Più di dieci anni fa, nel ricordare uno dei libri più belli di Danilo Dolci, ne citavo uno dei passi centrali:
“lo spreco dell’acqua nella Sicilia occidentale, dove vanno a mare,
considerando solo i maggiori bacini, circa 200 milioni di metri cubi d’acqua
ogni anno, senza che questo costituisca una pubblica preoccupazione, mentre non
solo in Israele ma in Egitto si fa meglio di noi.
[…] Siamo miopi, vediamo a fatica. Purtroppo è molto facile sprecare,
sprecarsi, cominciando da noi stessi. C’è molto spesso un movimento solo
apparente: come quando si pesta l’acqua nel mortaio. […]
Come si può pretendere
puntualità, concetto del valore del tempo, finchè non esiste concetto del
valore dell’uomo?
E come ci si può aspettare che
una popolazione, spesso statica da secoli, si muova per realizzare una nuova
vita, se essa non sa che vita diversa, vita nuova, può esistere? […] Come
possono milioni di persone sapere che è loro possibile cambiare la faccia della
loro terra, finché il problema per loro non esiste? E come può nascere una
pianificazione consapevole, coi piedi per terra, zona per zona, se non
attraverso uno sforzo di comprensione e di qualificazione di tutto un popolo?
Sono problemi soprattutto di struttura, di uomini, di competenze: l’importante è rompere, da qualche parte, il cerchio chiuso.” (D. Dolci, Spreco, Einaudi 1960)
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