05 luglio 2013

PARTITI E ANTIPARTITI NELLA STORIA D'ITALIA


Propongo di seguito due recensioni dell'ultimo lavoro dello storico Salvatore Lupo che affronta un tema di grande attualità:



Enrico Petris – Ruolo dei partiti nella storia repubblicana italiana


   L’ultimo lavoro dello storico Salvatore Lupo, Antipartiti. Il mito della nuova politica nella storia della Repubblica (prima, seconda e terza), Roma 2013, riprende temi che l’autore aveva già affrontato in un precedente studio dal titolo simile Partito e antipartito. Una storia della prima repubblica (1946-1978), Roma 2004, ampliandoli, approfondendoli e fornendo spesso giudizi personali diretti, taglienti, inequivocabili. Il libro dimostra una sostanziale avversione al mito della novità della spinta antipolitica alla quale assistiamo di recente nella vita pubblica nazionale ma che ha radici profonde e lontane nel dibattito e nella pratica politica italiana. E’ dalla retorica del fascismo che sentiamo parlare di antipolitica, di corruzione del vecchio mondo politico liberale, in quel contesto, e di spinte innovatrici rivoluzionarie. Ma per accennare solo all’Italia repubblicana, il primo fenomeno antipartitico deve essere ricercato nell’Uomo qualunque di Giannini e poi negli anni Cinquanta nel Partito radicale. Era quella l’epoca dei grandi partiti, la DC, il PCI e il PSI che raccoglievano vasti consensi popolari ed avevano macchine organizzative fatte da milioni (almeno il PCI) di iscritti. Il sistema politico italiano rimase arroccato sulla formula di governo del centrismo almeno fino al 1956, quando l’improvvida posizione del PCI di Togliatti sull’invasione sovietica dell’Ungheria determinò la reazione autonomista del PSI che, abbandonate le posizioni frontiste, si propose come alleato della DC nella formula dei governi di centrosinistra. L’accordo tra democristiani e socialisti per l’apertura di una fase riformatrice della società italiana andò però incontro alle obiezioni e alle contromanovre di una destra democristiana, e non solo, che abbracciò tentazioni antipartitiche che rasentarono il golpe, come nel caso del piano Solo del 1964, allorquando le spinte antipartito vennero addirittura dai vertici, militari e presidenziali, delle istituzioni politiche. Quel tentativo aprì la strada al più violento attacco contro il sistema dei partiti rappresentato negli anni sessanta e settanta prima dall’eversione terroristica neofascista e poi da quella della lotta armata dei gruppi extraparlamentari e clandestini. In quel frangente il sistema politico nazionale dimostrò di saper resistere all’attacco terroristico attraverso l’opera di due leader carismatici come Moro e Berlinguer. Il compromesso storico prima e il fronte della fermezza poi durante il caso Moro, per il quale Lupo spende argomentazioni chiare e lucide, determinarono l’ultimo momento di tenuta delle forze partitiche. Successivamente prima le trame della P2, alle quali l’autore non dà il rilievo che invece molti altri pensano le sia dovuto, poi alcune istanze provenienti anche dall’interno del mondo dei partiti come il discorso sulle grandi riforme di Craxi o le critiche dei radicali di Pannella alla partitocrazia, determinarono un clima di crescente sfiducia nei confronti della vecchia politica e del mondo dei partiti. Crollato il muro di Berlino, il sistema politico italiano fu travolto da una ondata di cambiamenti che coinvolse, come era logico, dapprima il PCI, il primo partito a cambiare nome, e poi, dopo tangentopoli, tutti gli altri soggetti politici a cominciare dalla DC e dal PSI. Si levarono allora voci di riforme istituzionali che si concretizzarono nei referendum promossi da Mario Segni, nella nascita della Lega, anch’essa