13 maggio 2015

PER GUY CAROVAN



 Guy Carawan è morto il 2 maggio scorso nella sua casa di New Market, Tennessee, e la sua perdita è dolorosa. Un altro pezzo della nostra giovinezza che sparisce. 
 
Alessandro Portelli
We Shall Overcome inno per il mondo intero
Era la metà degli anni ’80, e avevo invi­tato all’università Guy Cara­wan, sua moglie Can­die Ander­son e un gruppo di arti­sti e musi­ci­sti dello Highlan­der Cen­ter del Ten­nes­see a tenere un seminario.
Poi, con l’idea di far­gli vedere l’Italia migliore, li por­tai tutti a Pia­dena, a incon­trare la Lega di cul­tura e a casa del «Micio» Gian­franco Azzali.
Guy Cara­wan è morto il 2 mag­gio scorso nella sua casa di New Mar­ket, Ten­nes­see, e la sua per­dita è dolo­rosa non meno di quella di Pete See­ger un anno fa.
Alla fine degli anni ’50, era stato lui a spie­gare ai gio­vani mili­tanti del movi­mento dei diritti civili, che quelle che loro disprez­za­vano come slave songs, can­zoni di schiavi dei loro nonni, erano in realtà free­dom songs, can­zoni di libertà e di lotta che diven­ta­rono una delle armi di mobi­li­ta­zione e di espres­sione del movi­mento dei diritti civili.
Al cen­tro di Highlan­der dove lavo­rava (fon­dato negli anni ’30 per for­mare i qua­dri sin­da­cali nel Sud, diven­tato un cen­tro di for­ma­zione per il movi­mento dei diritti civili negli anni ’50), si erano for­mati alcuni dei pro­ta­go­ni­sti di quella lotta, a par­tire da Rosa Parks, che era stata a Highlan­der prima di com­piere il suo famoso gesto di pro­te­sta sull’autobus segre­gato a Birmingham.
Dagli archivi di Highlan­der, Guy Cara­wan recu­però una can­zone che Zil­phia Hor­ton, la moglie del fon­da­tore, aveva regi­strato molti anni prima durante uno scio­pero di brac­cianti neri in North Caro­lina. Era uno spi­ri­tual d’inizio secolo che diceva «I’ll Over­come Some­day».
Cam­biata la prima per­sona sin­go­lare nel plu­rale, la can­zone che Guy Cara­wan inse­gnò ai mili­tanti del movi­mento, diventò «We Shall Over­come».
A Pia­dena Guy e Can­die rega­la­rono un con­certo, che si tenne nelle can­tine del muni­ci­pio. Quat­tro pan­che, pareti nude, ma una splen­dida acu­stica. Quando lui e Can­die attac­ca­rono We Shall Over­come, il pub­blico – quasi tutti ope­rai e brac­cianti – si alzò in piedi come se aves­sero suo­nato l’inno nazionale.
È stato uno dei momenti più com­mo­venti che io ricordi. Devono esi­stere delle splen­dide foto di quel con­certo, fatte dal nostro Carlo Leydi. La sera dopo, Guy e gli altri fecero un con­certo alla sezione comu­ni­sta di Cal­va­tone. Emo­zio­nato come un bam­bino, Guy si com­prò un paio di calze rosse con la falce e mar­tello che non si tolse più fino alla partenza.
Fu Guy a darmi i primi con­tatti per la ricerca sui mina­tori a Har­lan County, dove poi lo incon­trai di nuovo in un con­certo con­tro il broad form deed, la norma che per­met­teva alle com­pa­gnie mine­ra­rie di distrug­gere la super­fi­cie, case e cimi­teri com­presi, per pren­dere il mine­rale che c’era sotto (una lotta che poi ha avuto successo).
L’ho visto l’ultima volta due anni fa, molto stanco, comin­ciava a per­der la memo­ria, ma si ricor­dava quei giorni di Pia­dena con luci­dità e affetto.
Da quando lui l’ha inse­gnata, e Pete See­ger l’ha dif­fusa, la can­zone ha con­ti­nuato a vivere. Basta cer­care su you­tube per vederla can­tata dai mani­fe­stanti di Occupy Wall Street.

Il Manifesto – 12 maggio 2015

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