L’Apocalisse
eretica di Baudrillard
21/11/2024 da https://antinomie.it/index.php/2024/11/21/lapocalisse-eretica-di-baudrillard/
Era da qualche tempo che non mi capitava tra le mani un libro
le cui capacità di analisi del presente dessero le vertigini. Carnevale
e Cannibale – Il Male del ventriloquo è uno di questi rari libri. Si
tratta di una raccolta di due saggi di Jean Baudrillard, pubblicati in Francia
nel 2008, cioè l’anno successivo alla morte del saggista francese. Poche pagine
– per l’edizione italiana, ottimamente curate da Dario Altobelli – la cui
densità è inversamente proporzionale alla brevità.
Baudrillard è uno dei pochissimi pensatori del secondo
Novecento ad avere una sorprendente fluidità di scrittura abbinata a una
straordinaria lucidità analitica. In meno di cento pagine di piccolo formato
riesce a tracciare una mappa della contemporaneità, individuando con estrema
precisione i cortocircuiti, teorici ed esistenziali, che sprofondano gli
abitanti del nostro tempo in una sorta di sentimento di estraniata
incomprensione di ciò che sta loro accadendo e che, in modo apparentemente
irreversibile, li trascinano verso un ineluttabile destino.
Le dinamiche globalizzatrici della storia recente appaiono,
nel pensiero baudrillardiano, come sempre più perfezionati processi di
astrazione e soppressione del reale, della dimensione materiale dell’esistenza.
Ognuno di noi, in modo più o meno consapevole, risulterebbe invischiato in una
pluralità di pratiche dematerializzanti (consentite dai dispositivi tecnologici
e dalla digitalizzazione del mondo) che portano a una sorta di progressiva
rottura con la realtà, con la sua alterità.
La dematerializzazione, la decorporeizzazione generalizzata
è, in fondo, dettata da una sorta di narcisismo astrattivo (l’invenzione di
un’identità virtuale) che spinge verso una socialità e una storicità
autoreferenziale e cannibale, in cui ci si nutre di se stessi. L’Altro, il non
manipolabile, il non ridefinibile, correggibile, editabile, rappresentabile,
filtrabile, tende a scomparire, viene letteralmente rimosso, per lasciare
spazio a un ego astratto e assoluto: autocannibalismo compiuto. Partenogenesi
tecnologica, in cui la realtà diviene pura astrazione manipolabile a piacere,
“al termine del[la] quale il mondo e l’umano sono definitivamente scomparsi”.
Conseguenza inevitabile di questa astrazione egocentrica –
che porta all’evaporazione della realtà del singolo, della sua singolarità
deficiente, imperfetta, invisibile – è la simultanea scomparsa delle
diseguaglianze sociali, delle differenze non riducibili, non comunicabili, non
condivisibili nel grande sistema dello sharing globale, della
sovraesposizione social perpetua. Assistiamo, cioè, al
manifestarsi di un nuovo fondamentalismo (dell’immagine di sé o del sé ridotto
a immagine). Si tratta, però, di un fondamentalismo senza fondamento, proprio
perché sganciato da ogni realtà. In fondo, l’intera resistenza del reale viene
rimossa, per lasciare spazio unicamente all’astrazione di una vita
tecnologicamente reiventata nella sua astrazione assoluta.
Ma, chiaramente, come ogni rimosso, anche questo ritorna,
sostiene Baudrillard. Il reale rimosso ritorna, primariamente, nella psiche del
soggetto, nella dissociazione tra la propria immagine disincarnata e il proprio
corpo. Un Io astratto che deve fare i conti con la propria
condizione materiale (rimossa), fatta di carne e incontrollabile materia
(compresa la materialità sociale ed economica sublimata nell’apparenza
disincarnata del mondo digitale). La farsa di un’esistenza, costruita su una
spettacolarità senza corrispettivo reale, sorta di allucinazione collettiva,
degna del Re nudo di Hans Christian Andersen, si trasmuta,
come in un processo alchemico finito male, in dissociazione psichica, in
depressione generazionale, in dislessia storico-esistenziale.
La storia come immenso trompe l’œil in cui
tutte le differenze, le singolarità di razza, sesso, religione, cultura sono
ridotte a stereotipi, a immagini autogenerate da algoritmi e desideri indotti,
da modelli di vita ready-made fino al punto di diventare
parodie di se stesse. Mascherata globale in cui il pagliaccio ride di se stesso
a crepapelle, nella devalorizzazione di tutto, nella riduzione di ogni cosa a
simulacro di se stessa. Regno della stupidità universale in cui “i cittadini si
raduneranno in massa verso colui che non chiede loro di pensare. […] Più sarà
stupido, meno si sentiranno personalmente idioti.” Immenso carnevale della
storia in cui si passa da una moda all’altra e, con leggerezza, ci si incammina
verso la via d’uscita, sperando che oltre la porta regni lo stesso vuoto
siderale, la stessa allegra frivolezza da mascherina goldoniana.
