06 maggio 2015

ORSON WELLES: UN UOMO LIBERO

Emanuela Martini


Orson Welles (1915-1985)

Un cane sciolto a Hollywood

Cent’anni fa, il 6 maggio, del 1915, a Kenosha nel Wisconsin, nacque un genio (morto trent’anni fa, il 10 ottobre del 1985 a Hollywood): Orson Welles, il più inventivo, debordante, incontrollabile, insofferente dei registi moderni, imponente interprete shakespeariano prestato al cinema nei panni di giganteschi tiranni («Nel teatro classico» ha detto «c’erano due tipi di attori: quelli che interpretano i re e quelli che no. Io sono uno di quelli che interpretano i re»), un “vecchio zingaro sbrindellato” (come si è definito) in eterno pellegrinaggio attraverso l’America e l’Europa per trovare i soldi necessari per i suoi film. Pochi: appena 14 in quarant’anni di carriera, alcuni dei quali storpiati e rimontati, e molti incompiuti, abbozzati, girati solo in parte.

E dire che a Hollywood era arrivato, nel 1939, dalla porta principale, ventiquattrenne enfant prodige cui la Rko, in un contratto per tre film, aveva concesso libertà assoluta come regista, produttore e sceneggiatore. Come ha detto Welles, nel 1973 in F come falso (il suo penultimo film, sornione, lucido, sui falsari e sull’arte): «Avrei potuto finire in galera... invece sono finito a Hollywood», siglando così il clamoroso exploit radiofonico che nel 1938 lo aveva reso celebre.

La storia è nota. Welles, che da metà degli anni Trenta era una presenza importante del vivacissimo teatro newyorkese, aveva fondato con John Houseman il Mercury Theatre che, nell’estate del 1938, era andato “on air” sulla Cbs. Adattavano per la radio classici popolari, come Dracula, L’isola del tesoro, Oliver Twist, e la sera di Halloween di quell’anno mandarono in onda La guerra dei mondi di H. G. Wells, rielaborata come radiocronaca di un’invasione marziana in atto. La trasmissione era preceduta dalla sigla del Mercury, ma molti degli ascoltatori si sintonizzarono dopo l’inizio e credettero fosse tutto vero, nel Paese scoppiò il panico, i dirigenti della Cbs tentarono di bloccare Welles, che invece restò piantato davanti al microfono fino alla conclusione. Il ritorno pubblicitario fu immenso e Welles finì a Hollywood.

Nel 1941, uscì «il film più bello della storia del cinema» (classifica di «Sight and Sound»), quello che ha scatenato più vocazioni alla regia (secondo Truffaut) e che segna l’anno uno del cinema moderno: Quarto potere, indagine labirintica sul magnate Charles Foster Kane, dove Welles “inventa” la profondità di campo (insieme al direttore della fotografia Gregg Toland), il piano sequenza, un uso creativo del flashback, e accentua a dismisura gli strati di ambiguità analitica e psicologica della narrazione. Tutto il cinema successivo gli deve qualcosa.

Presto, però, la sua fortuna hollywoodiana tramonta: Welles s’invischia in un film in Brasile (It’s All True) e perde il controllo finale di L’orgoglio degli Amberson (che pure è magnifico), mentre Terrore sul Mar Nero non ha nemmeno la sua firma. E così comincia il suo rapporto controverso con Hollywood, il suo successo come attore, il suo incessante girovagare.

Nel 1946 gira un noir inquietante e imitatissimo (la sequenza nell’acquario, il labirinto di specchi), La signora di Shanghai, con la moglie Rita Hayworth, e nel 1947 uno stringato Macbeth a bassissimo budget, tassello della produzione shakespeariana che comprende il sontuoso Otello barbaro girato in Italia e in Marocco, e il magnifico Falstaff spagnolo del 1965, la storia di un vecchio dal cuore tenero e dalla vitalità vorace, tradito e umiliato dagli amici.

Nel 1958, in una sortita hollywoodiana, gira un poliziesco che, ancora una volta, inaugura gli incubi contemporanei: L’infernale Quinlan, viaggio nel potere attraverso gli occhi di una specie di Falstaff inacidito e incattivito. Con Psyco di Hitchcock, il film chiave del cinema americano della seconda metà del Novecento.

Per il resto, sprazzi, desideri, progetti troncati (come il Don Chisciotte), ironia, “marchio di fabbrica”: «My name is Orson Welles», nella pubblicità di porto o champagne, con la sua figura diventata enorme intabarrata di nero, il sigaro tra le dita e l’intelligenza e il sense of humor che sprizzano dagli occhi. Mai pacificato, mai rassegnato, nel 1975, quando l’American Film Institute gli conferì un premio alla carriera, si definì «un cane sciolto», che «va sempre per la sua strada, ma non pensa che sia l’unica strada e non pretende nemmeno che sia la migliore, tranne forse che per se stesso». Un cane sciolto che ha cambiato la faccia del cinema e che ci ha insegnato a guardare l’ambigua rete di verità che traspare dallo schermo.


