"Qualcosa dentro di noi è stato distrutto dallo spettacolo degli anni appena trascorsi. E questo è qualcosa di quell'eterna fiducia dell'uomo, che gli ha sempre fatto credere che un altro uomo può essere sottratto dalle reazioni umane parlandogli la lingua dell'umanità.
Abbiamo visto mentire, molestare, uccidere, deportare, torturare, e ogni volta non è stato possibile convincere chi non l'ha fatto, perché era sicuro di loro e perché non convinciamo un'astrazione, cioè il ripresentare un'ideologia.
Il lungo dialogo degli uomini si è appena concluso. E, ovviamente, un uomo che non riesci a convincere è un uomo che fa paura.
Tra la paura generalissima di una guerra che tutti preparano e la particolare paura delle ideologie omicide, è quindi vero che viviamo nel terrore.
Viviamo nel terrore perché la persuasione non è più possibile (... ), soffochiamo tra persone che credono di avere perfettamente ragione, nelle loro macchine o nelle loro idee.
E per tutti quelli che possono vivere solo di dialogo e amicizia con gli uomini, questo silenzio è la fine del mondo.
Per uscire da questo terrore, si dovrebbe poter pensare e agire secondo il proprio pensiero. Ma il terrore, infatti, non è un clima favorevole alla riflessione.
La mia opinione, però, invece di incolpare questa paura, considerala uno dei primi elementi della situazione e cerca di rimediare.
(…)
Per avere ragione con la [paura], devi vedere cosa significa e cosa rifiuta. Lei intende e nega lo stesso fatto: un mondo dove l'omicidio è legittimo e la vita umana è considerata futile. "
~ Albert Camus, "Né vittime né bewilders" Combat 1946.
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