07 dicembre 2017

ELIAS CANETTI VISTO DA MARCO NINCI







Elias Canetti in “Massa e potere”, pubblicato nel 1960, dopo un lavoro durato decenni, dedicò alcune pagine alla figura del direttore d’orchestra, giustamente definito un significativo emblema della persona di potere. Ma, come sempre accade con gli scrittori di rango, è stata l’esperienza vissuta a suggerirgli le riflessioni più profonde su questo tema; da una conoscenza individuale sono infatti scaturiti pensieri che possiedono un rilievo universale. Il racconto appartiene al terzo volume della sua autobiografia, “Il gioco degli occhi”, pubblicato in tedesco nel 1985 e nello stesso anno tradotto in italiano presso Adelphi. Canetti in questo libro si occupa degli anni Trenta, del suo periodo passato a Vienna, in quella città splendente e luminosa che doveva poi sprofondare nell’oscurità nel 1938, con l’arrivo in città di un Hitler trionfante, accolto da un tripudio di folla. Qui Canetti conosce il famoso direttore d’orchestra Hermann Scherchen, impegnato a farsi un nome come apostolo della musica moderna. E ne descrive con parole pungenti il carattere sgradevole, tutto dominato dalla “volontà”, da una spaventosa volontà di imparare e da una prevaricante volontà di imporsi agli altri: “Mentre faceva il violinista nei locali notturni, ed era ancora un ragazzo di quindici anni, pallido, con molto sonno arretrato, teneva Spinoza sul leggio, sotto i suoi fogli di musica, e anche negli intervalli più brevi studiava a memoria l’”Etica”, frase per frase. Ciò che imparava non aveva niente a che fare col suo mestiere, ma era come un gradino a sé stante della cultura. Studiava molte altre cose e, a parte lo sforzo che tutte gli costavano in uguale misura, non ce n’era una che avesse un reale rapporto con l’altra. Prevaleva sempre la volontà, era una volontà indistruttibile, aveva bisogno di cose nuove in cui esercitarsi e continuò a trovarne per una vita intera. Fino alla vecchiaia fu la volontà a decidere, un appetito inestinguibile che però era diventato, per la consuetudine con la musica, un appetito ritmico” (pp. 56-57). Da questa volontà Canetti trae sull’uomo e sul musicista una conclusione negativa: “La smania di imparare, con cui si era elevato da giovane, rimase la stessa in tutte le fasi successive della sua vita. Si potrebbe dire che l’aveva conservata come vocazione quando già aveva una professione. Era diventato direttore d’orchestra precocemente, nonostante tutte le difficoltà, ma non era ancora contento di quello che aveva sotto mano. Forse quell’attività non bastava da sola a riempirgli la vita, e forse per questo non è mai diventato un direttore d’orchestra veramente grande” (p. 57). Non ha nessuna importanza stabilire se questo giudizio negativo, condizionato oltretutto da un’evidente antipatia, sia giusto per Scherchen; sono le questioni generali che, senza parere, esso solleva a rivelarsi invece decisive. Si pone qui il problema della divisione intellettuale del lavoro e del rapporto fra natura e cultura. Io penso che le cose più grandi costruite dall’intelletto umano travalichino lo specialismo e provochino riflessi che vanno molto al di là di esso; e credo pure che la divisione intellettuale del lavoro non sia affatto innocente nella diffusione del degrado sociale e mentale. E tuttavia è straordinaria l’osservazione di Canetti secondo cui le cose imparate da Scherchen sembravano non avere nessun rapporto l’una con l’altra. Questo è in effetti il caso di molte persone per le quali il conoscere tante cose diverse non trova un suo centro unitario e unificante e, al contrario, si incammina verso una banale dispersione. Il fatto è che in queste persone la cultura non trova la sua ragion d’essere nella natura, in una natura originaria e immodificabile del cui talento si impregni ogni ulteriore espressione della persona. Per questo musicisti dalla natura incomparabile non hanno bisogno di spaziare nei cieli dell’alta cultura; la loro natura è cultura di per sé e va molto al di là di se stessa. Canetti e Scherchen erano ambedue innamorati infelicemente di Anna, la figlia di Gustav Mahler; e Canetti riporta malignamente che per Anna Scherchen poteva al massimo dirigere una banda militare (p. 97). Questa è cronaca; ma il grande scrittore ha saputo elevare questa cronaca alla dignità di una riflessione sull’uomo, scavando nelle pieghe nascoste di fatti tutto sommato banali.

Marco Ninci

Nessun commento:

Posta un commento