24 maggio 2015

IL MINCULPOP FASCISTA

vignetta sull’Ovra pubblicata dalll’Organo della Concentrazione antifascista La libertà, 1930. Presa da Mimmo Franzinelli, I tentacoli dell’Ovra, Bollati Boringhieri 1999.


Dal sito https://georgiamada.wordpress.com/ riprendo questo pezzo:

Il controllo della cultura come strumento di governo
di  Giorgio Di Costanzo




Sotto le dittature, ma non solo, il controllo della memoria e della cultura si traduce spesso in un vero e proprio strumento di governo.
La Divisione di polizia politica o POLPOL (a cui si unirà in seguito l’Ovra) con la sua immensa e capillare rete di confidenti, fiduciari e subfiduciari, fu, per il regime di Mussolini, un gigantesco strumento di governo e di consenso.
Questo controllo, da una parte si presentava con una facciata violenta per eliminare (o anche solo terrorizzare) gli oppositori, i dissidenti, o anche solo i tiepidi critici, che venivano mandati velocemente al Confino o davanti al Tribunale speciale, o eliminati fisicamente. In un primo periodo questo controllo fu indirizzato soprattutto contro i Pcd’I e poi contro Giustizia e Libertà nata a Parigi dopo la fuga di Carlo Rosselli da Lipari.
Dall’altra parte (soprattutto dagli anni Trenta) si presentava con una facciata meno violenta, ma subdola, ricattatoria e corruttrice, che serviva soprattutto per il controllo degli intellettuali, per la ricerca del consenso e per una “fascistizzazione” della cultura. Una vera a propria corruzione delle coscienze che passava attraverso la costruzione/costrizione di una sorta di dialogo (redditizio in soldi o carriera) tra l’intellettuale ex oppositore (o per lo meno silente) e il regime.
Per questo controllo totalitario della memoria furono arruolati molti intelelttuali, storici, giornalisti, scrittori e molti giovani studenti ricattabili per trascorsi politici o altro. Arruolamento questo favorito anche dalla crisi degli anni Trenta. Spesso molti cedevano ai ricatti della polizia per motivi di lavoro. Difficile ad esempio per un giovane, negli anni Trenta, lavorare. Impossibile insegnare, fare carriera universitaria, senza la tessera del pnf. Spesso la tessera, negli anni Trenta, veniva ottenuta con la delazione e dopo aver prestato un periodo di servizio come informatore. Non è raro che in quegli anni molti studenti subissero perquisizioni finalizzate alla ricerca di motivi per inviarli al confino e poterli poi ricattare, al ritorno, costringendoli ad accettare il “compromesso”.
Come informatori erano preferiti i traditori. I traditori erano antifascisti diventati informatori della polizia. Per la polizia era molto più semplice utilizzare persone già inserite negli ambienti da controllare, che dotarsi di spie regolari che avrebbero dovuto infiltrarsi con grande spreco di tempo.
Il Viminale era il centro di tutta questa informativa.
Non è un caso che Mussolini abbia tenuto per se, per quasi per tutto il ventennio, il Ministero dell’Interno, dal 31 ottobre 1922 al 25 luglio 1943, con l’unica parentesi, dal 17 giugno 1924 al 6 novembre 1926, della delega a Federzoni imposta dalla crisi Matteotti.
Allo stesso fine verrà creato, nel 1937 il
Ministero della Cultura popolare, il famigerato Minculpop1.
Molte le Spie famose come Dino Segre (lo scrittore Pitigrilli) che opera a Torino, Carlo Del Re a Milano, Aldo Romano a Napoli e Firenze, Eros Vecchi del PCd’I che tradisce e fa arrestare Camilla Ravera (Silvia De Micheli) il 10 luglio 19302Vasco Pratolini, Aldo Capasso ecc.
La corruzione non si fermava però all’arruolamento come confidenti o fiduciari. Spesso intellettuali prestigiosi venivano “arruolati” indirettamente, semplicemente finanziandoli (sempre con soldi provenienti dalla direzione generale di pubblica sicurezza), in seguito a una diretta richiesta3.
