03 marzo 2024

LUCIANO BIANCIARDI IN MOSTRA

 


SULLA LUNA NON C’È NIENTE: BIANCIARDI IN MOSTRA

di Beatrice Pagni 

Pezzo ripreso da https://www.minimaetmoralia.it/wp/fotografia/sulla-luna-non-ce-niente-bianciardi-in-mostra/

 

Raccontare Luciano Bianciardi, per chi lo ha letto, per chi ha provato a capirlo, per chi si è sentito precario e insofferente dentro le sue pagine, può essere un’operazione complessa. E mastodontica. Come osserva giustamente Gian Paolo Serino in Luciano Bianciardi. Il precario esistenziale (ed. Clichy, 2015), “Il vero dramma di Luciano Bianciardi è di essere più commentato che letto. Ancora oggi molti conoscono La vita agra, ma ben pochi l’hanno letto davvero”. Eppure oggi, una lettura che supera il commento, l’esegesi, la citazione è possibile grazie all’operazione più che riuscita di una mostra fotografica intenta proprio a raccontare – a leggere – la vita di Bianciardi. Il lavoro preziosissimo e dettagliato, potremo dire archivistico, di chi ha voluto e messo in piedi l’esposizione fotografica Sulla luna non c’è niente, ha superato di fatto quella presunta inafferrabilità legata all’icona del sempiterno rivoluzionario. Un percorso illustrativo che ha visto l’organizzazione coesa della Fondazione Luciano Bianciardi e del Comitato nazionale per il centenario della nascita di Bianciardi, in collaborazione con Fondazione Grosseto Cultura – Polo culturale Le Clarisse, con il supporto di Fondazione CR Firenze e il patrocinio del Comune di Grosseto.

Come si racconta una vita? Se lo è chiesto Lucia Matergi, direttrice scientifica della Fondazione Luciano Bianciardi, che nel bellissimo catalogo della mostra, curato da Sergio Oriente, Michele Gandolfi e Michele Guerrini (Effigi edizioni), scrive quanto il dato biografico di Bianciardi invada la sua scrittura, influenzando ogni racconto, ogni scritto, confondendo la sua esistenza con quella immaginata altrove, senza interessarsi minimamente – e senza mai far interessare il lettore – a dividere ciò che è vero da ciò che non lo è. Dunque la fotografia sembra prestarsi perfettamente all’indagine della vita dello scrittore grossetano, una vita che scappa a gambe levate da qualsivoglia tentativo documentaristico, anteponendo l’interpretazione all’oggettività. Tenere a bada la natura conflittuale e ostinata di Bianciardi rende affannosamente romantica anche l’idea di labor limae su quella che è stata la sua vita impressa su pellicola, negli stessi anni in cui ancora doveva capire se far saltare il sistema o esserne parte integrante.

Sulla luna non c’è niente, che segna l’ultimo atto delle celebrazioni del centenario della nascita, racchiude in sé una serie di registri fotografici che dettano al meglio il caleidoscopico vortice che è stata la vita – purtroppo breve – dello scrittore e giornalista. Chiunque sia appassionato del racconto di come l’Italia e l’Europa siano mutate dal dopoguerra al boom economico, può scovare nella narrazione micro e macroscopica dell’intellettuale toscano una lente per poter osservare al meglio una società che si stava imponendo come consumistica abbandonando per sempre le proprie radici contadine, obbligandosi a un falso bisogno di beni superflui fino a diventare schiava delle necessità. Leggere la mostra fotografica attraverso la lente degli scritti di Bianciardi è bellissimo, doloroso e divertente al tempo stesso. Ci troviamo di fronte a un uomo che è un gomitolo di conflitti, e che sperimenta su di sé tutti quelli del proprio tempo.

