“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.” Antonio Gramsci
27 maggio 2015
IL RACCONTO DEI RACCONTI DI M. GARRONE
Recensione di Giovanni Capizzi pubblicata da http://www.lankelot.eu/cinema/
Una sottile foschia sfuma il paesaggio caldo, dalle forti tinte brune, che man mano si disvela. Degli artisti si preparano su un carrozzone, le porte di un castello si aprono e alla presenza del re comincia un farsesco duetto. La corte non trattiene le risate ma l’allegra atmosfera è rotta dalla indifferente presenza della regina. Il suo sguardo vitreo, imbambolato, riesce a spegnere un volto di una bellezza altrimenti abbacinante (che ha le aggraziate fattezze di Salma Hayek). Non avere un figlio è un dolore che la strappa alla vita e per arginarlo è pronta a qualsiasi sacrificio, persino mangiare il cuore di un drago. È questa una delle tre fiabesche storie regali che vengono narrate ne “Il Racconto dei Racconti”, ultimo film di Matteo Garrone tratto dal libro di Giambattista Basile “Lo cunto de li cunti”. Allo struggente dramma della Regina sterile si intrecciano i destini di altri due sovrani. Il più giovane ha il volto spigoloso e sciupadonzelle di Vincent Cassell, che interpreta difatti un vorace edonista che colleziona le più belle creature del suo reame. L’altro re, incarnato dai goffi e disarmonici tratti di Toby Jones, ha invece una sola donna al suo fianco, una devota e romantica figlia, che è costretta a fare i conti con le bizzarie di un padre distratto e lievemente disturbato. I tre protagonisti alternano le loro vicende per poi incontrarsi nel bellissimo finale. La “regina” delle tre storie è, a mio avviso proprio quella che apre il film, ovvero la sofferta esistenza di questa sovrana triste che, grazie ai consigli di un inquietante stregone, darà alla luce il tanto desiderato erede.
La magia però ostacolerà alcuni dei nostri protagonisti, e la promessa di essere “felici e contenti” non verrà sempre mantenuta. Insieme alla regina difatti rimarrà incinta anche la giovane vergine che, per la buona riuscita del sortilegio, doveva servirle l’organo pulsante del drago. I due ragazzi, Elias (il principe) e Jonah, cresceranno e condivideranno non solo le fattezze (sono infatti due gocce d’acqua) ma anche un autentico amore fraterno. La sovrana li separerà, spinta dalla morbosa gelosia che nutre per il figlio, ma il giovane principe seguirà l’amico da lontano, grazie ad un albero fatato e grondante, dalle cui acque, sporcatesi di sangue, Elias intuirà le ambasce del fratello. La Regina perderà le staffe e, ricorrendo nuovamente alla magia, si trasformerà in un mostro alato pronto a scagliarsi sull’odiato Jonah. Questi però si salverà per l’intervento di Elias che ucciderà l’orribile creatura e, inconsapevolmente, anche la madre. Nella seconda storia, che ha per protagonista il re mondano, si inseriscono due attempate signore, Dora e Imma, che trascorrono il poco tempo ancora rimasto, fra un battibecco e un panno da stendere. La loro squallida esistenza riceve uno scossone quando, un canto particolarmente ispirato di Dora, risveglia i testosteronici impulsi del re, che all’udire la voce (e non il volto per fortuna), decide di buttarsi alla conquista della presunta giovane dama. La vecchina sarà tanto astuta, da parlare a porte chiuse al Re e, messa alle strette, deciderà di concedersi soltanto a luci spente. La curiosità del sovrano purtroppo lo porterà a scoprire le tende del talamo e con esse le impietose rughe sul viso, e non solo su quello, della sgradevole nonnina. In tutta risposta verrà gettata dalla finestra, ma il viluppo delle lenzuola che l’avvalgono si impiglierà in un albero.
Le sorprese per Dora saranno ben più piacevoli, difatti non solo avrà salva la vita, ma verrà tirata giù da una simpatica strega che, allattandola al seno, la farà ringiovanire. Dora nella sua nuova, e liscia, pelle riuscirà davvero a conquistare il sovrano, fin anche a sposarlo ma l’incanto si spezzerà e soltanto la fuga la salverà dalla vergogna. L’ultima storia inizia col grottesco affetto di un altro Re per la sua pulce domestica. La cura di quest’animale comincerà per caso, quando il re, durante l’esibizione musicale della figlia Felizia, si lascerà distrarre dai ripetuti punzecchi di una tenace pulce, per l’appunto. Questi deciderà di allevarla e di nutrirla, facendole assumere delle proporzioni davvero spaventose. La piccola bestiola non vivrà a lungo e la sua pelle servirà per una nobile causa: la scelta di un marito per Felizia. Chi indovinerà a quale bestia appartiene quell’insolito manto, avrà la sua mano. Questa povera ragazza, fiduciosa dell’arrivo di uomo che la porti via da quel folle di suo padre, finirà per essere offerta ad un orrendo cavernicolo. Solo un raccapricciante orco risponderà all’assurdo indovinello, e porterà la donna a vivere su una grotta sperduta fra le montagne. Felizia scapperà grazie all’aiuto di una famiglia di circensi ma l’orco li raggiungerà trucidandoli. L’incontro fra la bestia e la giovane si conclude in modo sorprendente. La vittima si ribellerà al mostro e lo sgozzerà.
Si potrà ritornare a casa, perdonare il padre senza senno, e prendere possesso di una meritata corona. Con una cerimonia sontuosa, alla presenza degli altri Re, Felizia seppellirà il suo passato e alzando gli occhi al cielo godrà di un tramonto vermiglio con un funambolo che attraversa vittorioso quel filo sottile a cui la sua, e tutte le altre vite son magicamente legate. Questo film di Garrone è fuori dal comune per diverse ragioni. Siamo abituati ad una fantasia da fast food, a rapido assorbimento. Non è necessario il minimo sforzo per calarsi in una realtà fantasmagorica perché sarà il tripudio di effetti speciali a farci credere l’impossibile. E l’immagine è talmente possente e prepotente e spettacolare che non possiamo far altro che seguire la storia che viene rappresentata. Ma dov’è lo stupore? Perché ciò che vediamo non ci sorprende? Dopotutto sono queste le sensazioni che un racconto fantasy dovrebbe suscitare. Il tema fiabesco dovrebbe disattendere ciò che ci aspettiamo, per proporci qualcosa di diverso, di straordinario, di non canonico. E Garrone lo fa. Certamente l’aver fatto ricorso ad un libro “Lo cunto de li cunti”, con storie poco conosciute al grande pubblico, lo ha aiutato. Siamo tutti cresciuti con un bel bagaglio di storielle fatate; abbiamo letto di sirene che diventano umane, persino di streghe che avvelenano mele, ma a vedere una pulce grande quanto un ippopotamo non siamo proprio abituati. Garrone riesce a coinvolgerci perché, eccezion fatta per la storia un po’ banale delle due vecchiette, nelle altri due racconti siamo davvero curiosi di vedere che fine facciano i nostri protagonisti, quale conclusione abbia deciso per loro il fato. Niente è scontato, non ci aspettiamo l’happy ending edificante e ci troviamo di fronte ad esiti inaspettati, talvolta drammatici e trasposti senza clamori da kolossal di genere. Ogni storia sembra dissolversi, liberarsi dall’attenzione dello spettatore, proprio come un sogno, della cui esistenza, al risveglio perdiamo le tracce. L’apparato tecnico artistico di questa pellicola è davvero encomiabile. Le ambientazioni da favola sono splendide. Le gole dell’Alcantara ci accolgono nelle sue morbide e fulgide radure, e le sue gelate acque verranno scelte per accogliere il mitico drago. I castelli non hanno nulla da invidiare ai fittizi e un po’ pacchiani grattacieli torreggianti presenti in tante pellicole hollywoodiane: il Belpaese ci regala infatti delle location che farebbero impallidire persino i maghi della tecnologia digitale. Il castello di Donnafugata con il suo leggendario labirinto, il Castel Del Monte e quello di Roccascalegna, sembrano fatti apposta per accogliere un set cinematografico. La cura estetica di Garrone non può essere obiettata; è certosina, attenta alle inquadrature che sembrano quasi dipinte. Alcuni momenti del film sono per l’appunto di una forza scenica sbalorditiva. Svariate sono le sequenze che hanno rapito la mia attenzione. La corsa della Regina nel labirinto, con le vesti sontuose e sanguigne che ondeggiano fra le calde mura, che sentiamo quasi scottare sotto un sole che abbaglia con violenza. La trasformazione della vecchia, che viene accolta nelle sue increspate nudità, dall’abbraccio di una strega e la sua rinascita nelle discinte e bianchissime curve di una splendida donna dai lunghi capelli. Ed infine il finale funambolico, col circense che, durante l’incoronazione, danza in equilibro sotto gli occhi degli astanti con un tramonto da cartolina ad incorniciare il tutto.
Sono questi gli effetti “speciali” che Garrone riserva al pubblico, la malia di scene realizzate con la maestria di un sapiente pittore. L’uso dei colori, delle luci, dei costumi e degli attori è davvero perfetto. Meravigliosa Salma Hayek, con una recitazione incisiva e densa di mille sfumature. Gli altri attori sono pure in parte, nonostante delle vesti da cialtrone di Cassel ne abbiamo già fin sopra i capelli. Pochi dialoghi riserva Garrone ai suoi attori, quasi a non voler sovrastare l’eloquenza che le immagini hanno già in sé. Un lavoro davvero eccezionale per un film maestoso ed epico.
Regia: Garrone Matteo Sceneggiatura: Garrone Matteo, Albinati Edoardo, Chiti Ugo, Gaudioso Massimo Tratto da un romanzo di: Basile Giambattista Direttore della fotografia: Suschitzky Peter Montaggio: Spoletini Marco Interpreti principali: Musica originale: Desplat Alexandre Scenografia: Capuani Dimitri, Anfuso Alessia Costumi: Parrini Cantini Massimo Produzione: Rai Cinema, Archimede, Le Pacte, Recorded Picture Company Origine: Italia, Francia, Regno Unito Durata: 125 min.
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Giovanni Capizzi, maggio 2015
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