Quaderno 13, § <17>. Noterelle sul Machiavelli (1932-1934)
Analisi delle situazioni: rapporti di forza.
È
il problema dei rapporti tra struttura e superstrutture che bisogna impostare
esattamente e risolvere per giungere a una giusta analisi delle forze che
operano nella storia di un determinato periodo e determinare il loro rapporto.
Occorre muoversi nell’ambito di due principii: 1) quello che nessuna società si
pone dei compiti per la cui soluzione non esistano già le condizioni necessarie
e sufficienti o esse non siano almeno in via di apparizione e di sviluppo; 2) e
quello che nessuna società si dissolve e può essere sostituita se prima non ha
svolto tutte le forme di vita che sono implicite nei suoi rapporti (controllare
l’esatta enunciazione di questi principii).
[«Una
formazione sociale non perisce, prima che non siano sviluppate tutte le forze
produttive per le quali essa è ancora sufficiente e nuovi più alti rapporti di
produzione non ne abbiano preso il posto, prima che le condizioni materiali di
esistenza di questi ultimi siano state covate nel seno stesso della vecchia
società. Perciò l’umanità si pone sempre solo quei compiti che essa può
risolvere; se si osserva con più accuratezza si troverà sempre che il compito
stesso sorge solo dove le condizioni materiali della sua risoluzione esistono
già o almeno sono nel processo del loro divenire» (Introduzione a Critica
dell’Economia Politica)].
Dalla
riflessione su questi due canoni si può giungere allo svolgimento di tutta una
serie di altri principii di metodologia storica. Intanto nello studio di una
struttura occorre distinguere i movimenti organici (relativamente permanenti)
da i movimenti che si possono chiamare di congiuntura (e si presentano come
occasionali, immediati, quasi accidentali). I fenomeni di congiuntura sono
certo dipendenti anch’essi da movimenti organici, ma il loro significato non è
di vasta portata storica: essi danno luogo a una critica politica spicciola,
del giorno per giorno, che investe i piccoli gruppi dirigenti e le personalità
responsabili immediatamente del potere. I fenomeni organici danno luogo alla
critica storico-sociale, che investe i grandi aggruppamenti, di là dalle
persone immediatamente responsabili e di là dal personale dirigente. Nello
studiare un periodo storico appare la grande importanza di questa distinzione.
Si verifica una crisi, che talvolta si prolunga per decine di anni. Questa durata eccezionale significa che nella struttura si sono
rivelate (sono venute a maturità) contraddizioni insanabili e che le forze
politiche operanti positivamente alla conservazione e difesa della struttura stessa
si sforzano tuttavia di sanare entro certi limiti e di superare. Questi sforzi
incessanti e perseveranti (poiché nessuna forma sociale vorrà mai confessare di
essere superata) formano il terreno dell’«occasionale» sul quale si organizzano
le forze antagonistiche che tendono a dimostrare (dimostrazione che in ultima
analisi riesce solo ed è «vera» se diventa nuova realtà, se le forze
antagonistiche trionfano, ma immediatamente si svolge in una serie di polemiche
ideologiche, religiose, filosofiche, politiche, giuridiche ecc., la cui
concretezza è valutabile dalla misura in cuiriescono convincenti e spostano il
preesistente schieramento delle forze sociali) che esistono già le condizioni
necessarie e sufficienti perché determinati compiti possano e quindi debbano
essere risolti storicamente (debbano, perché ogni venir meno al dovere storico
aumenta il disordine necessario e prepara più gravi catastrofi).
L’errore in cui si cade spesso nelle analisi storico-politiche
consiste nel non saper trovare il giusto rapporto tra ciò che è organico e ciò
che è occasionale: si riesce così o ad esporre come immediatamente operanti
cause che invece sono operanti mediatamente, o ad affermare che le cause
immediate sono le sole cause efficienti; nell’un caso si ha l’eccesso di
«economismo» o di dottrinarismo pedantesco, dall’altro l’eccesso di
«ideologismo», nell’un caso si sopravalutano le cause meccaniche; nell’altro si
esalta l’elemento volontaristico e individuale. (La distinzione tra «movimenti»
e fatti organici e movimenti e fatti di «congiuntura» o occasionali deve essere
applicata a tutti i tipi di situazione, non solo a quelle in cui si verifica
uno svolgimento regressivo o di crisi acuta, ma a quelle in cui si verifica uno
svolgimento progressivo o di prosperità e a quelle in cui si verifica una
stagnazione delle forze produttive). Il nesso dialettico tra i due ordini di
movimento e quindi di ricerca difficilmente viene stabilito esattamente e se
l’errore è grave nella storiografia, ancor più grave diventa nell’arte politica,
quando si tratta non di ricostruire la storia passata ma di costruire quella presente e
avvenire: i proprii desideri e le proprie passioni deteriori e immediate sono
la causa dell’errore, in quanto essi sostituiscono l’analisi obbiettiva e
imparziale e ciò avviene non come «mezzo» consapevole per stimolare all’azione
ma come autoinganno. La biscia, anche in questo caso, morde il ciarlatano ossia
il demagogo è la prima vittima della sua demagogia.
