I bambini della Ginestra
di G. Bosco
Maria Rosa Cutrufelli sa che raccontare storie è “un’arte
delicata che richiede un alto grado di responsabilità. Soprattutto quando, dietro
i personaggi d’invenzione (...), si muove la
Grande Storia, con le sue questioni irrisolte, le sue menzogne e i suoi vicoli
ciechi.” ( pag. 267).
Ne I bambini della Ginestra,
pubblicato nel 2012 dall’ editore Frassinelli, l' autrice messinese riesce a raccontare una storia d’amore tra
due ragazzi, Enza e Lillo, che, da bambini, si sono trovati ad assistere alla
Strage di Portella della Ginestra del 1° maggio 1947. E quanto accaduto allora è “un fatto storico di primaria importanza, perchè il giorno dopo niente
fu più come prima ”, come ha riconosciuto Francesco Renda, lo storico che fu anche testimone
della strage.
In questo contesto si sviluppa la storia
di Enza e Lillo, prima bambini, poi adolescenti infine giovani adulti, che in
quel tragico I maggio del 1947, assistono alla strage. Nella piana inondata dal
sole, a migliaia contadini e artigiani si sono riuniti per fare festa com’era
consuetudine fin dai tempi dei Fasci dei lavoratori di fine 800. Le bandiere
rosse sventolano allegre, ma presto quel rosso diverrà solo il colore del
sangue. Sparano dalle alture circostanti, la Pizzuta e la Kumeta, non solo con lupare e fucili, ma con mitragliette
e bombe a mano. Sparano sulle persone che cadono a terra a decine, ma anche
sugli animali, sui cavalli e l’urlo straziante di un cavallo morente rimarrà
per sempre nel cuore di Lillo accanto all’immagine del corpo di suo padre. Enza
invece é in ritardo; qualche centinaio di metri la separa dal punto di ritrovo,
quando vede passare in lontananza, sul versante opposto delle colline, una fila
di uomini armati.
La Strage in un disegno di Renato Guttuso
La storia viene narrata attraverso un
carteggio tra i due protagonisti. Si
costituisce così un sapiente equilibrio narrativo con l’alternanza tra i due
punti di vista delle voci narranti: i due ragazzi sopravvissuti alla strage a
cui si aggiungono, in una crescente polifonia, le voci dei personaggi minori. Nell’incipit
del romanzo gli eventi tragici di Portella della Ginestra sono visti dall’ottica di entrambi i
protagonisti : “ Cercava sua madre. La
trovò più o meno nello stesso posto in
cui l’aveva lasciata, al centro del pianoro.(…) E si precipitò verso di lei. Ma proprio mentre si
chinava per abbracciarla, si rese conto che il suo cuore era stato troppo
partigiano. Perché davanti a loro, sbattuto sui cuscini pungenti delle ginestre,
c’era un corpo, e quel corpo era di suo padre”.
Il punto di vista di Lillo è presente anche nella lettera inviata da Roma il 10
ottobre 1972 ad Enza, a distanza di circa trent’anni da quegli eventi (sezione del libro che s’intitola “Andare
,-Tornare”, che è anche il titolo dell’ultimo
capitolo, nella circolarità narrativa del romanzo) in cui il giovane, a causa
delle continue partenze e ritorni in Sicilia, cita i versi della poesia di
Quasimodo “Lamento per il Sud”: “Il sud è
stanco di trascinare morti… Anch’io ero stanco di trascinare i miei morti e
quella sera, in una pensioncina di via Cavour, ripensai proprio alla poesia di
Quasimodo e al momento in cui l’aveva scritta, poco prima della Ginestra come
in una preveggenza. Pensai ai sentieri della Sicilia, alle sue piste nuovamente
rosse, ancora rosse, ancora rosse… e con il viso contro il cuscino mormorai a
fior di labbra: più nessuno mi porterà nel sud! Più nessuno: con le parole del
poeta, mi stavo facendo una promessa”(pag.8).
