10 maggio 2015

IL DIFFICILE RAPPORTO DI H. ARENDT CON LA CULTURA EBRAICA




Per trent'anni Hannah Arendt mantenne stretti rapporti epistolari con Kurt Blumenfeld, professore a Gerusalemme, amico di Gershom Scholem e sionista critico. Questo rapporto, sottolineato anche nel film della Von Trotta, la portò progressivamente a interrogarsi dal suo esilio newyorkese sui suoi rapporti di ebrea non osservante con l'ebraismo e con Israele. Il carteggio, fondamentale per conoscere l'evoluzione del pensiero della Arendt, è ora tradotto in italiano. Ne riprendiamo una parte dell'introduzione e alcune lettere grazie a il manifesto.
 
Laura Boella
L'impossibile ritorno nella Terra promessa
Che cosa dob­biamo o vogliamo ancora saper di Han­nah Arendt, dopo anni di studi fon­dati su scritti editi e ine­diti? Dai diari e dai car­teggi ci si aspetta il disve­la­mento dell’aspetto pri­vato della vita di un pen­sa­tore o delle sue idee allo stato nascente. Nel caso di Han­nah Arendt, ci si trova di fronte a qual­cosa di più com­plesso, a sen­tieri inter­rotti del suo pen­siero, come quello riguar­dante l’etica, espresso in corsi di lezioni o nella cor­ri­spon­denza con Mary McCar­thy, e mai ela­bo­rato com­piu­ta­mente.
Come se que­stioni vis­sute dal vivo – la rifles­sione sull’etica diventa cru­ciale nel con­te­sto della «pol­ve­riz­za­zione dei cri­teri morali» emersa con il tota­li­ta­ri­smo e la Shoah – incon­tras­sero un limite insor­mon­ta­bile nella loro for­mu­la­zione teo­rica e potes­sero venire espresse per illu­mi­na­zioni, per espe­ri­menti di pen­siero, solo nel con­te­sto di una rela­zione, come quello della let­tera o dell’insegnamento.

Lo stesso si può dire di uno degli aspetti più con­tro­versi della vicenda intel­let­tuale di Han­nah Arendt, il suo rap­porto con l’ebraismo, al cen­tro del car­teg­gio con Kurt Blu­men­feld. Ci sono tracce ebrai­che e, se ci sono, quali, nella pen­sa­trice ormai anno­ve­rata tra i «clas­sici» del Nove­cento? Per rispon­dere a que­sta domanda, non è suf­fi­ciente seguire la strada bio­gra­fica, e nem­meno quella di un’analisi della deri­va­zione delle sue idee sulla poli­tica dalla rifles­sione sul tota­li­ta­ri­smo e sulla per­se­cu­zione anti­e­braica.
Spo­sata in seconde nozze con un non ebreo, Hein­rich Blü­cher, e impe­gnata in molti modi nelle que­stioni della poli­tica ebraica, Han­nah Arendt è stata la prima a dare una for­mu­la­zione para­dos­sale della sua ebrai­cità. Essere ebrea fu per lei un vin­colo di appar­te­nenza, mai rifiu­tato, ma non iden­ti­ta­rio, che si tra­dusse nel com­pito cri­tico di opporsi all’astrazione del popolo ebraico, che rite­neva fosse l’errore comune all’assimilazionismo, al nazio­na­li­smo sio­ni­sta e all’antisemitismo.
D’altra parte, Han­nah Arendt si sentì sem­pre un’ebrea tede­sca, ossia fece ricorso a un’appartenenza al mondo non ebraico, in par­ti­co­lare a quello della cul­tura euro­pea, nel senso né di un’identificazione né di una sepa­ra­zione radi­cale, bensì dell’affermazione della dif­fe­renza ebraica all’interno di una pro­spet­tiva che com­pren­deva l’intera sto­ria dell’Occidente.
Da que­sta para­dos­sale ambi­va­lenza trae ebraica e esplosa con vio­lenza a pro­po­sito del caso Eich­mann: inter­pre­tare la dia­spora, l’esilio e la Shoah come un’esperienza morale e poli­tica dal signi­fi­cato uni­ver­sale e non solo ebraico. Recenti studi, ricer­che d’archivio e inter­venti sol­le­ci­tati dal suc­cesso del film di Mar­ga­ret von Trotta, Han­nah Arendt, mostrano che si tratta di una que­stione per nulla risolta, che i tagli netti, le cesure interne, le con­trad­di­zioni del discorso arend­tiano con­tri­bui­scono in ampia misura a tenere aperta.