Naturalmente, è questo un processo storico in cui non c’è più
spazio per il travaglio del negativo, per rapporti di forza e di lotta. È un
mondo – negli ultimi anni ancor più di quando Baudrillard scriveva queste sue
frasi profetiche – in cui la violenza del capitale, lo sfruttamento, la
riduzione a merce, la manipolazione del desiderio sono rimossi e sostituiti
dall’illusione (fondata sull’astrazione tecnologica) di poter reiventare se
stessi e (poiché l’Io astratto diviene il centro di tutto) il mondo. Basterebbe,
infatti, mettersi un vestito griffato, farsi un bel selfie, con il filtro che
più ci corrisponde, per dare origine a un mondo nuovo.
È la società della grande rimozione: la rimozione del reale.
A questo processo allucinatorio, Baudrillard contrappone la necessità di
salvaguardare quel poco di singolarità, di territorio e di spazio simbolico che
ci resta contro la macchina globale che ne richiede, invece, il sacrificio.
Rivendica, questo raro pensatore della differenza radicale, la riscoperta di
“un ‘cuore’ refrattario alle ingiunzioni di tutti i dispositivi, di tutti gli
apparati di razionalizzazione”. Rivendica, cioè, la necessità di salvaguardare
la realtà da una sorta di ipersignificazione, di iperdeterminazione,
individuazione, standarizzazione che distrugge lo spazio inviolabile della
singolarità, di ciò che non è riducibile, significabile, pubblicizzabile,
commercializzabile, promuovibile, controllabile.
È proprio in questa dimensione segreta e non
spettacolarizzabile (non instagrammabile, non comunicabile sui social, non
condivisibile nel grande mercato dello scambio universale) che Baudrillard
ripone una speranza, seppur una speranza apocalittica – quell’ultima speranza
che sorge quando si prende coscienza, seppur sotto forma di un’angoscia
profonda e incomprensibile, che il mondo in cui si vive è un mondo dal quale
l’essere umano è escluso, un mondo sul quale, in realtà, nonostante o proprio a
causa della cosmesi astrattiva, non si ha più alcuna presa.
Baudrillard, in queste pagine ultime del suo lavoro, ripone
le speranze cieche in un’intelligenza del segreto che si fa carico
dell’enigmaticità e inafferrabilità del reale, di quel reale che ci sottrae
anche e in primo luogo a noi stessi; quel reale che agisce come una differenza
interna alla nostra stessa identità e ad ogni identità. L’intelligenza del
segreto non è facilmente codificabile e non può dare origine a un programma, a
una teoria critica: “non si tratta di una critica politica, sociale o economica
cosciente, ma di una dissidenza, di un rifiuto di stare al gioco. Di
tradimento.”
Non stare al gioco, in questa dottrina critica e
apocalittica, significa sottrarsi, far saltare il banco, rifiutare di
carnevalizzarsi, di travestirsi da pagliacci. Significa rifiutare l’egemonia,
il discorso egemonico, la commercializzazione dei valori, dei desideri, del
gusto, della bellezza; come anche la commercializzazione della trasgressione,
del disgusto, della differenza, dell’orrore. Significa, in fondo, far proprio,
ma nella realtà di una verità che si fa gesto, il bartlebyano I would
prefer not to.
Solo eventi che sfuggono a ogni logica astrattiva del
sistema, a ogni previsione, a ogni strategia, possono davvero aprire una
possibilità di speranza. Se ancora sono possibili, saranno proprio questi
eventi, innescati da un ritorno del rimosso, cioè del reale, del reale in
quanto non razionale, a far vacillare l’immenso spettacolo derealizzato e
derealizzante della globalizzazione.
“Ciò che distingue questo tipo di evento dall’evento storico
è che non proviene né da una rivolta, né da un rapporto di forza, né dal lavoro
del negativo”. L’evento accade, entra nella storia proprio perché inatteso e
non prevedibile. In esso si concentra la forza dirompente e incoercibile del
reale che risponde e reagisce al tentativo, messo in atto dal tecnocapitalismo,
di demolirlo in modo delirante.
Jean, novello visionario Giovanni nella grotta di Patmos,
assume toni apocalittici, non tanto perché creda in una sorta di ritorno della
parola profetica opposta alla parola della programmazione tecnocapitalista, ma
perché solo da un evento impossibile e insensato come quello descritto da ogni
apocalisse può ancora generarsi una forza capace di sovvertire l’egemonia di un
potere automatizzato e senza più freno. Solo una nuova Apocalisse eretica può
contenere qualche seme di speranza.
“Resta così la nostalgia che tutte le eresie hanno coltivato
nel corso della storia – il sogno, parallelamente allo svolgimento del mondo
reale, dell’evento assoluto che aprirebbe ai mille anni di felicità. L’attesa
esasperata dell’unico evento che smaschererebbe con un sol colpo l’immenso
complotto che ci sommerge. Questa attesa è sempre al centro dell’immaginario
collettivo. L’Apocalisse è qui, in dosi omeopatiche, in ognuno di noi.”
Jean
Baudrillard
Carnevale e Cannibale – Il Male ventriloquo
A cura di Dario Altobelli
Meltemi, 2024, 114 pp., 10 €
In
copertina: fotografia di Albarrán Cabrera, The Indestructible #34100,
2018 (Platinum/Palladium on gampi
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