Nel 2010 Giovanni Sedita scrive un saggio
Gli intellettuali di Mussolini. La cultura finanziata dal fascismo, dove spiega il meccanismo con cui alcuni intellettuali (e quasi tutto la stampa) dal 1932 alla fine del fascismo furono finanziati dal regime e le modalità per accedere a tali finanziamenti. Una vera e propria macchina di controllo della cultura. Non si trattava delle normalissime sovvenzioni statali, ma piuttosto di un’arma di ricatto. I soldi venivano da un fondo segreto fuori dal bilancio, in cui venivano versati, in maniera del tutto invisibile. Soldi provenienti dalla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza. Soldi che non peseranno neppure sul bilancio ordinario del Minculpop. Il tutto era regolato da una triade formata dal duce stesso, dal capo della polizia e dal Ministro della Cultura popolare. I soldi venivano concessi, non per meriti riconosciuti (anche se questi intellettuali erano già famosi), come accade (o dovrebbe accadere) in ogni epoca e in ogni paese, ma solo dopo una richiesta volontaria ed esplicita da parte dell’interessato, spesso formulata come una vera e propria questua dai toni imploranti, e dopo, il beneficiato, doveva lasciare una ricevuta con tanto di ringraziamento, il tutto veniva poi archiviato in un fascicolo personale. Un vero e proprio “meccanismo totalitario” con cui il fascismo gestirà (e ricatterà) per anni parte della cultura italiana, ottenendo il consenso di molti intellettuali, anche se sarebbe più giusto parlare, per molti, di silenzio, piuttosto che di rumoroso consenso.
Mussolini, a differenza di altre dittature dell’epoca, non imponeva una precisa estetica. Il relativismo estetico era tutto sommato proprio funzionale al totalitarismo politico fascista. Lo scopo principale non era di avere un’arte fascista (cosa che a Mussolini ha interessato solo marginalmente e che ha coinvolto forse solo i più mediocri), ma era quello di tenere legata a sé, tramite una fitta rete di rapporti clientelari, parte della cultura, attenuando (meglio sarebbe dire eliminando) così ogni forma di manifesto dissenso culturale ed evitando che, quelli che oggi chiamiamo “cervelli”, se ne andassero fuori dall’Italia. A Mussolini intellettuali del calibro di Pirandello, Ungaretti, Mascagni, Brancati, Quasimodo, Aleramo, dovevano servire al prestigio del fascismo a livello nazionale, e soprattutto internazionale, e quindi tutta la cultura importante avrebbe dovuto esistere solo “dentro” lo stato, e per questo pagava segretamente i più famosi.
Quando si parla di finanziamenti non si tratta naturalmente di soldi pubblici dati ufficialmente e in maniera trasparente, ma di soldi provenienti dagli stessi fondi segreti con cui venivano pagati gli informatori politici.
Aldo Romano verrà usato anche in questo ruolo di tacito consenso, gli sarà facilitata la carriera e sarà spesso mandato all’estero a rappresentare gli studi storici sul Risorgimento. Anche se lui sarà anche fra quelli che talvolta piegheranno la storia  in chiave fascista. Lo storico (e in particolare, per molto tempo, lo storico del Risorgimento) era infatti, allora (ma lo sarà anche nel dopoguerra) un intellettuale di tipo molto particolare, un vero e proprio agente egemonico.
Spesso gli informatori locali, quelli che dovevano riferire unicamente sugli ambienti abitualmente frequentati, venivano usati anche per operazioni estere e per questo venivano spesso scelti preventivamente fiduciari che, per professione, potessero viaggiare senza destare sospetti in chi dovevano controllare.
Aldo Romano naturalmente non fu solo uno storico compiacente, fu anche un vero e proprio informatore della polizia politica prima e, probabilmente, dell’Ovra quando verrà istituita. Anche se lui negò sempre una sua collaborazione diretta all’Ovra e nel suo ricorso di difesa presentato alla Commissione per la formazione delle liste dei confidenti dell’Ovra, ci saranno anche le testimonianze di Vittorio Agnesina capo dell’ufficio politico di Napoli e di Giuseppe De Martino questore di Napoli , a sostenere che non aveva mai fatto parte dell’Ovra. La Commissione, che stilò la lista pubblicata sulla Gazzatta Ufficiale nel 1946, in realtà valutava solo i casi dei fiduciari della Divisione di polizia politica e non dell’Ovra come recita l’intestazione (che sono rimasti per lo più avvolti nelle tenebre), facendo spesso confusione fra i due organismi che erano fra loro autonomi anche se spesso usufruivano degli stessi spioni.
