Nell' odierna edizione palermitana di la Repubblica, Stefania Auci ricorda il contributo importante dato dalle donne siciliane, comprese quelle del mio paese natale, nell'ultimo decennio dell'800, al movimento dei Fasci. Nell' immagine della copertina del giornale potete leggere la prima parte dell'articolo, di seguito la continuazione.(fv)
LA LOTTA DELLE SICILIANE PER LA DIFESA DEI DIRITTI
I Fasci di Palermo, guidati da Rosario Garibaldi Bosco, e quelli di Trapani, con a capo Giacomo Montalto, si formano nel 1892; quelli di Siracusa, Caltanissetta e Agrigento seguono a ruota. Uguali sono lo slancio di ribellione e di riscatto, la rivendicazione delle riforme economiche, la richiesta di ridistribuzione delle terre dei latifondi. E uguale è il coinvolgimento di uomini e donne, perché « un bastone tutti lo rompono, ma un fascio di bastoni chi lo rompe?».
Ma chi erano davvero “ le fascianti”? La prima cosa sorprendente è che, all’interno dei Fasci, i confini tra le classi sociali, se non scomparsi, sembrano perlomeno un fattore secondario: sappiamo di artigiane, contadine e operaie, ma anche di donne che appartengono alla piccola borghesia, come la maestra elementare Argia Fossi, del Fascio di Trappeto, arrestata per la sua aperta professione di idee socialiste. L’invito alle donne a unirsi ai Fasci è presente addirittura negli statuti e infatti sorgono sezioni femminili a Campofiorito di Roccella, San Giuseppe Jato, Belmonte Mezzagno, Trappeto, e poi ancora a Caltavuturo, Altavilla, Marineo, Chiusa Sclafani, paesi che rappresentano il cuore agricolo e produttivo dell’Isola. A Corleone, la quasi totalità della popolazione risulta iscritta ai Fasci. Persino in un piccolo centro nei pressi di Caltanissetta come Milocca (oggi Milena), sono più di cinquecento, ben organizzate e agguerrite, tanto da ottenere la liberazione degli uomini arrestati durante le manifestazioni del 1893.
È grazie a un giornalista del quotidiano romano La Tribuna, Adolfo Rossi, che arriva in Sicilia nell’ottobre 1893 per un’inchiesta sulla situazione dell’Isola, che abbiamo la possibilità di capire la forma e le conseguenze di questa adesione massiccia. «Le donne, sintomo molto serio, sono le più ardenti e i Fasci di contadine non si mostrano meno agguerriti di quelli degli uomini. In certi paesi l’entusiasmo per la sperata redenzione economica è giunto al punto da sostituire ogni altra fede; donne, che erano religiosissime, non credono più che ai Fasci » , scrive Rossi nel volume L’agitazione in Sicilia, a proposito delle ultime condanne: impressioni e giudizi in cui rielabora la sua inchiesta. La sorpresa del giornalista è tangibile, e l’accenno alla religione rivela quanto sia percepita come « innaturale » la partecipazione femminile a un movimento di lotta. In realtà, l’allontanamento di molte “ fascianti” dalla Chiesa non è la semplice sostituzione di un credo politico a un credo religioso, ma l’implicita denuncia di un’istituzione che appoggia il sistema di potere e di malaffare e che impedisce la redistribuzione delle terre.
« A una precisa domanda in tal senso, una delle intervistate rispose così: “Gesù era un vero socialista e voleva appunto quello che chiedono i Fasci, ma i preti non lo rappresentano bene, specialmente quando fanno gli usurai. Alla fondazione del Fascio i nostri preti erano contrari e al confessionale ci dicevano che i socialisti sono scomunicati. Ma noi abbiamo risposto che sbagliavano, e in giugno, per protestare contro la guerra ch’essi facevano al Fascio, nessuno di noi andò alla processione del Corpus Domini. Era la prima volta che avveniva un fatto simile”».
Il socialismo – anche solo in nuce – dei padri, dei fratelli, dei mariti passa alle figlie, alle sorelle, alle mogli: il vero primo nucleo del Fascio è dunque la famiglia, in cui la sofferenza emerge in tutta la sua gravità, in cui ci si confronta, anche solo per sfogo, sulle vessazioni cui sono sottoposti i braccianti e gli operai da parte dei proprietari terrieri e dei padroni degli opifici.
Una consapevolezza che si fa forte dell’unità, ma anche di donne singole. E allora emergono altri nomi. Nell’attivissimo Fascio di Piana dei Greci ( oggi Piana degli Albanesi), gli uomini sono 2500 e le donne un migliaio. Tra queste, un personaggio eccezionale, Maria Cammarata, leader, portavoce e simbolo del Fascio delle lavoratrici. A più riprese, rivendica il diritto per le donne a una istruzione e a un salario dignitoso che le sottragga alla sudditanza – anche psicologica – di cui sono vittime. Il 22 maggio 1893, a Palermo, al Congresso dei Fasci Siciliani, Maria spiega la sua posizione in un intervento appassionato, che impressiona i delegati di tutta l’Isola e viene registrato persino dal Giornale di Sicilia, secondo il quale Cammarata parla con voce straordinariamente forte e chiara, esprimendo le sue idee in maniera sorprendente. Non meno carismatica è un’altra donna, anzi un’adolescente: Marietta, la figlia di Giuseppe de Felice Giuffrida. Dopo l’arresto del padre a seguito degli scontri del 1893, Marietta catalizza l’attenzione di tutti: « Una gentile giovanetta quattordicenne straordinariamente animata dalla fede nel socialismo, che parla al popolo col fervore di una missionaria e che per sesso e per l’età esercita sulle masse un vero fascino » , scrive Adolfo Rossi. E poi ci sono le lotte prevalentemente femminili di Calogera Vitellaro, detta la Tamburina, tra le promotrici dell’assalto alla caserma dei carabinieri di Milocca, o di Anna Oliveri e Concetta Lombardo, di Marineo, accusate di aver promosso manifestazioni sediziose e messe in prigione.
«Organizzare, scuotere, educare: ecco il nostro grido di guerra » . Sono parole di Susan B. Anthony, una delle madri del femminismo, contemporanea delle “ fascianti”. Alla sua tomba tante donne hanno reso omaggio dopo l’elezione a vicepresidente degli Stati Uniti di Kamala Harris. Non sarebbe bello – e giusto – se anche noi avessimo un luogo in cui onorare i tanti nomi – le tante donne – che con incredibile coraggio hanno aperto la strada alla nostra emancipazione?
STEFANIA AUCI
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