26 dicembre 2017

LA LUCIA DEL CARAVAGGIO





Il pittore delle ombre e la santa della Luce. Una luce perduta dagli occhi strappati, una luce che si sfalda, si sgretola, nell'opera che Michelangelo Merisi realizzò per la cattedrale siracusana nel 1608. Il lavoro di sfaldamento della superficie pittorica operato dal tempo aggiunge in qualche modo ancora più fascino a questa grande tela siciliana, composta su una canapa grossa con pigmenti di terre ricavate dalle arenarie locali. Le cave di Acradina, le Latomie, l'inquietante "Orecchio di Dioniso", le antiche tombe a camera, le catacombe cristiane, la cava del Salnitro sembrano evocare l'avello infernale, scenografia incombente sui personaggi con il peso di un vuoto spoglio e annerito dal fumo. I personaggi animano la scena come in una sacra rappresentazione: il vescovo, sei passanti, un armigero in armatura luccicante, i due fossores in primo piano, una vecchia inginocchiata, ammantata di nero come è costume delle donne di Sicilia, e Lucia, piccola figurina dalla testa spiccata dal collo pietosamente riunita al corpo con un collare di sangue. I gesti parlano i diversi linguaggi del dolore, come quelle mani nodose portate dalla vecchia alla guancia, un'attitudine che la storia dell'arte ha già conosciuto con il gesto di pietas dolorosa di San Giovanni nella scena del Compianto dipinta da Giotto per gli Scrovegni di Padova, come le dita intrecciate del diacono, già incontrate nella figura di Cristo nella caravaggesca Presa nell'orto. Lampi di rosso al centro,nel mantello del diacono, con l'effetto drammatico tipico dell'artista e un uso simbolico espressivo del colore che richiama il sangue innocente versato. Mani e volti che parlano, sguardi che esplorano il buio, che fuggono la mattanza. L'agiografia si fa racconto del quotidiano nel dramma di chi, spettatore impotente, vivrà portandosi quell'immagine dentro indelebilmente impressa.
 
Raffaella Terribile, docente liceo artistico p. selvatico  Padova.


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