L’ebraicità di Han­nah Arendt si gioca inte­ra­mente sul con­fine tra vita e pen­siero e per que­sto motivo sono par­ti­co­lar­mente adatti a met­terne in luce i dilemmi esi­sten­ziali e intel­let­tuali i car­teggi, vive testi­mo­nianze delle «ami­ci­zie poli­ti­che» che nutri­rono la sua vita e il suo pen­siero, e nelle quali essa diede prova di grande mae­stria, e insieme di una dram­ma­tica ambi­guità. …Kurt Blu­men­feld fu una figura di grande rilievo nella matu­ra­zione del pen­siero poli­tico di Han­nah Arendt, che lo conobbe nel 1926 e attra­verso la sua cri­tica dell’assimilazione prese coscienza della pro­pria ebrai­cità.

    Kurt Blumenfeld
Fino a vent’anni Han­nah Arendt aveva tro­vato «noiosa» la que­stione ebraica. Costretta all’esilio in Fran­cia nel 1933, aderì al movi­mento sio­ni­sta «per colpa di Hitler, impe­gnan­dosi nell’attività dell’associazione Youth Aliyah, che favo­riva l’espatrio dei ragazzi ebrei in Pale­stina. Ini­zia in que­sto periodo la rifles­sione e l’intensa pro­du­zione gior­na­li­stica sui temi dell’antisemitismo e del futuro del popolo ebraico, che si inten­si­fi­cherà nei primi anni dell’esilio ame­ri­cano (1941–1944) con una serie di pub­bli­ca­zioni su rivi­ste di lin­gua tede­sca come Auf­bau e Meno­rah Jour­nal. A par­tire dal 1944 Han­nah Arendt lavora per la rivi­sta Jewish Social Stu­dies e nel 1948 assume l’incarico, affi­da­tole dalla com­mis­sione per la Jewish Cul­tu­ral Recon­struc­tion, di recu­pe­rare libri, anti­che per­ga­mene, oggetti d’arte e di culto tra­fu­gati agli ebrei durante il nazi­smo.
Que­sto lavoro, che le con­sentì di tor­nare in Europa, fu svolto tra il 1949 e il 1952 insieme a Ger­shom Scho­lem e in pro­fonda affi­nità d’intenti con Salo Baron, stu­dioso di sto­ria ebraica alla Colum­bia Uni­ver­sity. Esso si col­lega all’attività di capo­re­dat­trice della casa edi­trice Scho­ken Books, che le per­mette di occu­parsi della pre­sen­ta­zione al pub­blico ame­ri­cano di autori a lei molto cari come Wal­ter Ben­ja­min, Ber­nard Lazare e Franz Kafka. È que­sto un aspetto poco cono­sciuto del rap­porto di Han­nah Arendt con le que­stioni dell’ebraismo.
Con un eccel­lente lavoro di archi­vio, Natan Sznai­der ha mostrato in un libro recente come, com­pi­lando «liste dei tesori cul­tu­rali ebraici nei paesi occu­pati dalle potenze dell’Asse», essa per­se­guisse l’idea di una «tra­di­zione nasco­sta» dell’ebraismo total­mente diver­gente dall’immagine di un popolo per­se­gui­tato lungo i secoli e impe­gnato nella lotta per la soprav­vi­venza. L’eredità cul­tu­rale ebraica acqui­siva in que­sto modo il valore poli­tico di un patri­mo­nio col­let­tivo desti­nato alle comu­nità ebrai­che pre­senti in Ame­rica, in Israele e nel mondo dopo la Shoah, non più in rela­zione alla loro appar­te­nenza ai diversi stati nazio­nali, ma in quanto eredi di una sto­ria e di una cul­tura dotate di valore auto­nomo.