Per Aldo Romano tutto inizia dal suo primo arresto (di cui ho parlato in Romano 1) e dal suo successivo intento di far dimenticare il passato. Forse la sua opera di delazione (con la questura di Napoli) inizia già da dopo l’arresto quando denuncia alcuni studenti ed è forse quanto confessa a Giorgio Amendola quando lo ricontatta nel 1937. “Ho ceduto alle pressioni e ai ricatti di Agnesina ed ho redatto per lui dei rapporti informativi (tre soltanto!) sugli orientamenti politici degli studenti antifascisti dell’Università di Napoli4. Tacendo però e mentendo sulle moltissime gravi sue informative come quelle, piene di livore, su Nello Rosselli e Leone Ginzburg, sul continuo spionaggio in casa di Benedetto Croce con l’elenco di chi frequentava la casa, sulla relazione vigliacca e interessata su Nuova rivista storica di Corrado Barbagallo, da lui definita covo funesto di antifascisti, e chiedendone l’immediata chiusura. Tace anche sulle informative che fecero individuare Aldo Bertini e Antonio Cova5, inizialmente scampati all’arresto nella retata contro GL. Naturalmente tace anche sull’informativa contro Ferdinando Amendola nipote di Giorgio.
Prima però di continuare a cercare di ricostruire un po’ la biografia di Romano voglio dire due parole su cosa volesse dire fare l’informatore/spione.
Gli informatori dipendevano direttamente dalla Divisione di Polizia Politica (POLPOL) che si forma tra il 1926 1927. Va però detto che nel 1924 era già nata una struttura parallela chiamata popolarmente la “Ceka del Viminale” direttamente al servizio di Mussolini, una specie di braccio armato del Viminale. La ceka sarà sempre segreta6. La ceka costituisce “l’archetipo delle «strutture parallele» che per un sessantennio opereranno sottotraccia nella società italiana, condizionando occultamente le scelte di fondo della politica interna finanche le strategie internazionali”. Strutture che purtroppo continueranno anche nel dopoguerra. Franzinelli nella nota 20 a p. 9 ne vede un calco nella struttura “democratica” Gladio7.
Spesso la Ceka del Viminale viene identificata con l’Ovra, ma in realtà quest’ultima nascerà in seguito e sarà piuttosto un mega collante, una rete di collegamento, di tutte le strutture spionistiche della polizia. L’enorme rete che avvolgerà tutto il paese (e gli esuli all’estero) in una fitta ragnatela di controllo e, nello stesso tempo, sarà il braccio operativo e armato della Divisione di polizia politica (che funzionava da intelligence, da cervello). Una piovra continuamente incombente.
L’ovra ha un periodo di incubazione dal 1927 al 1930. Tra il 1927 e 1941 vengono attivate 11 zone Ovra, con l’esclusione per qualche tempo di Napoli che resterà fino al 1938 (quando nascerà la zona Ovra del Mzzogiorno) solo sotto il controllo della Questura8 .
L’Ovra in un primo tempo userà gli stessi informatori della POLPOL e anche delle varie questure, e solo in seguito si doterà di una propria rete di fiduciari totalmente avvolti nell’anonimato (neppure Bocchini spesso ne conosceva l’identità e per questo non è stato possibile identificarli), questo per ovviare alla mancanza di sensibilità alla segretezza riscontrata nelle questure locali. Spesso agli informatori Ovra veniva richiesto il celibato per essere totalmente liberi, molti si sposeranno solo alla fine del fascismo.
Quest’incertezza di confini tra Ovra e Divisione di polizia politica, spiega come molti dei confidenti scoperti, dall’elenco pubblicato nel 1946, abbiano poi tentato di difendersi negando di aver mai fatto parte dell’Ovra, ma di essere solo stati informatori della Divisione di polizia politica. In realtà le due cose spesso coincidevano e si sovrapponevano e gli stessi informatori venivano appunto usati indifferentemente da una struttura e dall’altra (anche se i primi saranno regolarmente documentati in fascicoli archiaviti e i secondi no) e tutte le informative finivano indifferentemente sul tavolo di Arturo Bocchini. Ovra e Divisione polizia politica si configuravano quali organismi distinti, articolati autonomamente ma nello stesso tempo erano interconnessi, sia per il reclutamento del personale sia per l’utilizzo dei confidenti9.
