La leggerezza con cui si parla di guerra è sconcertante. Anche io come
molti di voi sono rimasto impressionato dalle dichiarazioni dei vari esponenti
europei, da Michel a Macron, passando poi per Von der Leyen, i quali da un lato
denigrano la Russia per la sua arretratezza economica e tecnologica, dall'altro
però le attribuiscono la forza di attaccare persino i paesi Nato, sebbene in
due anni non sia ancora riuscita a conquistare tutto il Donbas.
La spiegazione più semplice di questa isteria guerrafondaia è che le élites
europee vogliano spingere i paesi al rapido riarmo e questo anche al prezzo di
nuove privatizzazioni, così come di tagli ai servizi, alla sanità e
all'istruzione. La guerra costituisce in questo senso un grande affare per le
lobby delle armi e più in generale per il capitale privato che si troverà nella
condizione di prendere il posto del pubblico abbastando definitivamente le
conquiste sociali del secondo Novecento.
Ma è proprio così? Questa spiegazione, diciamo così, opportunistica e
affaristica mi convince sino a un certo punto. Credo che ci sia dell'altro.
L'isteria della guerra mi pare che nasconda anche un cambio culturale. È
forte in Europa il tentativo di affrontare il declino della globalizzazione
attraverso nuovi sentimenti di paura e odio verso ciò che sta ad est, ovvero
verso Russia, Cina e Iran. Non è più possibile difendere i privilegi economici
dell'Occidente con la forza militare americana, né con l'ipocrisia della
globalizzazione e della sua promessa di benessere generalizzato per mezzo della
diffusione degli ideali del mercato e della libera iniziativa.
Gli Usa vivono una fase di ripiegamento imperiale. Le sue classi politiche sono corrotte e meschine. Più in generale l'Occidente è nel mondo minoritario. Sui suoi paesi si sono del resto accumulate quote gigantesche di odio e di desiderio di rivalsa da parte dei paesi esclusi dal benessere, vittime delle colonizzazioni. Per di fendersi ai paesi occidentali non resta che restaurare e amplificare la dicotomia noi/loro e agitare lo spauracchio della guerra vestendo i panni degli agnelli, ma preparandosi a ribadire la loro natura di lupi.
PAOLO DESOGUS
(Docente di letteratura italiana
alla Sorbone di Paris)
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