In que­sto qua­dro si inse­ri­scono gli epi­sodi più noti del con­flitto di Han­nah Arendt con la comu­nità ebraica. Nel 1943 era avve­nuto il distacco dalle orga­niz­za­zioni sio­ni­ste e l’articolo Ripen­sare il sio­ni­smo pro­voca, come si è visto, lace­ranti frat­ture dell’amicizia con Ger­shom Scho­lem e Kurt Blu­men­feld. Difen­dendo durante la guerra posi­zioni mino­ri­ta­rie in favore della costi­tu­zione di un eser­cito ebraico, e pro­nun­cian­dosi per uno stato in Pale­stina che orga­niz­zasse la con­vi­venza di ebrei e pale­sti­nesi in una strut­tura fede­rale, indi­cando la via di un supe­ra­mento dello stato nazio­nale a tutti i popoli euro­pei, Arendt espresse una netta oppo­si­zione alla fon­da­zione dello Stato di Israele. Lo scan­dalo pro­vo­cato dal repor­tage sul pro­cesso Eich­mann non farà che ampli­fi­care tali pro­fondi e radi­cati dis­sensi.



Su que­sto com­plesso back­ground si intesse la trama della lunga ami­ci­zia con Kurt Blu­men­feld, espo­nente di primo piano del movi­mento sio­ni­sta, emi­grato in Pale­stina nel 1933, dove, dopo lun­ghi sog­giorni negli Stati Uniti, nel 1945 si era sta­bi­lito defi­ni­ti­va­mente. Nono­stante l’ormai vasta biblio­gra­fia sul pen­siero arend­tiano, Kurt Blu­men­feld ha occu­pato una zona d’ombra da cui è uscito recen­te­mente in maniera abba­stanza sin­go­lare nel film di Mar­ga­ret von Trotta, Han­nah Arendt…
Kurt Blu­men­feld fu invece un uomo poli­tico e un orga­niz­za­tore, e si trovò pro­gres­si­va­mente iso­lato nel paese di cui amava i colori e i pro­fumi, che cor­ri­spon­deva al suo biso­gno di radica­mento, ma di cui non con­di­vise mai la deriva nazio­na­li­sta. Le let­tere resti­tui­scono l’immagine di due indi­vi­dui le cui strade si sono incon­trate per andare in dire­zioni diver­genti. Kurt Blu­men­feld, restando in Israele, viveva la scon­fitta del suo com­plesso rap­porto con il sio­ni­smo, men­tre Han­nah Arendt intra­pren­deva in Ame­rica la sua car­riera di intel­let­tuale in ascesa.
L’impossibile ritorno nella terra pro­messa risuona nell’invito peren­to­rio «vieni qui e basta», che rimane senza rispo­sta e pro­gres­si­va­mente lascia il posto alla descri­zione delle dif­fi­coltà della vita da «ultimo sio­ni­sta» in Israele…Le let­tere viag­giano da New York a Geru­sa­lemme e vice­versa, dall’America che imprime un ritmo di pre­stis­simo all’attività di Han­nah Arendt, e dalla pic­cola terra, in cui la vita è sem­plice e man­tiene un’impronta di nuovo ini­zio rispetto alla dia­spora, all’antisemitismo e alla Shoah…
Il tema modu­lato in molte varia­zioni attra­verso il quale la voce di Kurt Blu­men­feld risuona nello spet­tro di toni che gli sono più con­ge­niali, dalla col­lera alla disil­lu­sione al malin­co­nico senso dell’approssimarsi della fine, è il destino dell’ebraismo euro­peo distrutto dalla Shoah. Intorno a esso le strade diver­genti dei due amici tro­vano un punto di con­tatto, come se la loro ami­ci­zia potesse ali­men­tarsi solo della fine di ciò che li aveva fatti incon­trare, la fusione della cul­tura ebraica e di quella tede­sca, e il suo pro­dotto, il sio­ni­smo. Kurt Blu­men­feld defi­ni­sce quel periodo «l’apogeo non solo della sto­ria ebraica, ma anche della sto­ria dell’umanità». Han­nah Arendt lo vede nell’ottica di un’epoca irri­me­dia­bil­mente finita, il cui fal­li­mento deve tut­ta­via essere inda­gato sto­ri­ca­mente e criticamente.

