08 dicembre 2017

P. KLEE, La dimensione astratta





 
 
La Fondazione Beyeler di Basilea ospita, dal 1 ottobre 2017 al 21 gennaio 2018, la mostra "Paul Klee - La dimensione astratta". Una grande retrospettiva delle opere di uno dei più significativi autori del Novecento. "L'arte non riproduce il visibile; rende visibile ciò che non lo è", in questa frase di Klee è racchiuso il senso della mostra.

Fabrizio D'Amico

Paul Klee. La dimensione astratta


"Il colore mi possiede, per sempre. Io e il colore siamo tutt'uno. Sono pittore". Con questa certezza Paul Klee tornò dalla Tunisia, dove era andato nel 1914 con l'amico August Macke, che morirà quell'anno stesso in guerra. Tunisi, Hammamet, Kairouan — le loro luci colme, i loro colori gioiosi — gli donano d'improvviso la maturità: giunta dunque tardi, a trentacinque anni. Klee, che era nato nel 1879 nelle vicinanze di Berna da genitori musicisti, aveva diviso fino ad allora il suo lavoro fra musica, disegno e scrittura.

Era giunto quasi inatteso, nel '12, l'invito di Kandinsky alla seconda mostra del Cavaliere azzurro a Monaco di Baviera; quell'anno stesso era anche tornato a Parigi, conoscendovi tra gli altri Robert Delaunay. Ma è solo al ritorno dal viaggio in Tunisia che inizia la sua stagione più felice, con mostre che si susseguono di anno in anno, spesso accompagnate da un convinto successo di pubblico e critica; finché nel ‘20 è chiamato da Walter Gropius ad insegnare al Bauhaus.
    Staedtische Komposition mit gelben Fenstern
È una sorta di incoronazione: da allora, Klee entra a far parte della ristretta cerchia di artisti che, un po' ovunque in Europa, cercano, percorrendo strade diverse, la verità della pittura oltre la mimesi della realtà. Ora la Fondazione Beyeler di Basilea dedica una mostra a La dimensione astratta di Klee (a cura di Anna Szech; fino al 21 gennaio 2018), ponendo l'accento su uno dei due poli della sua pittura, quello che ne fece uno degli interpreti più consapevoli e teoreticamente agguerriti dell'arte non figurativa.

All'altro capo dei suoi propositi, l'opposto: disse, al tempo della guerra: «quanto più spaventoso è questo mondo (come oggi), tanto più è astratta l'arte»; e ancora: «Astrazione. Il freddo romanticismo di questo stile senza pathos è inaudito». Vennero allora case, giardini, architetture d'ogni tipo; e spesso i suoi dipinti, le sue carte all'acquarello prendevano titoli che rafforzavano il sospetto di una suggestione provata di fronte alla natura. Eppure, quei suoi dipinti hanno, tutti, quel malessere inaudito — quella separatezza dalla realtà che li fa, infine, ad essa radicalmente estranei.

Non c'è profondità in lui; senza una collocazione prospettica, le cose si snodano sulla superficie senza ordine, senza gerarchia. Vagano in un'atmosfera senza aria, irrespirabile.

Sono sogni? Nemmeno; solo segni disposti sul piano, invasi da un colore eccitato negli anni Dieci, poi più sobrio e talvolta scuro, infine (dal quarto decennio, fino alla morte venuta nel 1940) nuovamente vario e imprevisto, solcato da un segno che s'è nel frattempo inturgidito, e che ora delinea forme più salde.
    Segni in giallo

"L'arte non riproduce il visibile; rende visibile ciò che non lo è"; Klee persegue dunque non una "forma come valore", come entità data una volta per sempre, chiusa in sé, immota, ma il "modo del suo prodursi", ha scritto Argan. È per questo che Klee accede indifferentemente ad una elementare e quasi ingenua figurazione, e all'opposto ad una concentrata astrazione geometrizzante, e persino ad una indagine pre-surrealista che posa lo sguardo sulle regioni misteriose dell'abisso, nelle terre "dei morti e dei non nati"; o che guarda, per trarne ispirazione — anticipando in ciò tante avanguardie, fino a Dubuffet — , il disegno infantile, e l'arte prodotta dagli alienati e dai folli.

Una serie di contraddizioni e antinomie toccano allora la sua opera: divisa sempre fra emozione e controllo del pensiero; fra un misterioso tremore e una solare, dimostrabile evidenza; fra cecità e lucida consapevolezza; tra flagranza e sogno; fra giocosa incostanza della creazione e umilissima sistematicità dell'impegno fabbrile; fra tutto quanto è regola, insomma, e tutto quanto, lì a fianco, è sua trasgressione.

Così i suoi "paesaggi" sono non più che implausibili topografie inerpicate su una verticale primordiale, pre-rinascimentale; paesaggi che irridono il canone prospettico e mettono assieme, in uno spazio tenuto precariamente in bilico sul nulla, casette e triangoli, cerchi ed aloni, ellissi e punti esclamativi, lettere e occhi, alberi e stelle: in un'antologia di un mondo creato non dalla memoria, né dallo sguardo, ma dal paziente lavoro di un ricercatore in traccia di una possibile realtà che tutto il già visto sappia dimenticare. Per questo Klee — più del "didascalico" Mondrian, o del "romantico" Kandinsky, che l'avevano preceduto sulla via dell'astratto — è stato maestro di tanti; ed è tuttora il pittore forse più amato, e interrogato, dell'intero secolo scorso.

La Repubblica - 26 novembre 2017

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