potente fonte di critica antipartitica, e di Forza Italia, che poi diventerà da luogo di aggregazione di club della società civile (di una particolare società civile: quella dello spettacolo) a partito-azienda. Il ventennio che ci separa da quel cruciale 1993, per Lupo caratterizzato dall’accentuarsi del bipolarismo, ha acuito l’insofferenza della società civile nei confronti di una partitocrazia rinominata, non a caso, casta per sottolinearne l’intoccabilità di cui ha saputo ammantarsi per proteggersi anche dopo la modifica dell’istituto dell’immunità parlamentare. Gli uomini di Forza Italia in particolare hanno allargato le critiche al mondo dei partiti includendovi in esso anche quello dei giudici (il partito dei giudici) che indagavano sui casi nei quali erano coinvolti, in particolare rilevando connessioni affaristiche e perfino mafiose.
   Antipartiti può sembrare un instant book ma è in realtà un serissimo tentativo di dimostrare come la novità politica dell’ultima ora, o degli ultimi anni, sia in realtà ancorata spesso a vecchie pratiche, frequentemente di carica antidemocratica, delle quali è più che legittimo sospettare. Se, nel corso degli anni della repubblica, il nuovo si è presentato col volto di movimenti di protesta di durata effimera (l’Uomo qualunque) o di dubbia capacità di rinnovamento (la Lega, Forza Italia) o di presunta forza rivoluzionaria (i movimenti eversivi degli anni settanta e la mafia, dei quali Lupo sottolinea le affinità operative e addirittura l’influsso dei primi sulla seconda per la svolta stragistica degli anni ottanta e novanta), è forse venuto il momento di sospettare di quanti si autoproclamano paladini del nuovo e dell’antipartitismo per proporre una soluzione al rompicapo italiano. Non convincono l’autore, a questo proposito, le spiegazioni del complicato tessuto politico italiano ricorrendo alle tesi complottistiche o ai discorsi sulle trame occulte, contro i quali muove fondate obiezioni distinguendosi dall’ondata corrente di molta pubblicistica, accademica e non, troppo indulgente alle dietrologie e al gusto del segreto.
   Benché sia meno esplicito sul piano delle proposte operative, che peraltro non spettano allo storico, rispetto a quello dei giudizi sui fatti, ci pare di poter trarre dal saggio una posizione di netta difesa dei periodi in cui forte era il potere dei partiti in Italia, si vedano per esempio le pagine in cui si sottolineano le importanti riforme degli anni settanta (sanità, equo canone, istituzione delle regioni, obiezione di coscienza e altre di pp. 97-98) e di netta contrarietà ai sistemi elettorali maggioritari o alle proposte presidenzialiste o semipresidenzialiste, anche perché i primi non hanno dato i frutti di rinnovamento sperati, mentre le seconde non sono state attuate, nonostante il dibattito pubblico registri che ormai di fatto, se non di diritto, saremmo in un sistema presidenzialista  Una soluzione pertanto in difesa della Costituzione esistente che, seppur ampiamente modificata nel corso degli anni, non ci permette ancora di parlare di seconda o terza repubblica, come richiamato ironicamente tra parentesi nel sottotitolo. Una difesa del sistema dei partiti proposta da uno storico di spessore e coraggioso, non dovremmo dimenticare le opere di Salvatore Lupo sulla mafia, non è molto comune di questi tempi, anzi per la verità credo che solo Fabrizio Barca (Un partito nuovo per un buon governo, aprile 2013) si sia speso in una iniziativa di questo genere nel suo recente documento, noto più per aver (re)introdotto la categoria del catoblepismo per spiegare una degenerazione tipica del sistema politico italiano, che per la proposta di rinnovamento del sistema dei partiti.