[…].
Questi
criteri metodologici possono acquistare visibilmente e didatticamente tutto il
loro significato se applicati all’esame di fatti storici concreti. Si potrebbe
farlo utilmente per gli avvenimenti che si svolsero in Francia dal 1789 al
1870. Mi pare che per maggior chiarezza dell’esposizione sia proprio necessario
abbracciare tutto questo periodo. Infatti solo nel 1870-71, col tentativo
comunalistico si esauriscono storicamente tutti i germi nati nel 1789 cioè non
solo la nuova classe che lotta per il potere sconfigge i rappresentanti della
vecchia società che non vuole confessarsi decisamente superata, ma sconfigge
anche i gruppi nuovissimi che sostengono già superata la nuova struttura sorta
dal rivolgimento iniziatosi nel 1789 e dimostra così di essere vitale e in confronto al vecchio e in confronto al nuovissimo.
Inoltre, col 1870-71, perde efficacia l’insieme di principii di strategia e
tattica politica nati praticamente nel 1789 e sviluppati ideologicamente intorno
al 48 (quelli che si riassumono nella formula della «rivoluzione permanente»:
sarebbe interessante studiare quanto di tale formula è passata nella strategia
mazziniana – per es. per l’insurrezione di Milano del 1853 – e se è avvenuto
consapevolmente o meno). Un elemento che mostra la giustezza di questo punto di
vista è il fatto che gli storici non sono per nulla concordi (ed è impossibile
che lo siano) nel fissare i limiti di quel gruppo di avvenimenti che
costituisce la rivoluzione francese. Per alcuni (per es. il Salvemini) la
rivoluzione è compiuta a Valmy: la Francia ha creato un nuovo Stato e ha saputo
organizzare la forza politico-militare che ne afferma e ne difende la sovranità
territoriale. Per altri la Rivoluzione continua fino al Termidoro, anzi essi
parlano di più rivoluzioni (il 10 agosto sarebbe una rivoluzione a sé ecc.; cfr
la Rivoluzione francese di A. Mathiez nella collezione Colin). Il modo
di interpretare il Termidoro e l’opera di Napoleone offre le più aspre
contradizioni: si tratta di rivoluzione o di controrivoluzione? ecc. Per altri
la storia della Rivoluzione continua fino al 1830, 1848, 1870 e persino fino
alla guerra mondiale del 1914.
In tutti questi modi di vedere c’è una parte di verità. Realmente
le contraddizioni interne della struttura sociale francese che si sviluppano
dopo il 1789 trovano una loro relativa composizione solo con la terza repubblica
e la Francia ha 60 anni di vita politica equilibrata dopo 80 anni di
rivolgimenti a ondate sempre più lunghe: 89-94-99-1804-1815-1830-1848-1870. È
appunto lo studio di queste «ondate» a diversa oscillazione che permette di
ricostruire i rapporti tra struttura e superstruttura da una parte e dall’altra
tra lo svolgersi del movimento organico e quello del movimento di congiuntura
della struttura. Si può dire intanto che la mediazione dialettica tra i due
principii metodologici enunziati all’inizio di questa nota si può trovare nella
formula politico-storica di rivoluzione permanente.
Un aspetto dello stesso problema è la quistione così detta dei
rapporti di forza. Si legge spesso nelle narrazioni storiche l’espressione
generica: rapporti di forza favorevoli, sfavorevoli a questa o a quella
tendenza. Così, astrattamente, questa formulazione non spiega nulla o quasi
nulla, perché non si fa che ripetere il fatto che si deve spiegare presentandolo
una volta come fatto e una volta come legge astratta e come spiegazione.
L’errore teorico consiste dunque nel dare un canone di ricerca e di
interpretazione come «causa storica».