Quanto alla gestione degli informatori avvenne con una certa frequenza anche il passaggio di confidenti della Divisione polizia politica agli ispettori e viceversa. Questo per dire che i migliori informatori delle questure e della Pol Pol divennero in seguito anche informatori dell’Ovra. Anche se, ripeto, non sempre è stato possibile documentarlo.
Si diventava informatori, confidenti, fiduciari, per molti motivi: per scelta volontaria, molti facevano espressa domanda, quella che Canali chiama la via burocratica delle spie10. Per abiura dei propri trascorsi politici. Per avere facilitazioni di carriera e ottenere la tessera. Per venalità, per debiti di gioco o altro. Spesso avveniva in seguito ad un momento di debolezza, dovuto alla coercizione e ai ricatti della polizia. In molti casi è proprio l’impatto traumatico del carcere che determina il ribaltamento di posizioni nel desiderio di recuperare, tramite lo spionaggio, la benevolenza del regime e una vita regolare con la cancellazione dal casellario politico. L’individuo una volta schedato nel cpc, non veniva più perso di vista e la sua vita diventava drasticamente limitata e difficile.
Non tutti gli informatori sono stati identificati. Ad esempio i subfiduciari spesso non venivano archiviati e dipendevano solo dal fiduciario diretto. Spesso anche i subfiduciari tendevano a costruirsi una rete propria di subsubfiduciari11 tutto dipendeva dai fondi a disposizione. Lo stesso numero d’identificazione poteva allora celare tutta una rete che operava come un unico organismo fiduciario, o una coppia di amanti o di congiunti, soci, un sodalizio di amici ecc.12.
Per le donne c’erano criteri di selezione molto più rigidi e … molto maschilisti. Nel 1935 una tedesca, Ingeborg Wichmann si offre come spia ma viene rifiutata perché “manca anche di utili requisiti di avvenenza”, così scrive il funzionario che l’ha esaminata13.
Vi furono fiduciari che lavorarono per un lungo periodo di tempo ma che risultano ufficialmente con una attività molto ridotta.
Poi va anche tenuto conto che la lista pubblicata nel 1946 è incompleta e difettosa visto che
Guido Leto nel 1939-40 ha distrutto molti fascicoli perché non cadessero in mano ad eventuali commissioni, e altri sono rimasti segreti nelle cantine del Viminale.
Molti nomi poi furono epurati prima che la lista venisse pubblicata. Inoltre le liste da pubblicare sulla Gazzetta ufficiale, erano inizialmente 3, ma ne fu pubblicata solo una.
I confidenti venivano delegati e pagati con fondi governativi segreti, avevano al loro servizio vari subconfidenti e spesso effettuavano anche missioni all’estero. Aldo Romano faceva parte di questa rete e “ufficialmente” opera per la POLPOL, secondo Canali dal 3 giugno 1933 al 15 novembre 193414, (la lista della Commissione pubblicata indica solo il 1934 ) con lo pseudonimo di Cesare e il numero 543 e stipendiato con 500 lire mensili,  invia numerose informative.
Non è da escludere che abbia continuato la sua attività anche dopo il 1934 (e prima del 1933) con altro nome e forse meglio pagato, molti sono gli indizi che lo farebbero pensare. Ad esempio alla fine del 1934, quando Romano si trasferisce a Roma, il questore di Napoli scriveva a Michelangelo Di Stefano esprimendo la sua convinzione che Romano fosse passato alle sue dipendenze. Di Stefano già nel maggio 1934 aveva espresso un giudizio molto  positivo nei confronti di Aldo Romano ”Cesare effettivamente lavora bene e merita di essere trattato bene15.
I fiduciari firmavano le loro informative con uno pseudonimo:
Gli pseudonimi metodo efficace di tutela dell’identità dei doppiogiochisti, riecheggiano reminiscenze liceali dei dirigenti e dei funzionari che tennero a battesimo le spie: Bocchini e qualche suo immediato collaboratore. Nomi degli eroi omerici furono appioppati a personaggi operanti tra i fuoriusciti in funzione di cavallo di Troia fascista. […] dalla cultura classica si attinsero gli appellativi illustri” fra questi Romano con l’appellativo di Cesare. Poi venivano usati nomi di artisti, le professioni e anche gli anagrammi e i diminuitivi del nome”16.