Kurt Blu­men­feld
P.O.B. 583 Geru­sa­lemme
Signora Han­nah Arendt,
New York 26 giu­gno 1945
Mia cara Han­nah,
eccomi arri­vato da tre set­ti­mane in patria. Quel che ho vis­suto in que­sto periodo baste­rebbe per riem­pire il baga­glio di un uomo dalle pre­tese più mode­ste. L’aria di Geru­sa­lemme ci rende intel­li­genti? Non lo so. In ogni caso mi rende sano. A volte mi sento così bene che urlo spa­ven­tato: Jenny, eufo­ria! Fino a ieri ho avuto molto freddo, e la notte ho dor­mito sem­pre con due coperte.
Ieri è stata la gior­nata dell’Irgun Olej Mer­kas Europa, che riu­ni­sce tutti i gruppi che, dall’Europa, hanno tro­vato la strada per venire fin qui. Come sem­pre in que­sti con­gressi, abbiamo avuto il Cham­sin. Senza ren­der­mene conto, ho par­lato per un’ora e mezza, per la gioia dei miei ascol­ta­tori. I miei adepti, come li ho chia­mati, erano là insieme a gente pro­ve­niente da altri Paesi; ad ogni modo que­sta volta mi è stato per­messo di par­lare in un idioma stra­niero.
Ti sare­sti stu­pita di sen­tirmi par­lare a quel modo, diver­sa­mente da come par­lavo durante il mio sog­giorno in Ame­rica, non ricordo in quale anno. Fatico a com­pren­dere pie­na­mente l’effetto pro­dotto dalle mie parole: non avevo pre­vi­sto né un simile tra­sporto, né tanto entu­sia­smo spon­ta­neo.
Que­sto discorso mi ha fatto capire che, mal­grado un lungo periodo di for­zata inat­ti­vità, non ho perso tempo. In un modo o nell’altro ho impa­rato il mestiere. Ho l’impressione di dovere molto agli amici – sono una man­ciata, ma sono amici veri – che avevo in Ame­rica e al mio sog­giorno nel Nuovo Mondo.…..mi è bastato vivere qui alcune set­ti­mane per impa­rare tan­tis­sime cose della vita in Pale­stina. Qual­che volta ho l’impressione di poter ripren­dere in mano tutto quanto dal punto in cui l’avevo lasciato sei anni fa.
Mi dedi­cherò all’ebraico, basterà poco. Gra­zie al sem­plice fatto di sen­tire ogni giorno la musica in que­sta lin­gua, è facile rin­fre­scare i ricordi e impa­rare cose nuove…Ecco dun­que qual­che noti­zia, così alla rin­fusa, niente sulla poli­tica. Ora sono fermo ancor più di prima sulle mie posizioni1. Non so nem­meno come la pen­se­re­sti se fossi qui, se sare­sti lon­tana dal mio punto di vista. A distanza si capi­scono e si sen­tono dire molte cose, ma sul posto ne vediamo di più. La luce chiara e i con­torni netti rive­lano di colpo tutto ciò che, al di fuori della Pale­stina, viene anneb­biato e oscu­rato dalle nuvole.
Da Han­nah Arendt 317 West 95th New York, N.Y.
A Kurt Blu­men­feld P.O.B. 583 Geru­sa­lemme ‚2 ago­sto 1945
Mio caro Kurt

