Guy Carawan è morto il 2 maggio scorso nella sua casa
di New Market, Tennessee, e la sua perdita è dolorosa. Un altro
pezzo della nostra giovinezza che sparisce.
Alessandro Portelli
We Shall Overcome inno
per il mondo intero
Era la metà degli anni
’80, e avevo invitato all’università Guy Carawan,
sua moglie Candie Anderson e un gruppo di artisti
e musicisti dello Highlander Center del
Tennessee a tenere un seminario.
Poi, con l’idea di
fargli vedere l’Italia migliore, li portai tutti
a Piadena, a incontrare la Lega di cultura
e a casa del «Micio» Gianfranco Azzali.
Guy Carawan è morto
il 2 maggio scorso nella sua casa di New Market,
Tennessee, e la sua perdita è dolorosa
non meno di quella di Pete Seeger un anno fa.
Alla fine degli anni ’50,
era stato lui a spiegare ai giovani militanti del
movimento dei diritti civili, che quelle che loro
disprezzavano come slave songs, canzoni di
schiavi dei loro nonni, erano in realtà freedom songs,
canzoni di libertà e di lotta che diventarono
una delle armi di mobilitazione e di espressione
del movimento dei diritti civili.
Al centro di
Highlander dove lavorava (fondato negli anni ’30 per
formare i quadri sindacali nel Sud,
diventato un centro di formazione per il
movimento dei diritti civili negli anni ’50), si erano
formati alcuni dei protagonisti di quella
lotta, a partire da Rosa Parks, che era stata a Highlander
prima di compiere il suo famoso gesto di protesta
sull’autobus segregato a Birmingham.
Dagli archivi di
Highlander, Guy Carawan recuperò una canzone che
Zilphia Horton, la moglie del fondatore, aveva
registrato molti anni prima durante uno sciopero di
braccianti neri in North Carolina. Era uno spiritual
d’inizio secolo che diceva «I’ll Overcome Someday».
Cambiata la prima
persona singolare nel plurale, la canzone
che Guy Carawan insegnò ai militanti del movimento,
diventò «We Shall Overcome».
A Piadena Guy
e Candie regalarono un concerto, che si
tenne nelle cantine del municipio. Quattro
panche, pareti nude, ma una splendida acustica. Quando
lui e Candie attaccarono We Shall Overcome,
il pubblico – quasi tutti operai e braccianti –
si alzò in piedi come se avessero suonato l’inno
nazionale.
È stato uno dei momenti
più commoventi che io ricordi. Devono esistere delle
splendide foto di quel concerto, fatte dal nostro Carlo
Leydi. La sera dopo, Guy e gli altri fecero un concerto
alla sezione comunista di Calvatone. Emozionato
come un bambino, Guy si comprò un paio di calze rosse con
la falce e martello che non si tolse più fino alla
partenza.
Fu Guy a darmi
i primi contatti per la ricerca sui minatori a Harlan
County, dove poi lo incontrai di nuovo in un concerto
contro il broad form deed, la norma che permetteva
alle compagnie minerarie di distruggere la
superficie, case e cimiteri compresi, per
prendere il minerale che c’era sotto (una lotta che poi
ha avuto successo).
L’ho visto l’ultima
volta due anni fa, molto stanco, cominciava a perder
la memoria, ma si ricordava quei giorni di Piadena con
lucidità e affetto.
Da quando lui l’ha
insegnata, e Pete Seeger l’ha diffusa, la
canzone ha continuato a vivere. Basta cercare
su youtube per vederla cantata dai manifestanti
di Occupy Wall Street.
Il Manifesto – 12 maggio 2015
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