09 novembre 2024

DOSSIER ANGELO MARIA RIPELLINO

 


da ⇨ sinestesieonline periodico quadrimestrale di letteratura e arti della modernità

ABSTRACT
Questo Dossier Ripellino nasce come omaggio al grande slavista, ed ha al centro un suo saggio inedito sul teatro di Pietro il Grande, parte di una dispensa universitaria della fine degli anni ‘60-inizio anni ‘70 rimasta tra le mani di una sua allieva, Anna Tellini, che l’ha custodita amorosamente fino ad oggi. Il saggio sul “teatro” di Pietro il Grande ricostruisce con dovizia di particolari alcune pratiche a metà tra la celebrazione carnascialesca e il Grand Guignol, che gettano luce su alcune peculiari inclinazioni dello zar Pietro Primo per l’orrido, il mostruoso, il deviante, in una parola il grottesco, che si accompagnarono alle sue riforme dall’alto miranti, nelle sue intenzioni, a portare la Russia fuori dalla barbarie e dall’arretratezza. A mo’ di introduzione, e per fornire una cornice a questo, Anna Tellini scrive del mitologema di San Pietroburgo e della personalità controversa del suo fondatore. Completano il dossier una intervista al figlio di Angelo Maria, Alessandro Ripellino, e una serie di illustrazioni che danno conto dell’immaginario popolare che nacque intorno alla figura di questo zar.
PAROLE CHIAVE: Angelo Maria Ripellino, San Pietroburgo nella letteratura, il Teatro della Crudeltà in Russia.

⇨ ANNA TELLINI
PER ANGELO MARIA RIPELLINO
 

ANTEFATTO SENTIMENTALE
    … e all’improvviso ho avuto tre fortune, io che vivevo in provincia e fondamentalmente non mi aspettavo granché dal futuro, anche se lo cercavo. La prima, la più sofferta, fu il diploma di maturità classica che venne a liberarmi da quel liceo-prigione che a raccontarlo oggi non mi crederebbe nessuno, più che prigione un autentico lager, dove le nostre volontà e aspirazioni erano all’istante soffocate da un sistema rigidamente codificato, atto a reprimere e comprimere come si conviene.
    La seconda, fortuna intendo, è stata prendere questa implorata maturità addirittura nel 1968, con ciò acquistando la legittimazione a trasferirmi proprio quell’anno a Roma per “fare l’Università”, indecisa al momento tra la letteratura russa e quella cinese, la prima per via di un mio incontro, casuale per giunta, col Dostoevskij presente nella biblioteca familiare: e fu amore a prima vista; la letteratura cinese, invece, per quel tanto di esotismo che la distanza fisica e mentale da quella cultura assicurava. Così, provinciale sprovveduta catapultata a Roma, pensai di darmi il tempo di capire meglio le mie intenzioni frequentando inizialmente i due corsi in contemporanea… Senonché la terza fortuna, la decisiva, fu che a cominciare prima fossero le lezioni di Letteratura Russa, e che le tenesse (nientedimeno) Angelo Maria Ripellino, il cui nome da solo è capace tuttora di accelerarmi i battiti, e fluidificarmi la mente. Questo intreccio – fortuito, lo so – tra Ripellino e il 1968 a Roma all’improvviso mi spalancò al mondo, come uno schiaffo violento ma benefico che interrompe un torpore non voluto. Ma andiamo per ordine.
    Quando entrai la prima volta, con pochissime altre matricole, in quello che allora si chiamava “Istituto di Filologia Slava”, non avevo coscienza della wunderkammer che stava lì lì per inghiottirmi. Ad accoglierci, benevola e rassicurante, l’ormai per me mitica signora Marcella,custode e sacerdotessa del luogo, da cui, nel tempo, apprendemmo con smarrita apprensione da quale male per certi versi fuori del tempo fosse pedinato il Professore, il che contribuì a suo modo alla
creazione di un nostro personale culto condiviso senza alcuna resistenza, che ci faceva sussultare ad ogni sua assenza inaspettata, ad ogni pur minima sua défaillance
    Ripellino ci introdusse in un mondo di meraviglie, in cui talenti immensi ma a noi fin lì ignoti ci dischiudevano universi sì letterari ma anche esistenziali, considerato che le loro esistenze diventavano esse stesse letteratura a partire da quel qualcosa che solo lui, il Professore, sguardo ironico e un po’ malinconico di chi molto ha visto e patito, pause teatrali, gestualità volutamente rattenuta, maniere senza tempo, ci faceva a grado a grado vedere, e infine penetrare: impossibile sottrarsi, dichiararsene estranei, prendere distanze di sicurezza, visto che quello che ci invitava a fare, per riprendere un suo titolo famoso, era un incontro con la «letteratura come itinerario nel meraviglioso».

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