Chagall, Le coq rouge dans la nuit (1944)
“Siamo della materia
di cui sono fatti i sogni” ha scritto William Shakespeare e un
altro grande “mago” rinascimentale, Giordano Bruno, nell'intera sua opera ha
descritto l'unità misteriosa di un cosmo respiro profondo dell'Uno.
Oggi arriva la conferma scientifica: siamo fatti della stessa materia
delle stelle. Lo dichiara al New York Times un famoso astrofisico.
Ray Jayawardhana*
Noi esseri umani figli delle stelle
Nella sua canzone
Woodstock del 1970 Joni Mitchell cantò «Siamo polvere di stelle,
[molecole] di carbonio di un miliardo di anni » e bruciò Carl Sagan
sul fil di lana: accadde tre anni prima che quest'ultimo nel suo
libro Contatto cosmico scrivesse che l'uomo è fatto di starstuff ,
materia stellare, concetto che in seguito avrebbe trasmesso a un
pubblico molto più vasto nel suo documentario televisivo a puntate
del 1980 intitolato Cosmos.
Oggi "polvere di
stelle" e "materia stellare" sono diventati quasi
cliché, ma non per questo la realtà dietro tali espressioni è meno
profonda o meno magica.
Il ferro nel nostro
sangue, il calcio nelle nostre ossa e l'ossigeno che respiriamo sono
i resti materiali di stelle vissute e morte moltissimo tempo fa. Si
tratta di una scoperta relativamente recente: quattro astrofisici
hanno elaborato questo concetto in un documento pubblicato nel 1957,
diventato poi una pietra miliare. I quattro sostenevano che quasi
tutti gli elementi della tavola periodica si erano formati nel tempo
per mezzo di reazioni nucleari che avvenivano all'interno di stelle —
e non nei primi istanti del Big Bang come si supponeva in precedenza.
La materia della vita, in altri termini, si manifestò in luoghi ed
epoche per certi aspetti più accessibili alle nostre esplorazioni
con il telescopio.
Tenuto conto che in
stragrande maggioranza trascorriamo la nostra vita confinati in una
stretta fascia in prossimità della superficie della Terra, siamo
portati a pensare al cosmo come a un regno celeste sconfinato, molto
al di là della nostra portata. Dimentichiamo che a separarci dal
resto dell'universo c'è soltanto un sottile strato di atmosfera.
Ancora oggi la scienza ci dimostra quanto la vita sulla Terra sia
interconnessa ai processi extraterrestri. In particolare, alcune
recenti scoperte hanno fatto luce sulle origini cosmiche degli
ingredienti fondamentali della vita.
Prendiamo il fosforo. Si
tratta di un componente essenziale del Dna, come pure delle nostre
cellule, dei denti e delle ossa. Gli astronomi hanno faticato per
ricostruirne la formazione in tutta la storia del cosmo, perché la
traccia indelebile del fosforo è difficile da individuare nelle
vecchie stelle fredde alla periferia della nostra galassia. (Alcune
di queste "capsule temporali" stellari contengono le ceneri
delle loro progenitrici, la prima generazione di stelle che si formò
intorno all'alba dei tempi).
Ma in un documento
pubblicato su The Astrophysical Journal Letters , un'équipe di
ricercatori ha riferito di aver misurato la quantità di fosforo
presente in tredici di queste stelle, utilizzando informazioni
ottenute dal telescopio spaziale Hubble. Le loro scoperte mettono in
luce il ruolo prioritario nella formazione degli elementi essenziali
per la vita delle cosiddette ipernovae , esplosioni che rilasciano
ancora più energia delle supernovae e che comportano la scomparsa di
stelle enormi.
Nel regno celeste si
produce qualcosa di più di semplici atomi. Numerose sono le prove
dalle quali si evince che lo spazio interstellare fu anche il luogo
nel quale gli atomi si unirono per formare alcune molecole collegate
alla vita. Uno studio pubblicato su Science con alcune simulazioni
informatiche è riuscito a ricostruire da dove proviene l'acqua della
Terra. Il responso al quale si è arrivati è sorprendente: la metà
dell'acqua presente sul nostro pianeta è più antica del sistema
solare stesso. Ai gelidi confini di una gigantesca nube di gas si
assemblarono primitive molecole di acqua.
Matisse, Icarus (1947)
In quella nube si
svilupparono il nostro Sole e i pianeti che vi orbitano attorno, e in
qualche modo quelle molecole d'acqua sopravvissero ai rischi legati
al processo di nascita dei pianeti per finire nei nostri oceani e, a
quanto si crede, anche nei nostri corpi. Nubi interstellari di tal
fatta si sarebbero potute benissimo prestare a dar vita a una
molteplicità di molecole. In un altro studio dello scorso autunno
pubblicato sempre su Science, un gruppo di ricercatori ha riferito la
prima scoperta in una incubatrice stellare di una molecola contenente
carbonio e avente una struttura "ramificata".
L'individuazione di tale
molecola, hanno scritto gli scienziati, è di buon auspicio per
preconizzare la presenza nello spazio interstellare di aminoacidi,
dato che la struttura ramificata è una loro caratteristica
fondamentale. (I ricercatori si sono avvalsi di un enorme network,
operativo soltanto in parte, di antenne radio erette su un altopiano
ad alta quota nel nord del Cile, posizione che rende più facile per
le onde radio raggiungerci dai confini glaciali della nostra
galassia, dove si presume che abbia avuto inizio l'alchimia della
vita).
Gli astrochimici sono
entusiasti per questa scoperta, perché gli aminoacidi — che sono
già stati individuati in alcune meteoriti — costituiscono il
presupposto delle proteine. Nel frattempo, il mese scorso alcuni
scienziati della Nasa hanno reso noto di aver creato alcune
componenti di base del Dna in un esperimento di laboratorio che
simulava l'ambiente spaziale. Sommando tra loro gli esiti di queste
ricerche, aumentano considerevolmente le probabilità che i
cosiddetti "mattoni della vita" si siano formati nello
spazio e si siano amalgamati alla materia che ha formato la Terra e
gli altri pianeti.
Può anche darsi che
l'universo ci appaia remoto, irreale e irrilevante, immersi come
siamo negli agi materiali, affascinati dalle continue distrazioni
della vita moderna, e che ciò accada soprattutto a chi vive in
città. Ma la prossima volta che da un luogo buio di periferia darete
un'occhiata alla Via Lattea in tutto il suo splendore, provate a
pensare a tutte quelle innumerevoli stelle come a impianti nucleari e
alle aree nebulose prive di stelle come a calderoni molecolari. A
quel punto non ci vorrà molto prima che riusciate anche a immaginare
i primordiali semi della vita che compaiono in lontananza.
The New York Times
Traduzione di Anna
Bissanti
* Ray Jayawardhana è
nato nello Sri Lanka. Si è formato ad Harvard e ora insegna
astrofisica alla New York University
La Repubblica – 21
aprile 2015
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