Nel percorso espositivo è possibile scoprire la Maremma natia, dei minatori e dei braccianti, ma anche la Milano calvinista dell’industria culturale, gli intellettuali ragionieri che parlano con formule sempre uguali e sempre vuote. Il conflitto tra una mente libertaria e gli istinti possessivi, la mania per l’eros autentico e il terrore di una sessualità alienata, il mestiere culturale a cottimo (Bianciardi ha tradotto di tutto) per pagare le bollette. Un’esistenza che oltre a toccare i vertici della letteratura, ha potuto sondare i mari della traduzione, portando in Italia autori come Kerouac, Miller, Behan – le prime edizioni di SotterraneiTropico del Cancroragazzo del Borstal – sono esposte come cimeli di una fortuna che abbiamo avuto e di cui troppo spesso ci siamo dimenticati. Lo sguardo della mostra cattura tanto il Bianciardi privato – splendidi gli scatti cittadini che lo ritraggono a passeggio con l’immancabile cappotto scuro, foto che arrivano in larga parte dalla collezione Sergio Oriente–Enrica Piscolla – quanto i luoghi fisici e culturali del suo tempo: dalla miniera di Ribolla e i suoi morti all’invasione della pubblicità nella vita casalinga delle famiglia, le fotografie esposte contribuiscono al racconto di un mondo altro da Bianciardi ma che è il mondo in cui Bianciardi stava diventando lo scrittore che tutti conosciamo.

La mostra si sviluppa in quattro sezioni che, sfruttando la cronologia degli eventi, attraversa la vita dello scrittore e in parallelo quella del Paese: se nella prima sala – che titola L’engagé di Kansas city – si indaga il periodo grossetano della formazione e dell’impegno civile del Nostro, dal diario di guerra alle riviste culturali fino al reportage della tragedia di Ribolla assieme a Carlo Cassola, è nella seconda – Il rivoluzionario dis-integrato – che la geografia ci porta a Milano. Il progetto dello scrittore rivive negli scatti dei simboli del potere a cui sia il Bianciardi sia il Bianchi de La Vita Agra sognano di dare assalto, lo stesso potere che disegna una città velocissima, preda di nuove necessità, di nuovi linguaggi e che vede il Nostro passeggiare per le vie grigie di una metropoli avida e vibratile. Bianciardi è spesso solo nelle foto, gli occhi scrutano il momento, le dita affusolate si lasciano sempre accompagnare da una sigaretta. Bianciardi cammina, Bianciardi legge nel suoi studio, Bianciardi scrive a macchina. La vita agra è davanti ai nostri occhi in tutta la sua drammatica potenza e, grazie al restauro attuato sul materiale fotografico, permette all’osservatore di scovare una nuova luce, nel quadro armonico che si crea tra immagine e parola. Questo senso del recupero legato tanto al documento quanto alla figura dell’intellettuale assume una valenza di rinascita, suggerendo come una rilettura profonda dell’opera omnia di un autore non sia mai sufficiente per rintracciare tutti i punti cardinali di un’esistenza in preda al furore.

La galleria dal titolo Disseminare, dissipare offre un biglietto solo andata per il tour interstellare nella sua multiforme produzione artistica: articoli di costume, focus sulla mafia, analisi sulla televisione, scritti disincantati sul calcio – Bianciardi rinunciò all’offerta di scrivere per Il Corriere della Sera preferendogli Il Guerin Sportivo -, racconti brevi di stampo erotico, e poi il cinema con Lizzani che trasporta le avventura di Luciano Bianchi sul grande schermo con la straordinaria interpretazione di Ugo Tognazzi . Traduzioni, giornalismo culturale, Bianciardi ha scritto di tutto indagando tutto con la stessa dignità culturale che non ritiene un genere minore di un altro ma anzi tende al recupero etico di spazi considerati più scadenti dalla intellighenzia del tempo.

