Rocca Busambra e il lago dello Scanzano
Oggi propongo un altro capitolo del Palomar di Italo Calvino. Il protagonista del libro è un uomo che cerca di tenere gli occhi aperti sul mondo e su se stesso, alla ricerca continua di armonia in un mondo che ne è privo. Il suo nome viene dal nome dell'osservatorio astronomico di Mount Palomar in California. Il libro è una raccolta di articoli apparsi sul Corriere della Sera. "Rileggendo il tutto, -scrive Calvino, m'accorgo che la storia di Palomar si può riassumere in due frasi: " un uomo si mette in marcia per raggiungere, passo a passo, la saggezza. Non è ancora arrivato."
L' UNIVERSO COME SPECCHIO
Il
signor Palomar soffre molto della sua difficoltà di rapporti col
prossimo. Invidia le persone che hanno il dono di trovare sempre la cosa
giusta da dire, il modo giusto di rivolgersi a ciascuno; che sono a
loro agio con chiunque si trovino e che mettono gli altri a loro agio;
che muovendosi con leggerezza tra la gente capiscono subito quando
devono difendersene e prendere le loro distanze e quando guadagnarsi la
simpatia e la confidenza; che dànno il meglio di sé nel rapporto con gli
altri e invogliano gli altri a dare il loro meglio; che sanno subito
quale conto fare d'una persona in rapporto a sé e in assoluto. "Queste
doti, - pensa Palomar col rimpianto di chi ne è privo, - sono concesse a
chi vive in armonia col mondo. A costoro riesce naturale stabilire un
accordo non solo con le persone ma pure con le cose, con i luoghi, le
situazioni, le occasioni, con lo scorrere delle costellazioni nel
firmamento, con l'aggregarsi degli atomi nelle molecole. Quella valanga
d'avvenimenti simultanei che chiamiamo l'universo non travolge il
fortunato che sa sgusciare per gli interstizi più sottili tra le
infinite combinazioni, permutazioni e catene di conseguenze, evitando le
traiettorie dei meteoriti micidiali e intercettando al volo solo i
raggi benefici. A chi è amico dell'universo, l'universo è amico. Potessi
mai, - sospira Palomar, - essere anch'io cos¡!" Decide di provare a
imitarli. Tutti i suoi sforzi, d'ora in poi, saranno tesi a raggiungere
un'armonia tanto col genere umano a lui prossimo quanto con la spirale
più lontana del sistema delle galassie.
Per
cominciare, dato che col suo prossimo ha troppi problemi, Palomar
cercherà di migliorare i suoi rapporti con l'universo. Allontana e
riduce al minimo la frequentazione dei suoi simili; s'abitua a fare il
vuoto nella sua mente, espellendone tutte le presenze indiscrete;
osserva il cielo nelle notti stellate; legge libri d'astronomia; si
familiarizza con l'idea degli spazi siderei finché questa non diventa
una suppellettile permanente del suo arredamento mentale. Poi cerca di
fare in modo che i suoi pensieri tengano presenti contemporaneamente le
cose più vicine e le più lontane: quando accende la pipa l'attenzione
per la fiamma dello zolfanello che alla prossima tirata dovrebbe
lasciarsi aspirare fino in fondo al fornello dando inizio alla lenta
trasformazione in brace dei fili di tabacco, non deve fargli dimenticare
nemmeno per un attimo l'esplosione d'una supernova che si sta
producendo nella Grande Nube di Magellano in questo stesso istante, cioè
qualche milione d'anni fa. L'idea che tutto nell'universo si collega e
si risponde non l'abbandona mai: una variazione di luminosità nella
Nebulosa del Granchio o l'addensarsi d'un ammasso globulare in Andromeda
non possono non avere una qualche influenza sul funzionamento del suo
giradischi o sulla freschezza delle foglie di crescione nel suo piatto
d'insalata. Quando è convinto d'aver esattamente delimitato il proprio
posto in mezzo alla muta distesa delle cose galleggianti nel vuoto, tra
il pulviscolo d'eventi attuali o possibili che si libra nello spazio e
nel tempo, Palomar decide che è venuto il momento di applicare questa
saggezza cosmica al rapporto coi suoi simili.
