La dialettica in Hegel costituisce l’elemento corrosivo;
rappresenta la trascrizione in termini moderni di quello che era lo scetticismo
antico. Essa serve, innanzitutto, a dimostrare l’inconsistenza dei concetti per
come vengono presentati dall’intelletto, ovverosia come qualcosa di
giustapposto e di tabellare. Tuttavia, il culmine del pensiero hegeliano non è
rappresentato dalla dialettica, ma dalla speculazione, ossia la ricostruzione
articolata e sistematica — ma allo stesso tempo mobile, quindi che si evolve —
di tutto un determinato orizzonte. Per quanto riguarda, invece, l’idea di porre
in evidenza gli aspetti legati al lavoro, alla disoccupazione, alle macchine e
soprattutto, al denaro, questa mi viene dalla nuova esperienza, che abbiamo
vissuto, delle crisi economiche e finanziarie. Da un lato, questo è un vissuto
che fa guardare a quello che avevo scritto prima con occhi diversi, senza,
tuttavia, inficiarne le altre parti. Ma è dovuto anche al fatto che,
effettivamente, la pubblicazione delle Lezioni berlinesi e di
Heidelberg hanno messo a disposizione una quantità di materiali che
prima non si conoscevano. Essi rafforzano l’idea di uno Hegel lettore di testi
di economia politica e di giornali inglesi e francesi, che conosceva banchieri
e discuteva di sansimonismo, che era conscio di vivere nella Restaurazione,
ovverosia in un’epoca prosaica rispetto ad un’epoca eroica precedente, un’epoca
i cui caratteri sono fatti risaltare splendidamente ne Il rosso e il
nero di Stendhal. Tale percezione mette alla luce, anche attraverso
l’apporto di questi nuovi testi, quello che noi sentiamo, ossia di vivere in
un’epoca in cui la vita è diventata precaria; non solamente perché la
disoccupazione giovanile è aumentata, ma anche perché tutta l’esistenza nel suo
complesso e il futuro si sono un po’ oscurati. La talpa anche presso di noi
continua a scavare e non sappiamo in quali direzioni. Anche in questo senso,
l’idea di Hegel è quella di mostrare che Das Kapital — il
quale non è un’invenzione di Marx — domina la politica, nella misura in cui le
strutture che lo costituiscono si sono rese indipendenti dal piano politico
stesso. Le accuse a Hegel di essere uno statolatra, uno strenuo difensore dello
stato prussiano sono, anche in questo senso, da ridimensionare. Egli vede che
lo Stato è fortemente indebolito dall’economia e che la logica della società
civile si sta sovrapponendo a quella politica. Per questo motivo, almeno
all’inizio, egli cerca di porvi rimedio conferendo autorità allo Stato contro
queste forze individualistiche proprie dell’economia. Inoltre, vede che
l’effetto dell’apporto delle macchine è stato quello di produrre un eccesso; un
eccesso che la gente non è più in grado di acquistare e che determina crisi
economiche, le quali hanno come conseguenza la sollevazione, per esempio, degli
operai inglesi che distruggono le macchine e la produzione di un’enorme
miseria, ossia la plebe diffusa. Hegel si accorge che l’emigrazione nelle
colonie non è più una soluzione sufficiente a fermare questi conflitti, poiché
il denaro è diventato potenza incontrastata, la cui circolazione, tra l’altro,
riproduce la medesima struttura del sistema, un “circolo dei circoli” che
aumenta e si ingrandisce ogni volta. La crisi mostra l’insolubilità di tale
conflitto; dal punto di vista politico, poiché si tratta di un’epoca farsesca,
nella quale non si riescono a creare delle maggioranze, dal punto di vista
socio-economico a causa della disoccupazione (Arbeitslosigkeit). Ma
soprattutto, in questi testi si ha a che fare con uno Hegel straordinariamente
eversivo, che dice che gli operai senza lavoro, senza pane (die brotlosen
Arbeitern), hanno il diritto di rubare, poiché c’è un problema di
sopravvivenza che è più importante della legalità. Qualcosa che oggi si direbbe
nei circoli anarchici o nei centri sociali, ossia che la proprietà è un furto,
etc. Hegel lo dice incidentalmente, anche perché era un uomo cauto, che sapeva
di essere controllato dalla polizia, ma indubbiamente questi nuovi testi, di
cui mi servo moltissimo nel libro, mostrano uno Hegel più ad amplio spettro. In
questo libro* ho trattato Hegel non per farne un’apologia, né soltanto per
liberare il suo pensiero dai fraintendimenti a cui era stato soggetto; queste
operazioni erano certamente necessarie per comprenderlo meglio, ma anche per
capire i suoi limiti. Il limite principale è che, sostanzialmente, lui pensa
come un europeo. Di conseguenza, vede gli altri continenti e le altre culture
come un qualcosa di non maturo, dove addirittura la filosofia è assente e c’è
soltanto una forma di saggezza. Noi, invece, viviamo in un’epoca in cui le
civiltà del mondo si confrontano, e la dialettica hegeliana nella sua forma
classica non regge, così come dopo la sua morte l’architettura del sistema non
funziona e ne vengono mutuate solamente delle componenti. La stessa cosa era
accaduta in epoca ellenistica con la dissoluzione del modello
aristotelico-platonico. Aristotele, per esempio, riguardo alla condotta umana,
prendeva in considerazione vari elementi: la Τύχη, il caso, l’Ἀνάγκη, la
necessità e il Tέλος, la finalità. Accadde che gli epicurei attribuirono grande
importanza al caso, gli stoici alla necessità, mentre la finalità finì per
essere irrisa già a partire dai neoplatonici. Allo stesso modo Hegel pensa che
la sua struttura sia valida per la diagnostica, ma non per la prognostica e,
pertanto, il sistema si sfalda, come si diceva prima, dando origine a dei
frammenti incomponibili all’interno di una visione generale. Questo ha portato
molti a denigrare l’idea di sistema, che sembra l’opera di un pazzo, mentre io,
al contrario, ho cercato di mostrare come esso abbia un suo senso e come,
sebbene questo sistema oggi non sia più edificabile, sia necessario partire da
esso per comprendere Hegel, i suoi limiti e le sue possibilità e la coerenza
presente nell’evoluzione del suo pensiero.
* REMO BODEI, La civetta e la talpa. Sistema ed epoca in Hegel,
Il Mulino, Bologna 1975
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