Meglio vivere un giorno da leone che cento anni da pecora
Donald Trump, il discusso e problematico candidato alle primarie del partito repubblicano, ha rilanciato un tweet con una frase proverbiale:
«it is better to live one day as a lion than 100 years as a sheep». Il
motto era stato postato inizialmente dall’account @ilduce2016, che ha
l’abitudine di diffondere frasi del duce tradotte in inglese, presentate
come se fossero state pronunciate dal candidato repubblicano. Trump
l’ha ritwittato, senza capire che poteva trattarsi di una provocazione, o
convinto che, comunque, fosse una frase che rappresentava il suo
sentire.
Comunque stiano le cose, il fatto è che la frase fu uno degli slogan di Benito Mussolini.
A partire dal 1926 divenne parte significativa della propaganda
fascista: finì sui libri di scuola, sulle monete, si moltiplicò nelle
scritte sui muri. Ma fu invenzione mussoliniana?
Certamente no: lo ricaviamo dallo stesso discorso con cui Mussolini
iniziò a diffondere il motto (quello del 20 giugno 1926 agli ufficiali
dei granatieri e della fanteria, nella caserma «Umberto I» di Roma; da Opera Omnia, a cura di Edoardo e Duilio Susmel, vol. XXII, Dall’attentato Zaniboni al discorso dell’Ascensione (5 novembre 1925 – 26 maggio 1927), Firenze, La Fenice, 1957, p. 168):
È stato bene che in
questi giorni si sia ricordata una frase che non deve essere
dimenticata: quella scritta da un anonimo, ufficiale o fante poco
importa, sopra uno dei baraccamenti alla vigilia della battaglia del
Piave: «Meglio vivere un giorno da leone che cento anni da pecora».
In realtà, la storia di questo motto è un po’ più complicata. È vero: la frase fu scritta, durante la prima guerra mondiale, sul muro di una casa a Fagarè (ora Fagarè della Battaglia, frazione del comune di San Biagio di Callalta, in provincia di Treviso). Secondo il «Secolo d’Italia»
(ma la fonte primaria dev’essere «Corriere della sera» del 19 febbraio
1958, p. 6) ne fu autore Ignazio Pisciotta, mutilato nel 1911, ufficiale
nella prima guerra mondiale; fece poi carriera, fino a diventare
generale dei bersaglieri. Nel «Corriere della sera» del 31 luglio 1918,
nella sua corrispondenza di guerra, Arnaldo Fraccaroli scrive (con una
riformulazione personale della frase reale, come si può verificare
nell’immagine appena riportata):
Ritroviamo
sulle case qui intorno – sui ruderi delle case – le scritte fatidiche
tracciate dai soldati a rapidi colpi di pennello nei primi giorni della
resistenza, le scritte portentose che il fuoco nemico ha morso
rabbiosamente: «Tutti eroi! O il Piave, o tutti accoppati!» E ancòra «E’ meglio vivere un’ora da leone che cento anni da pecora!» Giuramenti che furono tenuti. Con queste scritte, le umili case martoriate hanno una sacra maestà di tempio.
Ma neppure questo è l’inizio della storia del nostro motto.
Ancora il «Corriere della sera» del 19 febbraio 1958 cita una lettera
al «Giornale d’Italia» del generale Furio Monticelli, presidente del
Museo storico dei bersaglieri, il quale precisa che la frase era nota
ben prima della guerra mondiale. Riandando ai primi anni della sua vita
militare, ricorda che nella caserma di Caprera, in cui operava nel 1910,
«il suo comandante di battaglione, ten. col. Giovanni Maggiotto, nome
ben noto ai vecchi bersaglieri per la sua eccentricità e per il suo
spirito bersaglieresco, fece scrivere sulle pareti delle casermette
molte massime – non tutte di sua creazione».
Bisogna, allora, andare ancora indietro nel tempo,
non tanto alla ricerca di un proverbio arabo che sarebbe alla base
della massima, ma di attestazioni italiane precedenti. E queste
attestazioni si trovano: nel volume Il Risorgimento italiano. Biografie storico-politiche d’illustri italiani contemporanei,
per cura di Leone Carpi, vol. II, Milano, Vallardi, 1886, a p. 241
leggiamo «Meglio vale vivere un giorno come un leone, che cento anni
come pecora»; in F.D. Guerrazzi. Discorso di Giovanni Marradi letto nel R. Teatro Goldoni in Livorno il 12 agosto 1904, Livorno, Giusti, 1904, p. 14, leggiamo
La trafila, dunque, parrebbe questa: troviamo le prime attestazioni nell’ambito della storiografia risorgimentale, da questa la frase è passata all’ambito militare, con punte di alta visibilità nel corso della prima guerra mondiale, e da qui è passata a Mussolini, il grande comunicatore che diede al motto la più grande risonanza possibile.
La frase è stata oggetto di commento da parte di Antonio Gramsci. Trattando del superuomo nella letteratura d’appendice (Quaderni del carcere,
a cura di Valentino Gerratana, Einaudi, Torino 1975, vol. III, pp.
1879-1882) ricorda «la fortuna di alcuni motti come: “è meglio vivere un
giorno da leone che cento anni da pecora”, fortuna particolarmente
grande in chi è proprio e irrimediabilmente pecora».
Quando hanno detto a Trump che la frase era stata pronunciata da Mussolini e che percio' lui doveva disassociarsi dalla filosofia fascista, lui ha risposto che a lui non interessava la provenienza della frase ma che comunque gli piaceva il significato che la frase promulgava.
RispondiEliminaPenso che anche Trump sia una pecora travestita da leone!
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