EURIDICE
Allontana i tuoi passi
dalla mia notte
non ti voltare
se la mia voce ti chiama
e ti lusinga.
Se mi guardi
è cenere il mio sangue
i miei piedi
un blocco di cemento.
Ho contato mille volte
gli aironi
oltre la roccia scura
che mi bendava gli occhi
e ho cercato la luce
nel ricordo del canto
che mi spezzava il cuore.
Ma seppi troppo tardi
che non fu amore
a spingerti
nel fuoco del mio inferno
e questo andare avanti
senza ali
questo precederti cieco
nella solitudine
è la condanna che predissero
gli aruspici rivoltando
viscere d'agnello
accanto alla mia culla.
Il mio lamento è muto
non pretende pietà
né la dispensa.
Dirotta la tua voce
ad altri orecchi.
Che mi si tolgano
tutti e cinque i sensi
che mi si lasci errare
per le vie del buio
prima di morire una volta
ancora nell'illusione
di essere raggiunta.
(dalla raccolta Le voci e la memoria, Gabrielli 2000)
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