19 dicembre 2017

IL SOGNO DI WOODY GUTHRIE


Cinquant'anni fa moriva Woody Guthrie. Nelle sue mani la chitarra diventava un'arma contro soprusi e razzismi. Sopra campeggiava la scritta: «This Machine Kills Fascists». Il suo messaggio è tornato di massima attualità e gli echi delle canzoni di Woody risuonano oggi nei testi di una serie di musicisti.

Guido Mariani

Guthrie, il sogno antifascista

Cinquanta anni fa, in una stanza del Creedmoor Psychiatric Center del Queens a New York moriva Woody Guthrie, uno degli interpreti più importanti della musica folk statunitense. Era il 1967 e la sua voce si era già spenta da tempo.

Dalla fine degli anni ’40 il suo comportamento era diventato strano, imprevedibile. Venne ritenuto alcolista, schizofrenico. Gli venne in seguito diagnosticata una patologia neurodegenerativa ereditaria, la Corea di Huntington, una malattia incurabile che aveva già ucciso sua madre e che lo costrinse a passare gli ultimi anni della sua vita in istituti di ricovero dove più che essere curato veniva trattato come un internato. Guthrie era un’istituzione, un eroe della canzone popolare, ma anche un attivista politico combattivo e in odore di comunismo.

Secondo Brian Hosmer, che insegna Storia americana all’Università di Tusla, in Oklahoma, a pochi chilometri dalla città natale di Guthrie, Okemah, questi anni di malattia, di fragilità e di disagio trasformarono la percezione che di lui aveva il pubblico. «Il morbo di Huntington – ha sostenuto Hosmer – non solo lo ridusse al silenzio, ma lo trasformò in una figura diversa, più amichevole e meno minacciosa».

Nel 1961 un giovane cantautore originario del Minnesota chiamato Bob Dylan scrisse la sua prima vera canzone. Si intitolava Song to Woody, un tributo all’eroe del folk rinchiuso e isolato, ma la cui eredità e ispirazione era così evidente in tutta una nuova scena di giovani artisti. «Hey Woody Guthrie – recita il testo di Dylan – so che tu sai tutte le cose che sto dicendo e molte altre cose. Ti canto una canzone, ma non potrei mai cantare abbastanza, non ci sono tante persone che hanno fatto le cose che hai fatto tu».
Il futuro premio Nobel cantava questi versi su una melodia scritta da Guthrie per il brano 1913 Massacre. Il revival del folk – che proprio grazie all’artista di Duluth divenne un fenomeno giovanile globale – restituì però un Guthrie più songwriter e meno politico, più poeta e meno militante. Woody in realtà le sue battaglie le aveva combattute davvero. Era figlio di un padre razzista e membro del Ku Klux Klan, proprietario terriero caduto in rovina e costretto a cercare fortuna in Texas. Iniziò la sua carriera artistica all’inizio degli anni ’30 nel pieno delle grande depressione, scelse la vita dell’hobo, del cantastorie girovago, assimilando lungo la strada le tradizioni musicali che erano confluite negli Usa dagli immigrati come dagli schiavi e assistendo di persona al dramma di una classe media spazzata via e ridotta alla miseria dalla crisi economica.
LA CRISI

Se l’economia industriale era stata messa in ginocchio dal crollo di Wall Street, i terreni agricoli delle pianure Usa erano diventati una Dust Bowl, una «conca di polvere», erano stati trasformati in deserti di sabbia da decenni di coltivazioni intensive che li avevano resi sterili. L’unica speranza era scappare e inseguire quello che rimaneva del sogno americano a Ovest, in California. Gran parte dei migranti erano dell’Oklahoma, proprio come Woody, e per estensione tutti i diseredati vennero battezzati, con un nomignolo che divenne dispregiativo, gli «Okies». In California comparvero le scritte «No Oakies». Allora come oggi il migrante faceva paura.

Con la sua chitarra Guthrie viaggiò e si confuse tra loro, assistendo ai drammi umani raccontati da John Steinbeck in Furore. Poi, all’alba del nuovo conflitto mondiale, fece rotta su New York. L’esperienza accanto agli ultimi e ai derelitti lo avevano avvicinato al comunismo tanto da renderlo una presenza abituale a comizi politici e alle manifestazioni sindacali. Arrivato nella Grande Mela entrò a far parte di un gruppo di artisti folk chiamato The Almanac Singers, un sodalizio tra musicisti di idee comuniste composto da Millard Lampell, Lee Hays e da Pete Seeger. Con l’estendersi del conflitto mondiale, il gruppo passò dal pacifismo all’antifascismo militante.

