Immagini della tonnara di Scopello
Gli occhi dei tonni. In margine a una polemica ambientalista
Fabio Stassi
In uno scatto degli anni Sessanta, sono in piedi al centro di una barca di tonni. Mostro un equilibrio precario. Ho una gamba su un asse di legno e il corpo piegato. Cerco di toccare con la punta delle dita la pinna di un animale. Mio zio mi sorregge e mi invita ad avere coraggio.
Ancora adesso che la guardo questa foto mi dà il mal di mare. Tutto vi è scivoloso: il dorso lucido dei tonni, il tempo che è trascorso, la barca che dondola sull’acqua. Fa uno strano effetto ritrovarmi là in mezzo. Un bambino tra occhi che non si chiudono. I pesci sono come le marionette, non hanno palpebre: ti fissano anche dalla morte.
A distanza di cinquant’anni quella foto scattata alla tonnara di Scopello mi è tornata alla memoria, con tutto il suo senso sdrucciolevole e irrevocabile, quando ho letto della polemica sul ripristino dell’accesso libero a quello spicchio di mare per la quale si battono molti cittadini da otto anni e della posizione contraria che ha preso invece il direttore regionale di Legambiente in Sicilia Gianfranco Zanna affermando che “una smisurata e irregolare fruizione dell’area vincolata causerebbe un gravissimo danno alle strutture nel suo complesso e un deterioramento del patrimonio culturale e paesaggistico”.
Per chi non conosce la storia, provo a riassumerla. Da otto anni, per scendere a mare bisogna pagare un biglietto ai proprietari dell’impianto monumentale della tonnara (oggi trasformato in una elegante struttura ricettiva). Recentemente, il Comune di Castellammare del Golfo ha chiesto di togliere quel ticket in nome delle leggi sui litorali e ha avviato un progetto per il procedimento di esproprio esclusivamente per la via di accesso al mare. Il sindaco ha ribattuto a Legambiente dicendo che il libero accesso al mare è un diritto di tutti e che va tutelato e sicuramente regolamentato, invitando ogni soggetto ad avere a cuore l’interesse pubblico e a non appiattirsi “su posizioni che sembrano quasi rispondere ad interessi privati”.
Anche Michele Serra ha affrontato sulla sua amaca di Repubblica del 16 maggio questo “dibattito tipico della civiltà di massa”. Se sia meglio “tutelare la bellezza limitandone il consumo (in tutti i sensi) o consegnarla, in quanto bene pubblico, all’uso e spesso all’abuso delle moltitudini”. Alla fine delle sue riflessioni, Serra chiosa: “Non l’eventuale interesse privato – comunque spesso utile a conservare la bellezza – ma la coscienza pubblica, gestita da amministratori e governanti, sarà costretta prima o poi a disciplinare l’uso di quei beni magnifici e fragili. Ma fino a che affidare a mani pubbliche luoghi come la Tonnara di Scopello non garantirà severità e controlli, è inevitabile contare sulla premura dei suoi tutori privati.”
Confesso di avere chiuso il giornale con un’onda di tristezza.
Involontariamente, mi sono ricordato dello sguardo dei tonni nelle barche della mia infanzia. Uno sguardo sconfitto, spento, esanime e spossato. Fisso sul cadavere indurito di tutte le nostre speranze. Ci sono questioni minime e forse ingenue che precedono qualsiasi dibattito sulla civiltà di massa. E la prima, la più elementare di tutte, è come far rispettare la legge, anche quella sul demanio, e far funzionare i servizi. Le cose sono quasi sempre semplici, sosteneva Sciascia. Accettare di demandare ai privati quello che dovrebbe essere compito del Comune (regolare, sorvegliare, pulire, come accade nella maggior parte delle spiagge del mondo) non può che suonare come una resa definitiva. E vale per una costa come per una università. A ogni interesse privato e a ogni corruzione pubblica – comunque spesso alleate a deturpare la bellezza – basterebbe opporre una nuova (o antica?) idea di amministrazione del bene comune, e che lo Stato si assumesse tutte le sue responsabilità e se ne facesse finalmente e severamente carico. A cominciare anche da un piccolo angolo di mare nella parte più occidentale ed estrema di un’isola, come chiede il sindaco di Castellammare del Golfo. Metterlo alla prova e tenerne d’occhio l’operato potrebbe essere un programma a più lungo termine.
Altrimenti, se proprio devo accontentarmi di un paradosso, preferisco quello più radicale di Gesualdo Bufalino che si augurava per la Sicilia una nuova invasione straniera – ne abbiamo già subite tante, nella nostra storia. Magari questa volta di cittadini che paghino le tasse e di amministratori elvetici che sappiano ridistribuirle per davvero come servizi per tutti.
Da http://www.minimaetmoralia.it/ 22 maggio 2015
E poi ci si meraviglia della fine miserabile che ha fatto la "Lega per l'ambiente" in Sicilia!
RispondiEliminaE' vero, comunque, che anche nel resto d'Italia i verdi hanno fatto una brutta fine...
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