08 maggio 2015

EXPO E MACERIE


Expo e macerie nello specchio della sinistra


di Monica Pepe

L’espressione “violenze al limite dell’autolesionismo” utilizzata da Luca Fazio sul Manifesto, all’indomani del corteo No Expo di sabato scorso ha tracciato meglio di altre quanto accaduto. Grazie a queste violenze il modello Expo ha vinto il primo round della digeribilità e della simpatia e ricompattato un’opinione pubblica ormai agonizzante. ”Mi dispiace per quei ragazzi che hanno un concetto distorto della libertà” ha detto in maniera autentica una giovane donna di Milano mentre il giorno dopo ripuliva strade e muri. Ciononostante sin dal lunedì successivo, la forza del ragionamento è ripresa grazie a persone come Pietro del Soldà che a “Tutta la città ne parla” su Radio3 ha fatto parlare molte voci contrarie all’Expo. Una, interessante, chiedeva come mai i milanesi non sono scesi in piazza quando sono scoppiati in fila indiana scandali e tangenti.
Non credo che occorra riesumare trattati sulla psicologia delle masse per capire che non ti porterai mai nessuno dalla tua parte sfasciando tutto, non è certo così che “la folla senza testa” si identifica con il suo simile, al contrario si salda come una molla con il Capo. Pensare di produrre consapevolezza durante il climax della formalizzazione postcapitalistica erigendo la violenza come contronarrazione, vuol dire non avere neppure la consapevolezza di quanto si venga inghiottiti nello stesso disegno, diventandone lo scarico.
La violenza seduce perché mortifera e ancestrale ma non dispiega mai un principio trasformativo e imprendibile per il potere. Anche se esiste e appartiene a tutti indistintamente nelle sue diverse remote origini, la violenza è sempre fascista, e non produce mai l’alternativa. Credo che l’esperienza amara del branco mediatico sarà una spinta a crescere per Matteo ‘Tia’ Sangermano, il ragazzo che ha rivendicato in video la bellezza e l’emozione di trovarsi in mezzo alla distruzione, senza sembrare consapevole di cosa fosse Expo. “Io quando sono in mezzo ai disastri sono contento comunque, e quando c’è casino faccio casino anch’io”. Peccato che il padre gli abbia dato del ‘pirla’ senza pensare  quanto questa cosa lo riguardasse. Credo ce ne fossero molti come Tia all’interno del Corteo, a parlarci della piccola Isis nostrana, della violenza come afonia della rabbia giovanile, di cui né alla politica nè alla società degli adulti frega qualcosa, lisci come l’olio nel poter scaricare su tecnologie e social network la non consistenza dei ragazzi e delle ragazze di oggi. Vogliamo chiederci perché fanno tanta fatica a crescere, e cosa ci stanno dicendo?
Senza più padri né guide morali, è tutto sommato la migliore generazione della inedita epoca della anaffettività sociale e incorporea conclamata.
“Dovete ritenervi fortunati a non avere più delle guide che vi intralciano. E poi avete la rete!”. Emblematica a un convegno tempo fa, la risposta di un giornalista di esperienza a una ragazza che si chiedeva come farà la sua generazione senza punti di riferimento, senza intellettuali a cui guardare. Complimenti per la sconfitta.
Sappiamo bene che i rapporti di forza sono saltati da tempo. Una voragine di identità e di rappresentanza politica ha inghiottito da anni la sinistra in Italia, in una frattura temporale che ha scollato in un tempo rapidissimo una esperienza mentale del mondo da un’altra, che ha coinciso con la perdita di contatto tra una generazione e un’altra.
Riappare fantasmatico l’errore storico della sinistra italiana. L’aver pensato che il progresso dipendesse da questioni teoriche e politiche e non, come è, dalla trasformazione dei vissuti delle persone. Più che un errore una catastrofe, laddove senza neanche più la forza delle ideologie le macerie del postcapitalismo sottraggono in via definitiva la società come affaccio sul mondo. Peggio ancora, l’impellenza delle giovani generazioni di voler uscire dalla istituzione famiglia – la cellula sociale più reazionaria e conservatrice che esista – e poter mettere costi quel che costi nel piatto della vita Autonomia, Progetto, Creatività, per la conoscenza di sè, per produrre contatto con se stessi e con la propria storia. E sebbene condivida larga parte di quanto dice Bifo nel suo post “Dalla parte dei teppisti” credo che accanto e in mezzo ai tremila (?) che spaccavano le vetrine e ai 17.500 che lavorano gratis per il vergognoso modello Expo, ci sono giovani che lottano ogni giorno per avere un lavoro, un’autonomia, un progetto di vita, nonostante la sottrazione della dignità e dei diritti. Non sono degli sconfitti, sono ragazzi e ragazze che non si arrendono perché godono del contatto con la loro vita.
Tutto rema contro la naturale spinta al cambiamento che viene dalla forza rivoluzionaria dei giovani contro cui si accanisce un sistema di mummie viventi di potere, anche quando hanno 40 anni come Matteo Renzi. Ma è solo colpa del potere?  O i giovani di oggi parlano di un fallimento depositato da una intera genealogia di padri? Ormai possiamo arrivare ai nonni.  Insegniamo ai ragazzi a combattere davvero. La pornografia di cui ha parlato Christian Raimo a proposito degli scontri si combatte con le passioni vere, immaginate e vissute. Sappiamo ancora farci travolgere, sappiamo ancora trasmetterle?
Terra, cibo, tradizione e futuro è quanto ha offerto Genuino Clandestino a Milano con un banchetto allegro e contadino in piazza XXV aprile domenica 2 maggio (dopo aver partecipato il giorno prima alla manifestazione), avvicinando tante persone anche grazie alla presenza di un uomo leggendario, pieno di ogni dignità e umanità: Hugo Blanco, 81 anni di cui 60 spesi per le lotte per la terra in Perù e a fianco degli Indios. Prendo le parole del suo ultimo libro “Noi, gli Indios” (Nova Delphi) e anticipo l’obiezione: sono parole irrealistiche? Forse dovremmo chiederci di quale realtà è fatta la nostra vita di ogni giorno.
Ecco quello che scrive Blanco: “Un mondo d’amore, un mondo senza guerre, dove il lavoro non sia un peso ma un piacere, un mondo dove non ci sia fame nè ingordigia, dove non ci sia repressione sessuale e quindi dove non ci sia voracità sessuale, dove tutti abbiano una casa e non ci siano potenti in grandi palazzi, dove per salire non sia necessario calpestare la testa di un altro dove nessuno cerchi di essere il più intelligente, la più bella, il più forte, il migliore dove usiamo solo ciò che ci serve non ciò che ordina la pubblicità e la moda, dove possiamo essere diversi e amarci, dove ci rivolgiamo a Madre Natura con l’amore di figli, non come suoi nemici dove il tempo sia per vivere non per produrre e consumare un mondo che non sarà come io voglio ma come l’umanità che lo costruisce deciderà, un mondo di luce che appena possiamo scorgere fra le tenebre in cui viviamo, costruiamolo”.

Articolo pubblicato oggi da   http://www.minimaetmoralia.it/

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