KANT: SAPERE AUDE!
IL DEMONE DI KANT
Nell’anno in cui si celebra il trecentesimo anniversario della nascita di Immanuel Kant, Castelvecchi riporta in libreria nella collana Timoni il fondamentale studio di Ernst Cassirer a lui dedicato. Fondamentale per vari motivi, ma intanto già solo per questi: Cassirer fu probabilmente il maggiore conoscitore della sua epoca del pensiero del filosofo di Königsberg, di cui curò la pubblicazione dell’opera completa, e fu anche uno dei due protagonisti della celebre disputa che lo vide confrontarsi con Martin Heidegger proprio a proposito di Kant.
L’anno era il 1929; il luogo, la cittadina svizzera di Davos, non ancora associata a questioni economiche globali; Heidegger aveva pubblicato Essere e tempo due anni prima; Cassirer era titolare di cattedra di filosofia all’università di Amburgo da dieci anni esatti; e il sistema di Kant, per usare un aggettivo molto preciso che Onfray nel libro Anima riserva a Sartre, era ormai diventato inservibile. “Inservibile”, secondo il vocabolario Treccani, significa “che non serve più per l’uso cui era destinato”.
A quale uso era destinata, dunque, la filosofia di Kant? A verificare un’intuizione: si può essere – sono parole sue – «più fortunati nei problemi della metafisica, facendo l’ipotesi che gli oggetti debbano regolarsi sulla nostra conoscenza»? Rifondare la metafisica quindi, a partire dal soggetto invece che dall’oggetto: è un’idea che avrà molta fortuna. L’impostazione di Kant, però, soffre di almeno un paio di problemi. Il primo, tutto sommato veniale, Cassirer lo vede subito: in questa rifondazione c’è tanto della filosofia precedente e del razionalismo: «Nell’esposizione della dottrina delle categorie il gusto per la costruzione architettonica ben congegnata, per il parallelismo della forma sistematica, per lo schematismo unitario dei concetti, sembra avere una parte anche maggiore del dovuto», scrive. Per fare un esempio: le categorie kantiane sono 12, ma per quel che vale avrebbero potuto essere pure 6, 24 o 300.
Il secondo problema, invece, è fondamentale. Kant, quando definisce la sua operazione una “rivoluzione copernicana”, non fa solamente un paragone: fa riferimento a un metodo. Tutto il suo sistema, infatti, si basa sulle conoscenze scientifiche della sua epoca (la prima Critica venne pubblicata nel 1871). A mediare tra soggetto e oggetto ci sono due “forme pure della sensibilità”, sono lo spazio e il tempo: e sono quelli di Newton, infiniti e dati una volta per tutte. Di questo Cassirer non dà conto: troppo esigua, probabilmente, la distanza di tempo tra la sua opera e la relatività generale di Einstein (che, forse non a caso, sarà il tema del suo libro successivo). Del resto, cosa avrebbe potuto far notare, se non che non avrebbe mai potuto essere altrimenti?
Non si può certo rimproverare a Kant di non essere stato al corrente delle teorie di Einstein, e in fondo non lo si può biasimare nemmeno per non aver saputo vedere nelle conoscenze scientifiche della sua epoca un traguardo provvisorio; Kant, dopotutto, è il filosofo di Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo?, è l’autore che riporta in auge il motto “sapere aude”, è un uomo che ha una visione teleologica della storia. Forse niente spiega la mentalità della sua epoca tanto bene quanto il “demone di Laplace”, vale a dire quell’ipotetico intelletto che, a partire dalla conoscenza di tutte le forze della natura, e della posizione di ogni cosa in un determinato momento, attraverso l’analisi di questi dati è capace di racchiudere passato, presente e futuro in un’unica formula.
È curioso che i nomi di Kant e Laplace siano destinati a restare per sempre accostati in quello di una teoria che riguarda tutt’altro, ovvero la formazione del sistema solare. È curioso perché Cassirer scorge, nella prima Critica di Kant, la possibilità di arrivare a un determinismo del tutto analogo a quello del demone di Laplace: «Quando avessimo una conoscenza completa del carattere empirico di un uomo, ne potremmo prestabilire il comportamento e gli impulsi con la stessa esattezza con cui possiamo calcolare in anticipo un’eclisse di sole o di luna», sostiene. Non prima di aver premesso però che «sarebbe privo di senso»: e il motivo è che non ci si può certo fermare all’empirismo.