appro­fitto delle mie vacanze per scri­verti, poi­ché temo di essere già caduta irri­me­dia­bil­mente nella pigri­zia. Mi trovo in una pic­cola cit­ta­dina uni­ver­si­ta­ria, o meglio in un pic­colo col­lege del New Hamp­shire. Ci sono pae­saggi col­li­nari molto belli, e splen­dide fore­ste nelle quali non si può met­tere piede. Anche le col­line sono là solo per gli occhi. Tutte cose che non apprezzo affatto, per­ché la natura comu­nica con me attra­verso la pelle, che uni­sce naso, bocca e orec­chie. Mi trovo nella casa estiva di amici e sto benis­simo.
Quest’anno a New York non c’è cani­cola, è sem­pli­ce­mente umido, il che è anche più sgra­de­vole. La tua let­tera (in realtà le tue let­tere, dato che Mar­tin mi ha fatto leg­gere quelle che gli hai spe­dito) mi ha pro­cu­rato un vivo pia­cere. Cono­sco bene il sen­ti­mento di ango­scia nel ritro­vare vec­chi amici. Nei bohé­miens come noi, attac­cati cioè a niente di quel che pos­se­diamo, che si por­tano appresso il loro ambiente o, meglio, che il loro ambiente sono costretti a pro­durlo sem­pre di nuovo, tale ango­scia – che di per sé è natu­rale e comune a tutti gli uomini – assume facil­mente pro­por­zioni da panico.
I bohé­miens sanno che la loro sen­si­bi­lità non è pro­tetta da nes­suna biblio­teca e da nes­sun mobi­lio. Per­ciò ami­ci­zie e rela­zioni umane diven­tano ancor più impor­tanti, anche se è chiaro che si chiede loro sem­pre troppo. Essendo di fatto l’unico ambito nel quale si possa tro­vare sod­di­sfa­zione nella vita pri­vata, nono­stante tutta la fedeltà e la cor­ret­tezza pos­si­bili, esse pos­sono essere man­te­nute solo mediante un con­tatto costante. Se si ha del mobi­lio, ci si può ben abi­tuare ad accet­tare come parti del pro­prio arre­da­mento anche degli esseri umani. Ma se si con­duce la pro­pria esi­stenza senza mobi­lio, come dei bohé­miens, la cosa diventa note­vol­mente più dif­fi­cile.

Mi ral­le­gro al solo sen­tire dei tuoi suc­cessi poli­tici. No, non credo che noi avremmo molte diver­genze adesso, e penso che ne avremo ancor meno negli anni a venire, quando le cose diven­te­ranno molto più sem­plici e assai più nitide. Se non mi sba­glio, ci ritro­ve­remo in una situa­zione che, a grandi linee, sarà simile a quella degli anni Trenta, quando l’unica cosa impor­tante era essere vera­mente e auten­ti­ca­mente anti­fa­sci­sti. Solo, que­sta volta, con altri fronti.