Come pseudonimi furono usati nomi degli eroi omerici (soprattutto per i foriusciti usati come cavalli di troia) Ulisse, Achille, Ettore Paride Enea Apollo, Cerere Diana, Giove, Marte, Mercurio, Minerva, Saturno, ma anche Ercole, Argo, Icaro e anche i Dioscuri Castore e Polluce per due che a Parigi spiavano Carlo Rosselli. E poi Aristotele, Catullo, Erodoto, Platone, Annibale, Leonida. Poi c’erano i grandi condottieri Dario, Alessandro, Aurelio, Adrian,o Napoleone, e Cesare (per Romano). Alcuni erano chiamati con il luogo di origine Messina, Marocco, San Marino, Non mancavano pittori come Raffaello e o riferimenti letterari come Leopardi e Manzoni Orlando. Alcuni usavano come pseudonimo deformazioni e abbreviazione del proprio nome come Aldi, o addirittura anagrammi e variazioni varie17.
Nel 1946 viene pubblicata, in versione incompleta, la prima lista. Il tabulato, pur con limitazioni, viene pubblicato il 2 luglio 1946 sulla Gazzetta ufficiale n. 145 redatto dalla Commissione per l’individuazione dei confidenti dell’Ovra.
Tra l’aprile e il maggio ’46 un terzo dei nominativi era stato però cancellato nella massima discrezione. Il documento pubblicato è riportato da Mimmo Franzinelli, in ordine alfabetico e da Mauro Canali nella versione originaria18.
Le altre due liste non vennero mai pubblicate perché nel frattempo c’era stata la moratoria e poco dopo l’amnistia. L’amnistia fu un provvedimento di condono delle pene proposta dall’allora Ministro di grazia e giustizia Palmiro Togliatti, approvato dal Governo italiano, promulgato con decreto presidenziale 22 giugno 1946, n.4. Quindi sulla Gazzetta appare solo il primo elenco e gli altri due non usciranno mai. Per le spie non c’era il carcere, ma c’era l’epurazione che poi rientrerà con l’amnistia.
Gli appartenenti alla lista dei confidenti disponevano di sessanta giorni per l’impugnazione del provvedimento, l’accoglimento del ricorso comportava la cancellazione dall’elenco. Quello di Romano verrà respinto.
Gli informatori del regime in gran parte erano diventati tali “professionisti”, accumulando grandi competenze, esperienze e soprattutto una mole enorme di informazioni, da permettere loro di continuare ad offrire i loro servigi anche in seguito e pure all’estero, sia in dittature che in democrazie. In italia molti si iscriveranno nei vari partiti cambiando con incredibile facilità casacca. Aldo Romano come se nulla fosse cambiato, fornirà nel 1944 a Palmiro Togliatti le stesse informative raccolte su Benedetto Croce, ma stavolta marcandole come anticomuniste. Togliatti scriverà un violento attacco contro Croce su Rinascita e Croce appunterà nei suoi
Taccuini di guerra: «Alda, tornata da Napoli, mi ha portato da parte di Nicolini l’informazione precisa e sicura che colui che scrisse o suggerì al Togliatti le calunnie contro di me per il mio immaginario atteggiamento contro i comunisti durante il periodo del fascismo, è stato il giovinastro Aldo Romano»19.
NOTE
1) In precedenza c’era l’Ufficio Stampa del Capo del Governo, istituito nel 1922 con il compito di diffondere i comunicati ufficiali. Nel settembre del 1934 questo Ufficio stampa viene trasformato in Sottosegretariato di Stato per la Stampa e la Propaganda, e poi ampliato nel 1935 in Ministero per la Stampa e la Propaganda. Nel maggio 1937, il Ministero per la Stampa e la Propaganda prende il nome di Ministero della Cultura popolare (popolarmente noto come Minculpop).
2) Anche se in realtà sembra che Eros Vecchi sia diventato informatore
solo dopo l’arresto e che non sia stato lui la causa dell’arresto di Ravera.