Il Sole 24 ore – 26 aprile 2015


 ***

Welles torna ai ritmi di un tempo
di Thomas F. Brady

Orson Welles ha ripreso la sua carriera di regista-sceneggiatore-produttore, che era stata interrotta quattro anni fa dalla titanica battaglia con la RKO sul mai terminato It’s All True – battaglia finita, più o meno, con il suo sfratto dagli studios della RKO nel luglio 1942. La sua attività cinematografica successiva si è limitata al ruolo di attore in tre film, finché quest’anno non ha stipulato con la Columbia un accordo di partecipazione agli incassi per realizzare un melodramma, La signora di Shanghai, con la moglie Rita Hayworth nel ruolo della protagonista.
La scorsa settimana, dopo trentacinque giorni sul set di Acapulco, in Messico, Welles ha cominciato a lavorare in studio al film con l’entusiasmo di un tempo. Alla fine della giornata era ancora piuttosto prodigo della sua vitalità, sebbene si lamentasse di avere bisogno di un medico perché la notte non riusciva a dormire. Il suo medico curante, ci ha detto, si era rifiutato di aiutarlo e lo aveva abbandonato alle notti in bianco.
Nel mezzo della sua arringa, Welles ha lanciato un’occhiata severa ai tecnici che stavano preparando l’ultima inquadratura della giornata, poi ha esclamato: «Vedo troppa lentezza da queste parti. Qualcuno vada a mettere sotto pressione quella gente». Quando un solerte scagnozzo ha urlato: «Ehi, muoviamoci», Welles ha replicato duramente: «Così non basta. Valli a strigliare come si deve».
Un attimo più tardi, dopo un rapido controllo della gru dov’era piazzata la macchina, Welles ha fatto una pausa per discettare del suo passato. Il passare del tempo, ha detto, ha dissolto tutti i rancori che correvano tra lui e la RKO. La stampa di Hearst, comunque, ancora evita di menzionare il suo nome perché il suo primo film, Quarto potere, presentava in maniera poco rispettosa l’editore di una catena di giornali. Ha aggiunto che la maggior corsivista di Hearst a Hollywood non gli rivolge mai la parola prima di aver bevuto due cocktail, anche se, a dispetto dei suoi ripetuti affronti, lui l’ha sempre trattata con una cortesia da gentleman britannico.
Welles ha anche detto che vorrebbe comprare dalla RKO il girato di It’s All True e ultimare il film per dimostrare che aveva ragione lui. Il film è tuttora fermo in un caveau di Salt Lake City per via delle tasse californiane, ma, ha proseguito, lui non è mai riuscito a mettere da parte abbastanza soldi per gestire il progetto in prima persona, e non è riuscito a trovare un finanziatore che rischiasse il proprio capitale nell’impresa.
Si è poi interrotto per ordinare a una giuria di dodici comparse che dovevano prendere parte alla scena, di fronte alla macchina da presa, di guardare la signora Hayworth, che era sul banco dei testimoni, «con interesse lascivo».
Quindi ha ripreso la disamina della propria carriera sostenendo che avrebbe intenzione di smettere di recitare non appena sarà riuscito a persuadere l’industria cinematografica a investire unicamente sul suo talento registico.
«Per ora ho un pubblico ristretto», ha detto, «il cui interesse nei miei confronti, tradotto in incassi, è tale da rendere la mia partecipazione sullo schermo un’aggiunta necessaria alla mia scrittura e alla mia regia. Ma a nessun critico è mai piaciuto il mio modo di recitare. Ho una personalità sfortunata. Posso mostrarle, fotogramma per fotogramma, che muovo le sopracciglia molto meno di Ray Milland in Giorni perduti. Se mi fossi
permesso un decimo delle sue espressioni in quella magnifica performance, sarei stato zittito a fischi e grida in sala. Basta che io entri nell’inquadratura e i critici si convincono che sto facendo il gigione. Sono un attore della vecchia scuola. È l’unica spiegazione che mi so dare».
A lui comunque non piace recitare, ha aggiunto, perché quando lavora davanti alla macchina da presa deve farsi la barba tutti i giorni.
Welles è tornato di nuovo sul set dell’aula giudiziaria e, apparentemente soddisfatto della lascivia sui volti delle comparse, ha dato ordine di fotografarli. Subito dopo, un addetto della produzione ha reso noto che una carrozza a cavalli, che era stata spedita dal Messico, era stata fermata al confine dai doganieri. Il mancato arrivo della carrozza ha richiesto una rapida riorganizzazione nell’ordine delle riprese previste per il giorno successivo. Così Welles, seguito da ventitré assistenti e tecnici in fila, ha circumnavigato il teatro di posa in cui stava lavorando e ha stabilito le angolazioni di ripresa per il giorno dopo.
«Domani mattina, alle 11.35 circa, ci spostiamo in questo angolo », ha proclamato in tono imperativo, ma nessuno dei tecnici sembrava prestargli attenzione. Quando la fila si è ridotta a tre individui, Welles si è voltato e ha risposto con garbo all’interprete di una piccola parte che lo ringraziava di averlo ingaggiato per il film. Rispondendo alla domanda di un giornalista, Welles ha detto che la Columbia lo aveva trattato con la più grande generosità che avesse riscontrato fino ad allora in materia di autonomia fiscale e artistica.
Alla fine ha annunciato con lo stesso entusiasmo che doveva scappare per concedersi qualche ora di sonno. A un assistente che evidentemente gli aveva trovato un dottore, ha urlato: «Di’ al dottore che ci vediamo in macchina; mi può visitare mentre torno a casa. Domattina fatemi svegliare alle sei e mezzo; devo andare un po’ ai bagni turchi». Così si è avvolto nel soprabito come se fosse stato una mantella nera, e si è dileguato nelle nebbie della notte di Hollywood.
Presumibilmente il medico, il sonno e il bagno turco gli avranno fatto bene. Secondo un resoconto dallo studio del giorno successivo, pare che Welles abbia diretto la prima scena mentre un barbiere lo radeva e gli tagliava i capelli: una prodezza che neanche Cecil B. DeMille è mai riuscito a eguagliare.

(Dal New York Times, 8 dicembre 1946)
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Testo ripreso da  http://www.minimaetmoralia.it/

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