Intanto nel «rapporto di forza» occorre distinguere diversi
momenti o gradi, che fondamentalmente sono questi:
1) Un rapporto di forze sociali strettamente legato alla
struttura, obbiettivo, indipendente dalla volontà degli uomini, che può essere
misurato coi sistemi delle scienze esatte o fisiche. Sulla base del grado di
sviluppo delle forze materiali di produzione si hanno i raggruppamenti sociali,
ognuno dei quali rappresenta una funzione e ha una posizione data nella
produzione stessa. Questo rapporto è quello che è, una realtà ribelle: nessuno
può modificare il numero delle aziende e dei suoi addetti, il numero delle
città con la data popolazione urbana ecc. Questo schieramento fondamentale
permette di studiare se nella società esistono le condizioni necessarie e
sufficienti per una sua trasformazione, permette cioè di controllare il grado
di realismo e di attuabilità delle diverse ideologie che sono nate nel suo
stesso terreno, nel terreno delle contraddizioni che esso ha generato durante
il suo sviluppo.
2) Un momento successivo è il rapporto delle forze politiche, cioè
la valutazione del grado di omogeneità, di autocoscienza e di organizzazione
raggiunto dai vari gruppi sociali. Questo momento può essere a sua volta
analizzato e distinto in vari gradi, che corrispondono ai diversi momenti della
coscienza politica collettiva, così come si sono manifestati finora nella
storia. Il primo e più elementare è quello economico-corporativo: un
commerciante sente di dover essere solidale con un altro commerciante,
un fabbricante con un altro fabbricante, ecc., ma il commerciante non si sente
ancora solidale col fabbricante; è cioè sentita l’unità omogenea, e il dovere
di organizzarla, del gruppo professionale, ma non ancora del gruppo sociale più
vasto. Un secondo momento è quello in cui si raggiunge la coscienza della
solidarietà di interessi fra tutti i membri del gruppo sociale, ma ancora nel
campo meramente economico. Già in questo momento si pone la quistione dello
Stato, ma solo nel terreno di raggiungere una eguaglianza politico-giuridica
coi gruppi dominanti, poiché si rivendica il diritto di partecipare alla
legislazione e all’amministrazione e magari di modificarle, di riformarle, ma
nei quadri fondamentali esistenti. Un terzo momento è quello in cui si
raggiunge la coscienza che i propri interessi corporativi, nel loro sviluppo
attuale e avvenire, superano la cerchia corporativa, di gruppo meramente
economico, e possono e debbono divenire gli interessi di altri gruppi
subordinati. Questa è la fase più schiettamente politica, che segna il netto
passaggio dalla struttura alla sfera delle superstrutture complesse, è la fase
in cui le ideologie germinate precedentemente diventano «partito», vengono a
confronto ed entrano in lotta fino a che una sola di esse o almeno una sola
combinazione di esse, tende a prevalere, a imporsi, a diffondersi su tutta
l’area sociale, determinando oltre che l’unicità dei fini economici e politici,
anche l’unità intellettuale e morale, ponendo tutte le quistioni intorno a cui
ferve la lotta non sul piano corporativo ma su un piano «universale» e creando
così l’egemonia di un gruppo sociale fondamentale su una serie di gruppi
subordinati. Lo Stato è concepito sì come organismo proprio di un gruppo,
destinato a creare le condizioni favorevoli alla massima espansione del gruppo
stesso, ma questo sviluppo e questa espansione sono concepiti e presentati come
la forza motrice di una espansione universale, di uno sviluppo di tutte le
energie «nazionali», cioè il gruppo dominante viene coordinato concretamente
con gli interessi generali dei gruppi subordinati e la vita statale viene
concepita come un continuo formarsi e superarsi di equilibri instabili
(nell’ambito della legge) tra gli interessi del gruppo fondamentale e quelli
dei gruppi subordinati, equilibrii in cui gli interessi del gruppo dominante
prevalgono ma fino a un certo punto, non cioè fino al gretto interesse economico-corporativo.
Nella storia reale questi momenti si implicano reciprocamente,
per così dire orizzontalmente e verticalmente, cioè secondo le attività
economicosociali (orizzontali) e secondo i territori (verticalmente), combinandosi
e scindendosi variamente: ognuna di queste combinazioni può essere
rappresentata da una propria espressione organizzata economica e politica.