Carlo Patrignani – Partiti e Antipartiti

Ciò che opprime il comatoso ed asfittico sistema politico non è 'l'eccesso di partiti' ma 'l'assenza di partiti', intendendo per 'partiti' quelli capaci di saper leggere il passato per interpretare il presente e per dare così le risposte giuste alle persone, alla collettività nel suo insieme.
La patologia allora sta nella mai estirpata ideologia 'antipartito' che, silente e latente nel sottofondo culturale e politico dal fascismo ad oggi, ha prodotto, negli ultimi vent'anni, la Lega e Forza Italia, poi il Movimento 5 Stelle e un lento ma costante astensionismo per l'insoddisfacente e la non rappresentativa offerta politica, passando per l'Uomo Qualunque di Giannini, la P2 di Gelli o personaggi come Montanelli e Sogno.
L'originale analisi storico-politica, è di Salvatore Lupo, autore di Antipartiti (Donzelli editore, 2013) ed ordinario di Storia contemporanea all'Università di Palermo che, da uomo di sinistra, anela ad "un grande partito progressista integrato nel composito e variegato socialismo europeo". Lupo non è per nulla convinto dell'equiparazione e/o accostamento del governo Letta, detto delle 'larghe intese', con l'operazione culturale e politica di quarant'anni fa: il compromesso storico. "Un accostamento assai strano e pure nostalgico come se il compromesso storico fosse il modello ottimale: ha fallito e di efficace non ha avuto nulla".
Neanche l'attuale Pd, sarebbe, dunque, il partito ideale perchè purtroppo si è perduta una grossa opportunità storica: il crollo del Muro di Berlino del 1989. "Occhetto prima, D'Alema e Veltroni poi, non si sono incamminati verso il socialismo europeo: hanno scelto una scorciatoia, errata, per potersi tener sempre aperta la via dell'alleanza con la vecchia Dc".
Alleanza realizzata nel 2007 con la 'fusione a freddo' per un partito, il Pd, senza una chiara e forte identità culturale e politica tanto da dover oggi riconoscere che aveva visto bene e giusto Bruno Trentin quando nel 2006, in polemica con Ciriaco De Mita e Michele Salvati, era per l'adesione al socialismo europeo: 'vorrei poter morire socialista' ed al tempo stesso ricordava a Sergio Chiamparino che si dichiarava 'sindaco di tutti' e conseguentemente 'uomo di centro' di non dimenticare di esser stato eletto "sulla base di un programma anche nazionale che sa distinguere tra operai e banchieri, fra salario, profitto e rendita".
L'analisi di Lupo non riguarda ovviamente soltanto il Pd, ma l'insieme dei partiti presenti sulla scena. L'effetto di questa patologia - l'ideologia 'antipartito' - è che dal '93-'94, che segnerebbero, erroneamente, il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica ma senza una nuova Costituzione, a dominare è stato ed è un gigantesco 'vuoto d'idee' e di offerta culturale e politica! "Non dico che i compromessi in politica non si debbano fare: negli anni '70 fu il compromesso tra forze politiche diverse che, grazie al concorso dei sindacati, produsse importanti riforme: lo Statuto dei Lavoratori, la programmazione economica, la riforma delle pensioni, il divorzio e il nuovo diritto di famiglia".
Fu l'unica stagione di grandi riforme che cambio' il paese: 'il compromesso storico' venne come risposta al 'venir meno' della spinta riformatrice, "ma ha fallito, non ha prodotto nulla di efficace, per cui non ha senso restare attaccati alla tradizione". Poi l'89 e la mancata 'svolta' in direzione del socialismo europeo. Dunque, piaccia o no, siamo l'unico paese europeo che non ha una grande forza progressista laica connessa alla tradizione del socialismo europeo e non ha nemmeno grandi partiti - conservatori e/o liberali - legati alle tradizioni e culture di riferimento europeo!
La patologia, insomma, è l'ideologia 'antipartito' di cui Grillo (come anche Bossi e Berlusconi) esaspera i toni ripetendo vecchi slogan neofascisti e credendo di essere non una parte ma l'intera società civile e questa credenza, "diventa inquietante quando coinvolge la magistratura, che è un potere dello Stato, e dunque non dovrebbe per principio prendere parte".



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