Da qui «This Machine Kills Fascists», questa macchina uccide i fascisti, storica scritta che comparve in quegli anni sulla chitarra di Guthrie e che a oggi rimane un simbolo del suo impegno. La frase nacque come slogan che veniva stampato su volantini che venivano dati agli operai delle fabbriche belliche. Guthrie rivendicava quello slogan per la musica folk e per la missione che le canzoni dovevano avere. Il suo combattivo impegno antifascista è testimoniato dalla bellicosa Round and Round Hitler’s Grave (Ballando sulla tomba di Hitler), scritta con Pete Seeger e Millard Lampell: «Vorrei vedere il vecchio Hitler con un cappio attorno al collo (…) e anche Mussolini non durerà molto».

PAROLE CRUDE

Il brano era tanto crudo nelle parole quanto divertente e ballabile, nel clima bellico del periodo divenne un inatteso successo, tanto da garantire al gruppo un’audizione nel 1942 all’elegante Rainbow Room, club nel Rockfeller Center, nel cuore della New York opulenta. Ma il provino non portò a nulla, ovviamente, perché come ha scritto Ed Cray nella biografia di Guthrie Rambling Man, gli Almanac Singers non erano cantanti ma agitatori politici, erano propagandisti, dei picchettatori.

Il loro antifascismo non era solo una filastrocca che doveva allietare il fronte interno, ma un impegno da vivere anche in patria. A quell’epoca appartengono anche i brani Tear the Fascists down (Abbattete i fascisti) e soprattutto All You Fascists Are Bound to Lose (Voi fascisti siete destinati a perdere), brano di cui oggi esistono innumerevoli cover e che Guthrie iniziò a suonare con un nuovo gruppo chiamato The Headline Singers di cui fecero parte anche Pete Seeger e i musicisti neri Leadbelly, Sonny Terry e Brownie McGhee. Emblematico un episodio di una loro esibizione raccontato dallo stesso Seeger.
WAR BONDS 

Nel 1942 la formazione si esibì a Baltimora in un concerto per la promozione dei «war bonds», le obbligazioni con cui gli stati finanziavano lo sforzo bellico. Al termine del concerto uno degli sponsor dell’evento invitò Guthrie a mangiare con queste parole: «Mr. Guthrie abbiamo una sedia al nostro tavolo, e i suoi amici se vogliono possono mangiare in cucina». Il cantante capì che in sala non erano graditi i suoi musicisti perché neri e rispose: «Come mai? Ci avete sentito suonare insieme. Perché non possiamo mangiare insieme?». «Ma Mr. Guthrie. Siamo a Baltimora, non se lo ricorda?». Questa replica mandò su tutte le furie Woody che urlò: «La lotta contro il fascismo si combatte anche qui e ora!». Tirò la tovaglia buttando in aria piatti e vivande e ribaltò i tavoli. Fu cacciato via a forza.

La sua guerra contro il fascismo si spostò poi al fronte come membro della marina mercantile Usa con incarichi di servizio. Nel 1943 si ritrovò, brevemente, in Sicilia. Quando una delle sue navi fu centrata da un missile nel 1944 tornò in patria e concluse il servizio militare nell’esercito. Finita la guerra Hitler e Mussolini erano scomparsi, ma i nemici si trovavano ancora a casa: razzismo, segregazione e disuguaglianze sociali dominavano la società e la cultura statunitense. La scritta «This machine kills fascists» non scomparve più dalla sua chitarra. In questi anni riprese una canzone che aveva abbozzato nel 1940 This Land Is Your Land, scritta come contro-inno americano in risposta a God Bless America di Irving Berlin.

Il brano rivendicava un’America come terra dell’accoglienza e delle possibilità e nelle prime versioni comparivano anche alcuni versi contro la proprietà privata che sono poi scomparsi nel tempo. A tal proposito nel 1950 tra le sue ultime invettive si ricordano i testi di canzoni – rimaste inedite – indirizzati al palazzinaro newyorkese Fred Trump da cui aveva affittato una casa a Brooklyn; Guthrie aveva scoperto la rigida politica razziale con cui il padre di Donald gestiva le sue proprietà.
COMPAGNO DI VIAGGIO

La malattia stava però mettendo fine alle sue battaglie. Il suo scettro fu raccolto dal suo compagno di viaggio Pete Seeger che sulla cassa armonica rotonda del suo banjo scrisse «Questa macchina circonda l’odio e lo obbliga ad arrendersi». Dopo di lui era pronta una nuova scena folk capitanata da artisti come Dylan, Joan Baez, Phil Ochs e dal figlio Arlo (oggi acceso repubblicano). Ma la poetica di Guthrie fa anche parte dell’anima del rock di Springsteen, della scena militante inglese con artisti come Billy Bragg fino al punk di ieri e di oggi. Un cantante girovago che voleva cancellare con le canzoni il fascismo e le ingiustizie. Un sogno che oggi, a mezzo secolo dalla sua scomparsa, è più attuale che mai. Al punto che i rigurgiti estremisti che sta vivendo l’America di Donald J. Trump danno ancora forza e valore al più autentico significato della battaglia sociale e politica di Woody Guthrie. Una battaglia i cui echi continuano ad avvertirsi in una sfilza di testi e artisti.

il Manifesto/Alias – 18 novembre 2017

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