3) Giovanni Sedita,
Gli intellettuali di Mussolini. La cultura finanziata dal fascismo, Le lettere, 2010, p. 19)
4) in Giorgio Amendola, Un’isola, Rizzoli, 1980, p. 203. .: “Un altro incontro che feci nella stessa piazza [piazza san Silvestro], e che voglio registrare è quello con Aldo Romano, che avevo conosciuto giovane studente antifascista a Napoli. Sapevo della sua capitolazione, della protezione accordatagli dal ministro dell’educazione nazionale De Vecchi, dei suoi studi sulle origini del movimento operaio italiano. Ma sapevo anche che si era parlato di una sua collaborazione attiva con l’OVRA, come informatore politico. Si accorse subito che io ero al corrente di queste voci. La sua iniziale festosità si afflosciò immediatamente, e il suo volto si sbiancò. Prima che potessi accusarlo, chiedergli informazioni, esclamò: “Hai ragione, sono un disgraziato, hai tutto il diritto di disprezzarmi. Ho ceduto alle pressioni e ai ricatti di Agnesina ed ho redatto per lui dei rapporti informativi (tre soltanto!) sugli orientamenti politici degli studenti antifascisti dell’Università di Napoli. Ma ti assicuro che nessuno ha dovuto soffrire per colpa mia. Ho scritto anche di Antonio, ma non dicendo nulla di nuovo che la polizia già non sapesse. Poi, dopo aver ricevuto per intervento di De Vecchi un incarico presso l’Istituto di storia del Risorgimento italiano, ho rotto ogni rapporto con la questura di Napoli. Sono contento di averti incontrato, perché mi hai permesso di liberarmi di questo vergognoso peso”. Gli dissi che era ancora giovane e che poteva redimersi. Ma doveva troncare o non ricercare rapporti con elementi antifascisti, per evitare ogni legittimo sospetto. Doveva invece concentrarsi nei suoi studi e cercare di fare qualcosa di veramente utile nell’ancora inesplorato campo delle origini del movimento operaio italiano, circa i rapporti tra gli anarchici, i repubblicani ed i primi socialisti. Mi promise di seguire questi consigli e mi ringraziò di non averlo respinto come un cane rognoso”. E’ il 1937 e non il 43-44 come scrive Mimmo Franzinelli, I tentacoli dell’Ovra, Bollati Boringhieri, 1999, p.451
5) Nel marzo 1934 viene arrestato il gruppo giellista torinese di Leone Ginzburg, e Romano “grazie ad informazioni reperite negli ambienti napoletani e riguardanti i contatti antifascisti di Ferdinando Amendola (cugino di Giorgio)”  fece individuare due giellisti inizialmente “scampati all’arresto, Aldo Bertini e Antonio Coda. La delazione di Romano comportò un grave inasprimento del controllo  per i due fino all’arresto di Coda avvenuto nel ’35” da Giovanni Sedita, La spia degli storici. Aldo Romano e “Nuova rivista storica“, Nuova Rivista storica anno XCIII, settembre dicembre 2009, facicolo III, p. 720. che cita  Mauro Canali, Le spie del regime, Il mulino, 2004, pp. 154-155
6) Solo negli anni Ottanta, quando tutti i protagonisti del delitto Matteotti saranno morti, verrà fuori il memoriale segreto affidato da Dumini nel 1933 a uno studio Legale del Texas. Il documento colloca la costituzione della Ceka al febbraio del 1924 durante un incontro tra Dumini e lo stato maggiore fascista. La relazione è stata pubblicata sul Ponte, XLII n. 2, marzo aprile 1986. Cfr. Mimmo Franzinelli, cit. p. 14 n. 2.
7) Ivi,  p. 9
8) Ivi, p. 250
9) Ivi, p. 234
10) Mauro Canali, cit. p.152)
11) Ivi, p. 147
12) Ivi, p. 143.
13) Ivi, p. 152
14) Ivi, p. 576, Appendice 1.
15) Si legga Canali cit. p 154: Il passaggio al servizio esclusivo della POLPOL avvenne con il suo definitivo trasferimento a Roma, in quella occasione alla fine del 34, il questore di Napoli scriveva a Di Stefano che aveva “disimpegnato” Romano “perché si è trasferito a Roma definitivamente” e che aveva avuto l’impressione “che fosse passato al tuo diretto servizio” perché alcune informazioni “furono già fornite qui identicamente da lui e poi trasmesse al Ministero”.
16 Mimmo Franzinelli, cit. pp. 442-443.
17) Ivi, pp. 442-443.
18) Mimmo Franzinelli, cit. pp. 643-686, e a p. 677 c’è Aldo Romano. Mauro Canali, cit. pp.559-585 e a p. 576 c’è Aldo Romano.
19) Eugenio Di Rienzo, Un dopoguerra storiografico…Due, tre cose che so di lui, «Nuova Storia Contemporanea», 2005, 4 leggibile in
Giornale di filosofia Filosofia Italiana.

DA  https://georgiamada.wordpress.com/2015/05/23/aldo-romano-3/

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