S'affretta
a tornare in società, riallaccia conoscenze, amicizie, rapporti
d'affari, sottopone a un attento esame di coscienza i suoi legami e i
suoi affetti. S'aspetta di vedere estendersi davanti a sé un paesaggio
umano finalmente netto, chiaro, senza nebbie, in cui egli potrà muoversi
con gesti precisi e sicuri. E' cos¡? Nient'affatto. Comincia a
impelagarsi in un garbuglio di malintesi, vacillazioni, compromessi,
atti mancati; le questioni più futili diventano angoscianti, le più
gravi s'appiattiscono; ogni cosa che lui dice o fa risulta maldestra,
stonata, irresoluta. Cos'è che non funziona? Questo: contemplando gli
astri lui s'è abituato a considerarsi un punto anonimo e incorporeo,
quasi a dimenticarsi d'esistere; per trattare adesso con gli esseri
umani non può fare a meno di mettere in gioco se stesso, e il suo se
stesso lui non sa più dove si trova. Di fronte a ogni persona uno
dovrebbe sapere come situarsi in rapporto a essa, esser sicuro della
reazione che ispira in lui la presenza dell'altro - avversione o
attrazione, ascendente sub¡to o imposto, curiosità o diffidenza o
indifferenza, dominio o sudditanza, discepolanza o magistero, spettacolo
come attore o come spettatore, - e in base a queste e alle
controreazioni dell'altro stabilire le regole del gioco da applicare
nella loro partita, le mosse e le contromosse da giocare. Per tutto
questo uno prima ancora di mettersi a osservare gli altri dovrebbe
sapere bene chi è lui.
La
conoscenza del prossimo ha questo di speciale: passa necessariamente
attraverso la conoscenza di se stesso; ed è proprio questa che manca a
Palomar. Non solo conoscenza ci vuole, ma comprensione, accordo con i
propri mezzi e fini e pulsioni, il che vuol dire possibilità
d'esercitare una padronanza sulle proprie inclinazioni e azioni, che le
controlli e diriga ma non le coarti e non le soffochi. Le persone di cui
egli ammira la giustezza e naturalezza d'ogni parola e d'ogni gesto
sono, prima ancora che in pace con l'universo, in pace con se stessi.
Palomar, non amandosi, ha sempre fatto in modo di non incontrarsi con se
stesso faccia a faccia; è per questo che ha preferito rifugiarsi tra le
galassie; ora capisce che è col trovare una pace interiore che doveva
cominciare. L'universo forse può andar tranquillo per i fatti suoi; lui
certamente no.
La
strada che gli resta aperta è questa: si dedicherà d'ora in poi alla
conoscenza di se stesso, esplorerà la propria geografia interiore,
traccerà il diagramma dei moti del suo animo, ne ricaverà le formule e i
teoremi, punterà il suo telescopio sulle orbite tracciate dal corso
della sua vita anziché su quelle delle costellazioni. "Non possiamo
conoscere nulla d'esterno a noi scavalcando noi stessi, - egli pensa
ora, - l'universo è lo specchio in cui possiamo contemplare solo ciò che
abbiamo imparato a conoscere in noi". Ed ecco che anche questa nuova
fase del suo itinerario alla ricerca della saggezza si compie.
Finalmente egli potrà spaziare con lo sguardo dentro di sé. Cosa vedrà?
Gli apparirà il suo mondo interiore come un calmo immenso ruotare d'una
spirale luminosa? Vedrà navigare in silenzio stelle e pianeti sulle
parabole e le ellissi che determinano il carattere e il destino?
Contemplerà una sfera di circonferenza infinita che ha l'io per centro e
il centro in ogni punto? Apre gli occhi: quel che appare al suo sguardo
gli sembra d'averlo già visto tutti i giorni: vie piene di gente che ha
fretta e si fa largo a gomitate, senza guardarsi in faccia, tra alte
mura spigolose e scrostate. In fondo, il cielo stellato sprizza bagliori
intermittenti come un meccanismo inceppato, che sussulta e cigola in
tutte le sue giunture non oliate, avamposti d'un universo pericolante,
contorto, senza requie come lui.
Da Palomar di Italo Calvino
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