Ancora bisogna tener conto che a questi rapporti interni di uno Stato-nazione si
intrecciano i rapporti internazionali, creando nuove combinazioni originali e
storicamente concrete. Una ideologia, nata in un paese più sviluppato, si
diffonde in paesi meno sviluppati, incidendo nel gioco locale delle
combinazioni. (La religione, per es., è sempre stata una fonte di tali
combinazioni ideologico-politiche nazionali e internazionali, e con la
religione le altre formazioni internazionali, la massoneria, il Rotary Club,
gli ebrei, la diplomazia di carriera che suggeriscono espedienti politici di
origine storica diversa e li fanno trionfare in determinati paesi, funzionando
come partito politico internazionale che opera in ogni nazione con tutte le sue
forze internazionali concentrate; ma religione, massoneria, Rotary, ebrei ecc.,
possono rientrare nella categoria sociale degli «intellettuali», la cui
funzione, su scala internazionale, è quella di mediare gli estremi, di
«socializzare» i ritrovati tecnici che fanno funzionare ogni attività di
direzione, di escogitare compromessi e vie d’uscita tra le soluzioni estreme).
Questo rapporto tra forze internazionali e forze nazionali è ancora complicato
dall’esistenza nell’interno di ogni Stato di parecchie sezioni territoriali di
diversa struttura e di diverso rapporto di forza in tutti i gradi (così la Vandea era alleata con le forze internazionali
reazionarie e le rappresentava nel seno dell’unità territoriale francese; così
Lione nella Rivoluzione Francese rappresentava un nodo particolare di rapporti
ecc.).
3) Il terzo momento è quello del rapporto delle forze militari,
immediatamente decisivo volta per volta. (Lo sviluppo storico oscilla
continuamente tra il primo e il terzo momento, con la mediazione del secondo).
Ma anche esso non è qualcosa di indistinto e di identificabile immediatamente
in forma schematica; si possono anche in esso distinguere due gradi: quello
militare in senso stretto o tecnico-militare e il grado che si può chiamare
politico-militare. Nello sviluppo della storia questi due gradi si sono presentati
in una grande varietà di combinazioni. Un esempio tipico che può servire come
dimostrazione-limite, è quello del rapporto di oppressione militare di uno
Stato su una nazione che cerca di raggiungere la sua indipendenza statale. Il
rapporto non è puramente militare, ma politico-militare e infatti un tale tipo
di oppressione sarebbe inspiegabile senza lo stato di disgregazione sociale del
popolo oppresso e la passività della sua maggioranza; pertanto l’indipendenza
non potrà essere raggiunta con forze puramente militari, ma militari e politico-militari.
Se la nazione oppressa, infatti, per iniziare la lotta d’indipendenza, dovesse attendere
che lo Stato egemone le permetta di organizzare un proprio esercito nel senso
stretto e tecnico della parola, avrebbe da attendere un pezzo (può avvenire che
la rivendicazione di avere un proprio esercito sia soddisfatta dalla nazione
egemone, ma ciò significa che già una gran parte della lotta è stata combattuta
e vinta sul terreno politico-militare). La nazione oppressa opporrà dunque
inizialmente alla forza militare egemone una forza che è solo
«politico-militare», cioè opporrà una forma di azione politica che abbia la
virtù di determinare riflessi di carattere militare nel senso: 1) che abbia
efficacia di disgregare intimamente l’efficienza bellica della nazione egemone;
2) che costringa la forza militare egemone a diluirsi e disperdersi in un
grande territorio, annullandone gran parte dell’efficienza bellica. Nel
Risorgimento italiano si può notare l’assenza disastrosa di una direzione
politico-militare specialmente nel Partito d’Azione (per congenita incapacità),
ma anche nel partito piemontese-moderato sia prima che dopo il 1848 non certo
per incapacità ma per «maltusianismo economico-politico», cioè perché non si
volle neanche accennare alla possibilità di una riforma agraria e perché non si
voleva la convocazione di una assemblea nazionale costituente, ma si tendeva
solo a che la monarchia piemontese, senza condizioni o limitazioni di origine popolare,
si estendesse a tutta Italia, con la pura sanzione di plebisciti regionali.
