In
una pagina di un famoso racconto di Leonardo Sciascia si trova un bel
ritratto della Sicilia separatista dell’ultimo dopoguerra:
«Io andavo appresso ai separatisti, portavo una
coccarda fatta di due nastrini, uno giallo e uno di colore sangue cagliato. —
Degenerato — diceva mio zio guardandomi la coccarda. Era un divertimento. La
sera, portando il pentolino del colore, andavamo per il paese con i giovani
separatisti che andavano scrivendo sui muri — W Finocchiaro Aprile, W la
Sicilia indipendente, abbasso i nemici della Sicilia, vogliamo le industrie in
Sicilia —. Stanchi di scrivere sempre le stesse cose i giovani si mettevano ad
un certo punto a scrivere — abbasso gli affamatori del popolo, morte a quelli
che vendono il frumento a 2500 lire — e nasceva una specie di gara per cui
l'indomani i cittadini apprendevano, da scritte alte un palmo e di un bel rosso
vivo, che don Luigi La Vecchia era un ladro e don Pietro Scardía ladro e
cornuto insieme. Questo era per noi un bel giuoco, specialmente quando vedevo
nascere dal pennello la scritta — W l'America, W la quarantanovesima stella —
la mia fede separatista diventava fanatica; sapevo che la quarantanovesima
stella sarebbe stata la Sicilia, la bandiera americana ne ha quarantotto, con
la Sicilia quarantanove, verso di diventare americani c'era.»
L. Sciascia, La
zia d’America, ora in Gli zii di
Sicilia.
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