27 dicembre 2017

LA VITA QUOTIDIANA NEL MEDIOEVO


Nell'ultimo libro di Chiara Frugoni la famiglia, la vita in città, il traffico e lo smaltimento dei rifiuti, il ruolo delle donne e soprattutto la condizione dei bambini a partire dai giochi. Un grande affresco della vita quotidiana nel medioevo.

Maria Bettetini

Essere bambini nel Medioevo


Un mondo alla rovescia: le donne più fortunate, sane e colte sono le monache. Le mogli, povere o ricche, serve o principesse, erano minacciate e spesso uccise dal parto, anche uno ogni due anni, tanto più numerosi quanto alta era la mortalità dei bambini. Il Medioevo sembra stupire, eppure ancora oggi così vivono e muoiono donne e bambini non in pochi casi isolati, e un secolo fa così andava in diverse zone d’Europa. Ora però quello che desideriamo è un’immersione nella quotidianità del Medioevo, per conoscere, per osservare, anche per fare paragoni sul modo di prendere la vita e la morte.

La nostra è una guida d’eccezione, molto nota anche ai lettori non specialisti per la grazia con cui da anni ci accompagna nelle case e nelle vite dei Medievali, dei grandi, come San Francesco, dei piccoli, come i bambini cui è dedicato questo ultimo suo lavoro. Vivere nel Medioevo ha infatti come sottotitolo Donne, uomini e soprattutto bambini.

Lo studio di fonti scritte e, soprattutto, iconografiche è sufficiente a renderci partecipi della vita delle famiglie, in particolare dei bambini, vissuti nei secoli che vanno dal quinto al quindicesimo, all’incirca. Ancora non sappiamo bene come definire cronologicamente questa Età di Mezzo, questi mille anni che spesso si vorrebbero eliminare dai programmi scolastici, che sembra siano stati solo una sgradevole interruzione tra lo splendore dell’Impero romano e la riscoperta dei classici.

Frugoni non usa mezzi termini: i bambini morivano, i genitori lo sapevano e a loro si affezionavano solo col tempo. Nessun sogno durante l’attesa, nessuna aspettativa per il futuro, la gravidanza di “dolce” aveva poco, anche in termini sociali. Se poi sopravvivevano, allora sì, a poco a poco diventavano amati, forse coccolati, però per breve tempo: le femmine erano subito messe a lavorare in casa, quasi servette del resto della famiglia, dei fratelli e del padre. I maschi, molto presto, forse a sette-otto anni, andavano a bottega o nei campi, niente scuola, niente vacanze, pochi giochi.

Eppure lunghe pagine sono dedicate dall’autrice proprio ai giochi dei bambini in epoca medievale, complici dettagliate miniature di bimbi che vanno in slitta su mascelle di cavalli e su altre ossa pattinano, che corrono sui trampoli, volano in altalena, catturano farfalle con l’ausilio di strani cappucci. Complice soprattutto un dipinto di Peter Brueghel del 1560, oggi al Kunsthistorisches Museum di Vienna. Tardo, rispetto al Medioevo “tecnicamente” inteso, ma non discosto dalla realtà dei secoli precedenti: il quadro rappresenta circa ottanta giochi, usati da più di cento bambini.

Non c’è tenerezza, i bambini non sono belli, né paffuti, né rosei, hanno piuttosto l’aria goffa di chi non è ancora del tutto umano. A Frugoni interessa mostrare, tra le altre cose, la quasi assenza di oggetti costruiti apposta per il gioco: i cerchi sono presi dalle botti, i sassi non han bisogno altro che di essere raccolti, le trottole e le girandole potevano essere fatte anche dai bambini più grandi. Per nuotare si usava come salvagente una vescica di maiale gonfiata, per giocare al mercante una bilancia sottratta forse ai genitori.
Non erano capaci, i medievali, di costruire giocattoli? Non è certo questo il problema. Ma perché dedicare tempo e fatica a un “mercato”, come diremmo oggi, così instabile (come sapere se questi bambini sarebbero arrivati all’età del gioco) e, soprattutto, così poco durevole, considerati i pochi anni che intercorrevano tra lo svezzamento e l’impiego nel lavoro.

Oggi, le famiglie si modellano sull’arrivo, sulla crescita, sulla costruzione del futuro dei figli. Nel Medioevo, l’arrivo di un figlio era accettato solo come metafora della imponderabilità del volere divino: quale dei bambini sarebbe nato sano e poi sopravvissuto, avrebbe la madre superato infezioni e altre problematiche legate al parto, chissà.

Vita e morte non erano sentite come realtà lontane e antitetiche, necessariamente vivere comportava un continuo incontro col morire. Se qualcuno avesse inteso non pensarci, sarebbe stato richiamato alla realtà dalle danze della morte di cui abbiamo ancora superbi esempi a Pisa, a Palermo, nelle chiese alpine. Alle malattie si devono poi aggiungere le scellerate abitudini di costringere il neonato in fasciature strettissime, di nutrirlo spesso in maniera inadeguata, di farlo dormire nello stesso letto della balia, una pigrizia che spesso portava al maldestro soffocamento del piccolo.

Erano tristi e soli, per questo, i bambini? Non sembrerebbe, da come giocano, nuotano, si arrampicano, danzano nelle immagini a noi giunte. Erano abbandonati a se stessi, forse sì. Ma per poco, a breve un superiore, forse un parente, forse un padrone, avrebbe tolto definitivamente quelle ore d’aria di cui era bene godessero finché potevano.
E madri e padri? Curiosi, per noi, alcuni aspetti della vita familiare. Il letto era il centro della quotidianità, di giorno come di notte. A letto, oltre a svolgere le attività che ci sembrano consone al luogo, si mangiava, si riceveva, si dava ospitalità, era normale dormire almeno in tre o quattro per letto, anche negli alberghi. Non, o forse non solo, in vista di promiscuità che i novellieri hanno saputo ben raccontare, ma soprattutto in fuga dal freddo e dagli spifferi, vero e proprio incubo di case senza vetri, protette da legni e tendaggi.

Ecco perché le pitture, che pur rappresentano una coppia legittimamente nuda nel letto, non mancano di dipingere i due sposi con in testa un pesante cappello di lana. Si può capire come la vita tra le mura di un convento fosse ritenuta più calda e sicura. E, come si diceva in apertura, di maggior soddisfazione per la donna.

Chiara Frugoni paragona il ruolo delle regine, al grado massimo della scala sociale però sempre e solo in quanto mogli del re, a quello delle monache. Nel caso, per esempio, della moglie di Carlo il Calvo, abbiamo il frontespizio di una Bibbia, datata circa 870. Carlo, il re, è grande il doppio dei quattro personaggi che gli sono accanto, tra questi la moglie, non sappiamo nemmeno se la prima, Ermintrude, o la seconda, Richilde. Ben differente la pagina vergata da una innominata monachella di Essen, in cui chiede alla superiora Felhin di poter rimanere sveglia tutta la notte per continuare a studiare con la maestra Adalu. Fehlin lo concede, entrambe scrivono in perfetto latino. Siamo nel decimo secolo, ancora le università non hanno proibito l’istruzione alle donne, ancora i magistri non temono la rivalità delle magistrae.

Il Sole 24Ore – 3 dicembre 2017


Chiara Frugoni
Vivere nel Medioevo. Donne, uomini e soprattutto bambini
il Mulino
40

Nessun commento:

Posta un commento