14 marzo 2024

GOFFREDO FOFI E DANILO DOLCI

 


In vista dell' incontro di lunedì prossimo, Salvatore Costantino ha preparato e pubblicato nel sua diario Facebook questa stimolante scheda:

DANILO DOLCI e GOFFREDO FOFI  NELLA SICILIA DEGLI  ANNI 50 e 60 

"A 14 anni lessi "Cristo s´è fermato a Eboli", poi su "Cinema Nuovo" di Aristarco vidi un fotoservizio di Enzo Sellerio dedicato alla Sicilia di Dolci. Dopo il diploma di maestro, nel 1955, da Gubbio decisi di scendere da Danilo. All´appuntamento mi accompagnò mio padre, un contadino umbro con la terza elementare: essendo di fede socialista non batté ciglio e mio padre mi lasciò andare

I disoccupati di Partinico e i bambini di Cortile Cascino, quasi Terzo Mondo.

«Per me la scoperta di un mondo tragico, il Sud raccontato da Levi ma anche dal neorealismo di Germi. Partecipai allo “sciopero alla rovescia” dei disoccupati: erano in gran parte poveri cristi della Banda Giuliano che uscivano dal carcere. Vidi bambini che languivano nella miseria. Una notte mi chiamarono nella baracca d´una ragazzina uccisa dalla fame. Partecipai alla veglia funebre, quando all´improvviso ne sentimmo esplodere la pancia rigonfia. Avevo 19 anni”. 

Nella prefazione alla seconda edizione del 2011 (la prima è del 1968) de “I ministri dal cielo” di Lorenzo Barbera, dal titolo significativo “Da dove ricominciare”, Fofi con riferimento particolare al Belice, traccia un quadro che ben ci fa capire l’importanza e l’attualità delle iniziative degli anni Cinquanta-Settanta:

“Nel Belice grazie alla presenza di pochi ma determinati “operatori sociali” o “volontari” o, come forse sarebbe più giusto definirli, sollecitatori dal basso di forme di democrazia diretta e di responsabilizzazione di tutti nei confronti della “cosa pubblica”, di educatori nel senso di saper contribuire a far esprimere dai singoli e da una comunità le loro migliori energie, si è assistito a suo tempo a uno straordinario esperimento di democrazia dal basso, di lotte di popolo che, per la persuasione e la determinazione di tanti, portarono a notevoli vittorie.” 

(Goffredo Fofi, Prefazione alla seconda edizione del 2011 de “I ministri dal cielo” di Lorenzo Barbera, pp. 7-8).

 

IL PUNTO DI VISTA  DI ROBERTO CIUNI 

“La Sicilia s’era placata. Priva di passione politica, la piccola (e una volta timorata) borghesia sicilianista – il bacino milazziano era stato lì – fu taciuta con piogge di denaro della Regione, tonnellate di cemento tacitarono i benestanti, i contadini si tacquero da soli salendo sui treni diretti al Nord.

L’Ora di Nisticò era stata una delle testate protagoniste dell’ammodernamento professionale del giornalismo italiano. Chissà se qualcuno lo farà mai. Pensando di non avere bisogno di giornali collaterali quanto prima, il Pci strinse i cordoni della borsa. La speranza di Enrico Mattei, editore dell’Ora, di esaltare il petrolio trovato a Gagliano, morì, insieme a lui nell’aereo caduto a Bascapè. E arrivò, in un contesto di veleni, il caso De Mauro” 

 (Roberto Ciuni, "Il maestro di piazzale Ungheria" , in "Era L’Ora, il giornale che fece storia e scuola, a cura di Michele Figurelli e Franco Nicastro, XL, Roma, 2011, 45-46).

  

IL GIUDIZIO DI GIUSEPPE GIARRIZZO 

“Una società siffatta genera inevitabilmente, afferma Giarrizzo - nel contesto della nuova Italia, una “questione siciliana”: ma è la mafia a interpretarla, la mafia “spina dorsale della tipica società siciliana”, che assorbe ogni sforzo di cambiamento esogeno o endogeno, dagli anni ’70 dell’Ottocento fino al movimento contadino del secondo dopoguerra. Qui compare, a Trappeto, Dolci: ma il suo lavoro è come “gocce piovute accidentalmente su un terreno ricco di forze in contrasto e proprio per ciò incapace di ogni equilibrio e di ogni sviluppo”.

E tuttavia egli è sfuggito al duplice pericolo di restare estraneo all’“ambiente” o di esserne assorbito: a salvarlo fu la scoperta del banditismo attraverso le famiglie dei banditi, il banditismo come “condizione permanente di una società, il tono congelato della vita di un popolo”.

 Ma con l’Inchiesta a Palermo, si è già su un terreno più solido che apre ad una istanza politica, il pieno impiego, e però insieme a due richieste di “generica filantropia”, dignità civile e rispetto dell’uomo. Ma “si può davvero pensare che una borghesia, storicamente incapace di creare gli strumenti politici della propria egemonia di classe, posa convertirsi ad una tesi di spiritualità laica?” Il dubbio del meridionalista è come confortato dallo scetticismo della mafia che assassina i sindacalisti, da Panepinto a Carnevale, ma risparmia Dolci e la sua denuncia dello “spreco”

 [Giuseppe Giarrizzo, “Sicilia oggi 1950-86”, in G. Giarrizzo, M. Aymard (a cura di), Einaudi,1987: 628-630].

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