Altra
quistione connessa alle precedenti è quella di vedere
se le crisi storiche fondamentali sono determinate immediatamente dalle crisi
economiche. La risposta alla quistione è contenuta implicitamente nei paragrafi
precedenti, dove <sono> trattate
quistioni che sono un altro modo di presentare quella ora trattata, tuttavia è
sempre necessario, per ragioni didattiche, dato il pubblico particolare,
esaminare ogni modo di presentarsi di una stessa quistione come fosse un
problema indipendente e nuovo. Si può escludere che, di per se stesse, le crisi
economiche immediate producano eventi fondamentali; solo possono creare un
terreno più favorevole alla diffusione di certi modi di pensare, di impostare e
risolvere le quistioni che coinvolgono tutto l’ulteriore sviluppo della vita
statale. Del resto, tutte le affermazioni che riguardano i periodi di crisi o
di prosperità possono dar luogo a giudizi unilaterali. Nel suo compendio di
storia della Rivoluzione francese (ed. Colin) il Mathiez, opponendosi alla
storia volgare tradizionale, che aprioristicamente «trova» una crisi in
coincidenza con le grandi rotture di equilibri sociali, afferma che verso il
1789 la situazione economica era piuttosto buona immediatamente, per cui non si
può dire che la catastrofe dello Stato assoluto sia dovuta a una crisi di
immiserimento (cfr l’affermazione esatta del Mathiez). Occorre osservare che lo
Stato era in preda a una mortale crisi finanziaria e si poneva la quistione su
quale dei tre ordini sociali privilegiati dovevano cadere i sacrifizi e i pesi
per rimettere in sesto le finanze statali e regali. Inoltre: se la posizione
economica della borghesia era florida, certamente non era buona la situazione
delle classi popolari delle città e delle campagne, specialmente di queste,
tormentate da miseria endemica. In ogni caso, la rottura dell’equilibrio delle
forze non avvenne per cause meccaniche immediate di immiserimento del gruppo
sociale che aveva interesse a rompere l’equilibrio e di fatto lo ruppe, ma
avvenne nel quadro di conflitti superiori al mondo economico immediato,
connessi al «prestigio» di classe (interessi economici avvenire), ad una
esasperazione del sentimento di indipendenza, di autonomia e di potere. La
quistione particolare del malessere o benessere economico come causa di nuove
realtà storiche è un aspetto parziale della quistione dei rapporti di forza nei
loro vari gradi. Possono prodursi novità sia perché una situazione di benessere
è minacciata dal gretto egoismo di un gruppo avversario, come perché il
malessere è diventato intollerabile e non si vede nella vecchia società nessuna
forza che sia capace di mitigarlo e di ristabilire una normalità con mezzi
legali. Si può dire pertanto che tutti questi elementi sono la manifestazione
concreta delle fluttuazioni di congiuntura dell’insieme dei rapporti sociali di
forza, nel cui terreno avviene il passaggio di questi a rapporti politici di
forza per culminare nel rapporto militare decisivo. Se manca questo processo di
sviluppo da un momento all’altro, ed esso è essenzialmente un processo che ha
per attori gli uomini e la volontà e capacità degli uomini, la situazione
rimane inoperosa, e possono darsi conclusioni contradditorie: la vecchia
società resiste e si assicura un periodo di «respiro», sterminando fisicamente
l’élite avversaria e terrorizzando le masse di riserva, oppure anche la
distruzione reciproca delle forze in conflitto con l’instaurazione della pace
dei cimiteri, magari sotto la vigilanza di una sentinella straniera.
Ma l’osservazione più importante da fare a proposito di ogni
analisi concreta dei rapporti di forza è questa: che tali analisi non possono e
non debbono essere fine a se stesse (a meno che non si scriva un capitolo di
storia del passato) ma acquistano un significato solo se servono a giustificare
una attività pratica, una iniziativa di volontà. Esse
mostrano quali sono i punti di minore resistenza, dove la forza della volontà
può essere applicata più fruttuosamente, suggeriscono le operazioni tattiche
immediate, indicano come si può meglio impostare una campagna di agitazione
politica, quale linguaggio sarà meglio compreso dalle moltitudini ecc.
L’elemento decisivo di ogni situazione è la forza permanentemente organizzata e
predisposta di lunga mano che si può fare avanzare quando si giudica che una
situazione è favorevole (ed è favorevole solo in quanto una tale forza esista e
sia piena di ardore combattivo); perciò il compito essenziale è quello di
attendere sistematicamente e pazientemente a formare, sviluppare, rendere sempre
più omogenea, compatta, consapevole di se stessa questa forza. Ciò si vede nella storia militare
e nella cura con cui in ogni tempo sono stati predisposti gli eserciti ad
iniziare una guerra in qualsiasi momento. I grandi Stati sono stati grandi Stati
appunto perché erano in ogni momento preparati a inserirsi efficacemente nelle
congiunture internazionali favorevoli e queste erano tali perché c’era la
possibilità concreta di inserirsi efficacemente in esse.
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiElimina