Ho visto qualche sera fa un film gradevole e persino poetico in alcune scene che racconta senza patetismi e sbavature l'incontro di
sei personaggi diversissimi fra loro ma accomunati da una identica
solitudine. Ripropongo di seguito la recensione che ne ha fatto un noto critico cinematografico.
Goffredo Fofi
Le solitudini incrociate nel Condominio dei cuori infranti
Asphalte, ovvero in Italia, più platealmente, Il condominio dei cuori
infranti, è un film di Samuel Benchetrit, 40 anni, di origini
ebreo-marocchine, attivo (troppo!) come attore autore regista in cinema e
in teatro e come estensore di una sorta di autobiografia, dice
Wikipedia, in più tomi che si chiama, appunto, Cronache dell’asfalto.
Ce n’è quanto basta per essere diffidenti, e invece no, il suo è un film
significativo e simpatico. Si pensa, con la prima scena (una riunione
di condominio, in zona periferica e squallida di una qualche città o
banlieue), a un imitatore di Ballard o Cheever, e subito dopo a un
seguace del Tati comico-critico di una triste modernità (da Mio zio a
Playtime).
E sicuramente Benchetrit ha preso qualcosa dalle sue gag a freddo, dalla
sua distanza e dai suoi silenzi, ma puntando ad altro. Questo “altro” è
un messaggio umanistico di stampo truffautiano, retto con un acume
intellettuale del tutto assente dalla tradizione nostrana, più
convenzionale e più sentimentale, che è poi quella dello zavattinismo.
Ed è proprio questo a impressionare. Ma è meglio prima ricordare la
trama.
Del condominio e del suo squallido contorno si è detto. In esso
Benchetrit isola tre storie, tre incontri: un solitario costretto in
carrozzina per abuso di ginnastica d’appartamento su cyclette che
nottetempo incontra l’opaca infermiera di notte di un vicino ospedale;
un’attrice che fu un tempo nota e brava e uno sveglio adolescente con un
forte bisogno di madre; e la storia più improbabile di tutte, quella di
un astronauta americano, la cui capsula cade sul tetto del condominio
ed è accolto da una donna araba che ha il figlio in galera.
Qui la diversità tra i due personaggi si fa davvero estrema, a
evidenziare che non si cerca il realismo e il plausibile, ma
un’invenzione che, nella bizzarria dei confronti, consenta un discorso
di tolleranza.
Basta poco per non sentirsi soli, dice Benchetrit, ma quello che in una
commedia italiana mainstream suonerebbe insopportabile per il
sovraccarico di smorfie e battutine e ricattucci, qui invece funziona,
per il semplice motivo che si fa stile. Benchetrit cerca e trova un suo
linguaggio andando oltre il banale. I silenzi sono importanti quanto i
discorsi, l’ambientazione quanto le psicologie, le trovate quanto il
messaggio.
Si tratta sempre, diciamo così, di una piccola o piccolissima borghesia
che cerca di nobilitarsi, di “darsi una ragione”, ma a partire da una
sofferenza reale, non dalla recita della sofferenza. I nostri eroi
italici sembra non sappiano mai cosa siano solitudine e dolore, si
stordiscono e stordiscono con la recita e la chiacchiera, con il
compiacimento e l’autoesaltazione. Mentre gli eroi di Benchetrit la
solitudine la conoscono e non ne nascondono il peso, la condanna, la
tremenda fatica che bisogna fare per uscirne.
http://www.internazionale.it/opinione/goffredo-fofi/2016/04/06/condominio-dei-cuori-infranti-recensione
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