Uno dei primi oggetti presenti all’interno della galleria è un numero della rivista New Kent (“mensile per gli uomini”) del marzo 1969, in cui Bianciardi – inviato spaziale -, pubblica l’articolo La luna è lontana, sull’allunaggio ad opera degli americani, conquista che non lo rallegra affatto. Ravvicinata, smitizzata, calpestata, ormai conquistata, pure lei, Signora Luna,  dallo strapotere USA: svanisce così lo spazio onirico, il mistero che ispira poeti e che illumina i baci degli innamorati. Luciano desidera un’altra luna, idealizzando una società egualitaria, democratica, libertaria perché non può esserci progresso senza una dimensione etica che lo indirizzi al bene collettivo. Ed è proprio l’idea – utopica! – di una rivoluzione popolare a smuovere, con tenera commozione, la narrazione conclusiva: Aprire il fuoco è una commovente dichiarazione d’amore e guerra allo spirito contraddittorio di Bianciardi, alle sue tribolazioni che faranno da fondamenta alla scrittura del suo ultimo romanzo pubblicato nel 1969. Le istanze collettive si sono disintegrate di fronte agli scontri violenti, agli attacchi terroristici, a Piazza Fontana, alla morti accidentali degli anarchici (toccante il telegramma inviato a Camilla Cederna che nel 1971 scrisse Pinelli. Una finestra sulla strage, una raccolta di inchieste sulla morte dell’anarchico, “per Pinelli sarò sempre con voi”). Si interroga sulle rivoluzioni possibili, lui che voleva far saltare il palazzone della Montecatini per vendicatori i minatori morti a Ribolla. Ma si sa, soltanto quando è finita ci si accorge che una rivoluzione c’è stata, soltanto allora si capisce quando è scoppiata, come si è svolta, chi ne sono stati i protagonisti, nel pensiero e nell’azione. Per giunta, chi fa la rivoluzione non si rende ben conto che la sta facendo. E così nemmeno Luciano deve aver pienamente realizzato lo squarcio che ha disegnato nel panorama culturale italiano, un taglio così profondo e perfetto, senza indecisioni, a mano ferma, che ancora oggi si fatica a trovare risposte più lucide di quelle che ci ha dato nei suoi scritti. L’approdo, il porto sicuro di quell’avventura durata solo quarantanove anni, diventa il Risorgimento, amato da bambino, approfondito nuovamente durante l’esilio ligure a Rapallo, con l’ultimo slancio, quello di aprire ancora una volta il fuoco. Non ci sono foto di Bianciardi a Sant’Anna, dove aveva comprato casa con Maria e Marcellino, ma sembra comunque di vederlo, solitario, curvo, con il maglione scuro, la tosse, la Nazionale sempre accesa, deteriorato in quella solitudine, senza schianti.

Ogni scatto, ogni pagina, ogni copertina si trasforma nello sberleffo, nel gioco, nel divertimento ironico che la spuntano sulle dinamiche disoneste e disumanizzanti della società contemporanea. Cosa avrebbe detto, cosa avrebbe scritto oggi Bianciardi? Anarchico, dissacrante, schivo, autodistruttivo, comico, insofferente, un bastian contrario integrale che ha condensato per tutta la vita la scomodità di ciò che si dice con la scomodità di come si è. Forse oggi Bianciardi parlerebbe poco, preferendo dare voce alle aree silenziose delle persone e delle città.

Lo splendido catalogo della mostra permette di portarsi a casa un po’ di quelle visioni, di quelli scatti nervosi e nicotinici che incastonano il profilo svelto di un avventuriero della vita nella memoria collettiva. Tra le molte fotografie che conoscevo e amavo ne ho scoperto una inedita: è quella che chiude la mostra, è un saluto, forse, che ritrae Luciano sul bastione Garibaldi a Grosseto. Indossa un un trench chiaro, è uno scatto sfocato, misterioso che non ci permette di vedere davvero, di capire cosa tiene in mano Bianciardi, forse una macchina fotografica, forse è solo l’ombra della propria mano. C’è un sorriso in quel volto? Il braccio semi alzato accenna un saluto o vuole nascondere quell’identità inaccessibile e solitaria? Fisso la foto ancora qualche minuto prima che l’aria fredda della città mi riporti dentro e contro il mondo. Nell’incertezza capisco che qualcosa non è finito, il vento inizia ad alzarsi, a muovere la silhouette filiforme degli alberi, eppure si sente ancora un fuoco dentro, un fuoco che brucia ma che illumina tutto.

 

Luciano Bianciardi. Sulla luna non c’è niente.
Polo espositivo Le Clarisse – Grosseto
Visitabile fino al 3 marzo 2024 (ingresso 2 euro)
https://clarissegrosseto.it/

 

 


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