Nella prima Critica di Kant la metafisica è, in sostanza, un’ontologia: non c’è niente oltre la fisica, per dirla secondo l’etimologia del termine. Il soggetto incontra e conosce l’oggetto nello spazio e nel tempo, e ne fa esperienza nel pieno rispetto delle leggi della scienza. La seconda Critica, invece, recupera la metafisica attraverso l’etica: oltre la fisica, a guardare meglio, si trova la libertà. Quando ci si sposta dal “regno della natura” al “regno dei fini”, il soggetto non è più prevedibile. Cassirer non manca di rilevare tale passaggio: «In questo rivolgerci a un ordine complementare altro da quello delle cose empirico-fenomeniche pare, a dire il vero, che noi ci si trovi di nuovo nel bel mezzo della metafisica: ma questa metafisica non ha le sue radici in un nuovo concetto-di-cosa che si ponga di fronte e si opponga al concetto dell’oggetto empirico, non nell’asserto di un “interno – sostanziale – della natura”, bensì soltanto ed esclusivamente in quella certezza di fondo che acquisiamo nella coscienza della legge morale come coscienza della libertà». A questo punto, sembra opportuno tornare alla definizione di “inservibile”.
Il pensiero di Kant, se non serve più all’uso cui era destinato, può ancora essere utile ad altri scopi. Resta attuale non tanto nei problemi che pone – lo si potrebbe dire di quasi tutta la filosofia – quanto nella maniera in cui sceglie di affrontarli. Resta un modello, cioè, per la costruzione di un sistema che non sia estraneo alle conoscenze scientifiche e al progresso tecnologico del suo tempo. Resta un modello da adattare – ad esempio: di recente è uscito, su La Lettura del Corriere della Sera, un articolo intitolato “KantGPT” a firma di Maurizio Ferraris – o ancora meglio a cui ispirarsi per edificare una metafisica che tenga conto, tra le altre cose, di meccanica quantistica e intelligenza artificiale; e che magari proceda oltre, andando a prendere in esame le domande a cui la scienza non sa o non può rispondere. In questo senso, resta soprattutto un modello che resta esemplare nel mostrare quanto lontano sia possibile spingersi dopo essersi costruiti gli strumenti concettuali idonei.
Dalle fondamenta della prima e della seconda Critica, Kant arriva persino a postulare un’idea di dio. Cassirer lo spiega in maniera molto chiara e sintetica: «Se essere e dovere sono sfere del tutto separate, allora per lo meno non comporta contraddizione logica di sorta il pensare che queste due sfere possano anche escludersi per sempre, che all’attuazione del comando del dovere – mercanteggiando sulla validità incondizionata del quale non si può certo ottenere nulla – si oppongano nell’ambito dell’esserci ostacoli insormontabili. Allora la convergenza finale dei due ordini, l’asserto che alla fine l’ordine della natura nel suo decorso empirico condurrà necessariamente a una situazione-del-mondo conforme all’ordine dei fini, non si può più dimostrare ma soltanto postulare. E secondo Kant il contenuto di questo postulato costituisce appunto il senso “pratico” del concetto di dio. Qui dio non è pensato come creatore, come spiegazione dell’“inizio” del mondo, ma come garanzia del suo fine e della sua “fine” morale». Qualsiasi cosa si pensi di questa concezione di dio, è difficile negare l’eleganza con cui ci si arriva.
Avere Cassirer come guida all’interno del pensiero di Kant è fondamentale proprio per l’agilità, di pensiero e di esposizione, con cui riassume, ricostruisce, commenta, critica, traccia collegamenti, incessantemente, per tutto il corso dell’opera; che si intitola – non lo si è ancora detto – Vita e dottrina di Kant. L’intenzione non potrebbe essere più manifesta: questo è un caso in cui scrivere una biografia del pensiero equivale a scrivere una biografia dell’uomo – di quell’uomo che dichiarò di voler «delineare una scienza del tutto nuova e insieme esporla completamente».
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