Mrs. Han­nah Arendt,
317, West 95th Street,
New York, N.Y. 17 set­tem­bre 1945
Cara Han­nah,
….…..
Quanto alla poli­tica in gene­rale, ho poche cose da aggiun­gere a quelle che ti avevo detto a New York. Il Medio Oriente resta sfera di inte­resse inglese, ancor più di quanto imma­gi­nassi. La Rus­sia è molto indaf­fa­rata, si pro­cura altrove tutte le mate­rie prime di cui ha biso­gno e per il momento non si fa asso­lu­ta­mente notare, e la Hasho­mer Hatzair e il Linke Poale Zion ne sono molto scon­tenti.
Le truppe inglesi lasciano l’Egitto, e in Pale­stina avremo alcuni mani­poli di truppe d’occupazione per­ma­nenti. Tru­man cre­deva che fos­sero neces­sari 500.000 uomini, cosa che ha cer­ta­mente detto per rispon­dere alla pres­sione dei sio­ni­sti ame­ri­cani, ren­den­doci un cat­tivo ser­vi­zio. Come ti potrebbe spie­gare un esperto di cose mili­tari, oggi non c’è biso­gno di tante truppe per pla­care la popo­la­zione di un pic­colo paese.
Come potrai imma­gi­nare, noi qui viviamo seduti sul famoso barile di pol­vere da sparo, e ovvia­mente ci sono parec­chie per­sone che aspet­tano che qual­cuno ci butti den­tro un fiam­mi­fero. Non so dire che piega pren­derà la situa­zione nelle pros­sime set­ti­mane. I «duri» hanno già pro­vato e annun­ciato tal­mente tante cose che non si rag­giun­gerà una solu­zione nego­ziata. Già così andrebbe male abba­stanza. Per la pro­gnosi, l’evoluzione della situa­zione in Siria offre un’eccellente ana­lo­gia: fu uno scan­dalo quando i fran­cesi ten­ta­rono di repri­mere una ribel­lione con 500 uomini. Poi fu con­si­de­rato nor­male che qual­che giorno dopo gli inglesi arri­vas­sero con 60.000 uomini.
Non è bello vivere in que­sto mondo, e il fatto che ciò che accade qui non sia che una minima parte del dramma che attra­versa il mondo è una magra con­so­la­zione. Con i con­cetti di diritto e giu­sti­zia, di demo­cra­zia e di anti­fa­sci­smo non si può fare molto. Lan­dauer ha scritto un bell’opuscolo sulla «demo­cra­zia inter­ven­ti­sta». Quindi potre­sti cre­dere che qui io non abbia la minima spe­ranza. Non è vero. …..
Han­nah Arendt a Kurt Blu­men­feld

14 gen­naio 1946

….….….…

Sono d’accordo su molti punti del tuo arti­colo, che è scritto molto bene; non credo però all’emigrazione di massa dagli Stati Uniti, a mio avviso è sem­pli­ce­mente impos­si­bile. In più non ne vedo la neces­sità: di 1,25 o 1,5 di ebrei che ci sono ancora in Europa, ci ser­vi­rebbe spo­starne un milione subito, e non siamo in grado di farlo.
Tutto som­mato que­sto è nien­te­meno che una que­stione di vita o di morte; temo che la situa­zione sia anche più grave. Ho da poco letto su un gior­nale una dichia­ra­zione di Sil­ver, che dice che gli ebrei non accet­te­reb­bero l’immigrazione senza uno Stato. Buon Dio, le per­sone sono diven­tate com­ple­ta­mente matte. Hai per­fet­ta­mente ragione nelle con­si­de­ra­zioni che fai circa la situa­zione che è venuta a crearsi in Europa.
Qui ho par­lato dell’Europa con vari ebrei: Gamzon, che viene dalla Fran­cia – degli Eclai­reurs Israé­li­tes, un movi­mento di gio­ventù ebraica finan­ziato dai Roth­schild –, penso sia stato un vero eroe della Resi­stenza. Lui parla in modo chiaro fin nel det­ta­glio, come ha fatto anche nel 1938 e nel 1939.
Ci siamo visti da soli, e alle mie domande ha rispo­sto chia­rendo nel modo più lim­pido ed estremo che in Fran­cia l’antisemitismo non esi­ste. (Avevo appena rice­vuto da un mio cono­scente, un cat­to­lico non ebreo, una let­tera molto inquie­tante al riguardo.)
Poi ho visto e par­lato con Baeck, che è vera­mente impres­sio­nante per­ché pro­prio corag­gioso. Si esprime esat­ta­mente come nel 1932: Hitler ha per­se­gui­tato gli ebrei, per­ché? A causa del loro talento, natu­ral­mente! E un ebreo non potrebbe mai essere un uomo banale come gli altri. Insomma la nor­male robac­cia scio­vi­ni­sta di quelli favo­re­voli all’assimilazione, da sempre.

Il Manifesto Alias- 18 aprile 2015


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