La
visione della protagonista femminile
emerge, invece,attraverso un lungo monologo, non solo nel racconto di
quei tragici fatti, ma anche nel ricordo del primo incontro di Enza bambina con
Lillo. Il giovane era amico di Giacomo, fratello di lei,perciò frequentava quella casa ; Enza
fin da allora cercava a tutti i costi di attirare la loro attenzione… “Vi
ronzavo attorno come una piccola vespa arrabbiata”(pag.13). La ragazza, di
origine piccolo-borghese, crebbe accudita dalla governante Luchina, di cui si
era innamorato Gjergj, un ragazzo greco, che si era stabilito a Piana degli
Albanesi. ’’Forse è colpa del greco e
delle sue misteriose manovre, se quell’anno ci spuntò la voglia di andare alla
Ginestra (…) E fu proprio con questo
sentimento di fiducia che il primo maggio del quarantasette mi avviai verso lo
stradale che passa sotto la pizzuta che conduce a portella della Ginestra (…)
un terrore incontenibile mi soffocò e lottai per liberarmi (…) mentre una voce
ordinava: ”non spostare i morti!” (…) e se il nostro maresciallo si comportava
in quel modo, correndo per ogni pizzo e insistendo a dire: ”Lasciate i morti
dove sono!”,(…) un qualche significato doveva pur esserci nelle sue parole (…),
guardavo e davanti a me si stendeva quella
strada troppo nera (…) su cui si riversavano animali e cristiani, giumente
sciolte senza padroni e bambini scalzi che singhiozzavano con la bocca aperta e
le guance impastate di moccio”(pag.30)
Il
trauma subìto innescherà un meccanismo evolutivo nella coscienza di Enza che da
quel giorno non sarà più bambina, perdendo la sua innocenza: “C’è un’immagine che non sopporto, mi dà
dolore per quanto è ancora viva dentro di me…Ed è l’immagine della bambina che
ero, tesa nello sforzo disperato di capire e di farsi capire. Mi affannavo, ce
la mettevo tutta, ma l’impresa, inesorabilmente, rimaneva fuori dalla mia
portata”(pag.143). Parallelamente
si intreccia la storia di Lillo, il quale prenderà coscienza delle verità
taciute, che offenderanno ancora di più la memoria delle vittime con il processo di Viterbo. Questa è
la parte più appassionata e rigorosamente documentata dall’autrice, in cui è
meglio delineata la psicologia non solo del protagonista, ma anche di altri
personaggi minori: i familiari delle
vittime. Essi sono quegli “umiliati ed offesi”, che tra innumerevoli disagi per
i pochi mezzi economici, lontani dalla
loro terra, senza un alloggio , assisteranno ad un “processo farsa”, in cui
prevarrà la ragion di stato e non si condanneranno i veri responsabili. Sempre attraverso il punto di vista della
protagonista femminile, conosciamo come si evolverà la vita del ragazzo, il suo
trasferimento a Roma e il conseguimento della laurea in Giurisprudenza all’università La Sapienza. Egli tornava
puntualmente in Sicilia il primo maggio per la commemorazione della strage di Portella della Ginestra
.
La
tragedia unisce sentimentalmente i due giovani, ma le loro vite resteranno a
lungo separate. In un altro passo del romanzo Enza ricorda attraverso un flashback
un ritorno a Palermo di Lillo per il ventennale della strage e fu in quel
momento che avvertì quanto si fosse sentita da sempre legata a lui “ Perché
facevamo parte della stessa storia, perché avevamo nel cuore la stessa
tirannia, come dice la tua canzone. Perché eravamo e saremmo stati per sempre i
bambini della ginestra”(pag.201). Solo alla fine della narrazione, però, il giovane, trovandosi nuovamente a Palermo e precisamente nella spiaggia di Mondello, manifesterà
più liberamente i suoi sentimenti per lei: ”Il
lido era deserto. C’eri solo tu ,accovacciata accanto ai raggi di un falò. Tracciavi
segni sulla sabbia con un bastoncino annerito dalle fiamme(…) Il sole uscì per
un attimo dalle nuvole (…). Ti guardai nella luce di quel tramonto senza
colori, rischiarato dai raggi bassi e stanchi, stanchissimi, proprio come me, e
mi chiesi per quale motivo non avessi mai visto quello che vedevo ora: la curva
della nuca, la sottile dolcezza del collo…Magari ero troppo impegnato a
scappare(…)E in un attimo accadde: il perenne senso di attesa in cui ero
vissuto per oltre vent’anni(…) quella rabbia che mi dava l’essere orfano-orfano
per volontà di qualcuno, non per disgrazia, quel livore si dissolse. Sparì. Forse
sarebbe tornato, forse no, ma in quel momento allentò la stretta (…). Ti
raggiunsi. Mi accucciai sulla rena cercando la tua mano e mentre ascoltavo la
musica sottile ed intima dei tuoi orecchini, pensai che l’amore è un lavoro
faticoso. Lungo e faticoso” (pag.259).
Il sasso di Barbato
La storia di si
conclude 25 anni dopo la Strage di
Portella. Tanto c’è voluto, secondo l’autrice del racconto, per consentire ai
protagonisti di elaborare il lutto e ricostruire la loro vita e l’amore. Difatti,
25 anni dopo la Strage, Lillo scrive ad Enza una lettera da Roma in cui le annuncia di voler ritornare definitivamente a Palermo e le dà appuntamento a Portella della Ginestra
, nel luogo dove tutto ha avuto inizio, sul sasso Barbato su cui sono incise
ancora queste parole “qui sulla pietra di Barbato…mentre il popolo
celebrava la festa del lavoro e la vittoria del 20 aprile, qui si abbatté il
piombo della mafia e degli agrari…” (pag.266).
Giuseppina Bosco
Invitiamo i lettori di questa recensione a vedere anche i precedenti post dedicati alla memoria della Strage di Portella. Per quento riguarda la leggendaria figura del medico socialista Nicola Barbato, leader del Movimento dei Fasci di fine ottocento, va ricordato che non si limitava a parlare di politica ai contadini analfabeti del tempo ma anche di poesia.
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