieutica anche per sviluppare un certo lavoro a scuola. E a proposito di Scuola propone di cambiare il nome al Liceo Santi Savarino “perchè costui ha mantenuto rapporti con il mafioso Coppola ed era un intellettuale organicamente legato alla mafia. In questo modo Partinico darebbe un segnale forte all’Italia tutta per dire che c’è un’altra Partinico con una visione diversa della società”. Infine una critica a certa antimafia a scadenza: “Le giornate della legalità dovrebbero essere gli anni della legalità cioè si dovrebbe lavorare ogni giorno dell’anno per la costruzione delle coordinate della società delle regole”. Partinico è una realtà difficile nella quale la storia della mafia è molto complicata (per es. mentre altrove la mafia era “sommersa”, qui si è continuato a sparare). Danilo Dolci negli ultimi anni della sua vita scrisse molto di didattica e sulle regole della maieutica con un’attenzione particolare per la scuola. (Per inciso anche chi scrive ha partecipato a uno dei suoi corsi in cui noi insegnanti ci sedevamo in cerchio e a turno parlavamo delle nostre esperienze, all’inizio con una certa difficoltà ma poi si usciva da quelle sedute sempre più arricchiti dai racconti degli altri.) E conclude Casarrubea: “Le scuole sono come i formicai e noi dovremmo lavorare come le formiche: tutti assieme fare piccoli passi per il cambiamento della società”. Applausi.
Qui potremmo chiudere l’articolo ma, a beneficio dei più giovani, vogliamo ricordare velocemente da dove nasce l’accenno di autocritica da parte della Chiesa di mons. Pennisi.
Dopo la strage di Ciaculli il pastore valdese Pietro Valdo Panascia fa affiggere sui muri di Palermo un manifesto che suscita un certo apprezzamento nell’opinione pubblica e sui giornali. Il 5 agosto del 1963 il sostituto della Segreteria di Stato di Sua Santità Paolo VI, mons. Angelo Dell’Acqua scrive una lettera al cardinale di Palermo Ernesto Ruffini in cui, ricordando l’iniziativa del pastore valdese, chiede “se non sia il caso che anche da parte ecclesiastica sia promossa un’azione positiva e sistematica (…) per dissociare la mentalità della così detta “mafia” da quella religiosa” etc.
La risposta del cardinale Ruffini è risentita: “Mi sorprende alquanto che si possa supporre che la mentalità della così detta mafia sia associata a quella religiosa. E’ una supposizione calunniosa messa in giro, specialmente fuori dell’Isola di Sicilia, dai socialcomunisti, i quali accusano la Democrazia Cristiana di essere appoggiata dalla mafia, mentre difendono i propri interessi economici in concorrenza proprio con organizzatori mafiosi o ritenuti tali.”
Ma il cardinale Ruffini riprende il discorso in una famosa lettera pastorale la domenica delle Palme del 1964 dal titolo “Il vero volto della Sicilia”: “In questi ultimi tempi si direbbe che è stata organizzata una campagna per disonorare la Sicilia e tre sono i fattori che maggiormente vi hanno contribuito: la mafia, Il Gattopardo, Danilo Dolci.” Salto mafia e Gattopardo e vado direttamente al terzo colpevole che è quello che qui ci interessa.
Danilo Dolci si è trasferito in Sicilia “per iniziare quella campagna, apparentemente benefica, che doveva tanto corrompere in molti paesi d’Europa il vero volto della Sicilia”. Dolci nelle sue conferenze dice che il popolo siciliano è “tra i più arretrati e miserabili del mondo” suscitando in questo modo “molta attenzione in vari ambienti, mentre con i suoi decantati digiuni e piccole attività assistenziali ottenne – per protezione dei comunisti – il premio Lenin di 16 milioni di lire e da alcuni giornali il titolo di Gandhi della Sicilia. Tengo sott’occhio l’elenco delle sue gesta, che non specifico per non scendere in particolari incresciosi. Basti dire che dopo più di dieci anni di pseudo-apostolato questa terra non può vantarsi di alcuna opera sociale da attribuire a lui. Eppure continua a tenere conferenze in diverse nazioni, facendo credere che qui, nonostante il senso religioso e la presenza di molti sacerdoti, regnano estrema povertà e somma trascuratezza da parte dei poteri pubblici.”
La pastorale suscitò un certo scalpore. Il pastore Panascia scrisse una lettera aperta in cui difendeva Dolci e Il Gattopardo considerando problemi centrali la mafia e le condizioni di vita delle classi più povere… etc… etc…
Possiamo chiudere qui ricordando che siamo nei primi anni ’60 e i siciliani emigrano a migliaia in cerca di lavoro e di dignità.
Pino Manzella
Da http://www.cinisionline.it/2014/10/21/piantare-uomini/6283
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