Averroe e San Tommaso
DANTE, MAOMETTO E CHARLE HEBDO
di Matteo Cazzato
L’anno dantesco sta terminando e il nome del poeta è apparso spesso sulle cronache. Provando a fare un bilancio, ci si accorge che ci sono state anche notizie vuote o infondate (le accuse di plagio – in realtà inesistenti – da parte di un giornalista tedesco a marzo), che hanno occupato più spazio del dovuto, mettendo in ombra fatti ben più interessanti. È il caso della nuova traduzione della Commedia uscita in Olanda e nel Belgio fiammingo per la casa editrice Blossom Books a cui i media non hanno dedicato attenzione. La traduttrice Lies Lavrijsen ha deciso di eliminare il nome di Maometto dal canto XXVIII dell’Inferno, per evitare di offendere inutilmente la comunità islamica in un periodo di grande tensione a seguito del tragico attentato a Parigi contro il professore Samuel Paty, ancora una volta in relazione alle vignette di Charlie Hebdo.
Una vicenda che per vie complesse unisce la Commedia, i contrasti fra Islam e Occidente, Charlie Hebdo e le difficoltà della società occidentale con la rappresentazione del profeta Maometto. E la difficoltà riguarda solo la rappresentazione di questo soggetto specifico, perché la caricatura di un personaggio come Erdoğan è – per così dire – cosa buona e giusta e nostro dovere civile, ma la caricatura di un simbolo dal valore esistenziale fondante (e parlo da agnostico) è una questione diversa, e serve probabilmente in occidente una riflessione autentica sulla questione per superare certe difficoltà evidenti all’interno della relazione interculturale.
Ma Charlie Hebdo è una cosa e Dante assolutamente un’altra, ed è sorprendente che le vicende di alcune vignette satiriche contemporanee abbiano un effetto tale da determinare la ricezione che dovremmo avere del capolavoro dantesco. Fatti del genere – anche se sempre poco diffusi dai media – non sono poi nuovi: ci furono polemiche simili dopo i primi attentati in Francia e nel 2012 l’organizzazione “Gherush92, Comitato per i Diritti Umani” aveva portato avanti una lotta contro il «razzismo istituzionale mascherato da arte», proponendo in piena e assurda modalità cancel culture la rimozione della Commedia dai programmi scolastici perché offensiva per ebrei e musulmani. “Gherush92” qualche mese fa ha accolto con gioia la nuova traduzione olandese, auspicando anche la futura rimozione dall’Inferno di Giuda e degli Ebrei.[1] In realtà tutto ciò mostra solo una preoccupante assenza di spirito storico, e una mancata conoscenza minima del proprio bersaglio: Giuda si trova all’inferno perché traditore e non perché ebreo, e in Paradiso compaiono figure veterotestamentarie importanti come Lia o Rachele. La cancel culture è purtroppo oggi un fenomeno sempre più frequente e pericoloso, e il caso di Dante è emblematico di come davanti a queste dinamiche socio-culturali gli atteggiamenti in campo siano tutti inadeguati se non proprio sbagliati. Chi sostiene il to cancel anyway spesso difende valori e diritti giusti, che appartengono però all’oggi e perciò non possono essere applicati astoricamente e con presunzione di universalità al passato, addirittura per imporvi delle modifiche. Invece chi critica la cancel culture lo fa solitamente partendo da presupposti dannosi, ritenendola un attacco di “barbari” migranti, o di figure radical chic che minacciano la tradizione occidentale, e certo è presente anche una componente superficiale del genere, ma la cultura occidentale non è un assoluto puro da preservare da quelle contaminazioni che invece hanno costruito la storia europea. La Commedia deve restare com’è non per una sterile difesa della tradizione, quanto piuttosto perché la tutela storico-filologica del passato crea le condizioni per imparare a confrontarsi con le opere per come sono realmente e non per come noi vogliamo figurarcele, insegnamento questo dal profondo valore etico e sociale.
L’intento di non offendere espresso dalla traduttrice olandese è nobilissimo, e penso debba essere il principio guida europeo e globale nelle relazioni socio-culturali. E il gesto della traduttrice è alla fine anche cosa minima rispetto a idee come quelle espresse da “Gherush92”. Ma c’è comunque qualcosa che non torna: all’interno della stessa Europa, fra Parigi e Utrecht, come è possibile trovare due atteggiamenti così differenti? Come è possibile che da una parte ci si senta in diritto e dovere di esercitare una libertà di espressione a tratti esasperata fino al punto di ritenere un principio fondamentale il poter offendere, e dall’altra lo scrupolo autoimposto diventa un ostacolo per un reale processo di interazione culturale? Siamo sempre in Europa, non stiamo parlando di un periodico parigino e una traduzione iraniana di Dante. E fra i primi in Olanda a criticare la scelta di rimuovere Maometto dalla Commedia sono stati proprio gli stessi membri della comunità musulmana: il testo è oggetto storico noto da secoli e non si sentono offesi, cosa che invece capita con le vignette satiriche in cui è presente una scelta, un’intenzione viva. La reazione brutale e violenta di assassini e attentatori è inumana e atroce, non è accettabile in alcun modo. Detto questo, e usando le parole di Claudio Magris in una bella intervista con Marco Alloni: «Quelle vignette erano oscene, inaccettabili, e lo erano perché violano il primo fondamento dell’etica: il rispetto… Naturalmente questo non scusa minimamente gli assassini… Però bisogna distinguere: il rispetto è la prima istanza di cui bisogna tenere conto».[2] Membri pacifici della comunità islamica, sconvolti dalla violenza terroristica, sperimentano però un senso di disagio e offesa davanti a certe vignette e non davanti a Dante, e ciò non può essere ignorato e minimizzato, soprattutto in un momento in cui fatti di cronaca o dinamiche geopolitiche riportano la nostra attenzione sui complessi e difficili rapporti fra Europa e mondo islamico. La logica da schieramento di “Je suis Charlie” non ha senso: l’atto violento va condannato, ma fra libera espressione e offesa fine a se stessa c’è una sottile e importante differenza che non tutti sembrano aver colto. Viviamo una condizione schizofrenica tutta interna alla cultura occidentale, dovuta alla perdita di consapevolezza da un lato del ruolo dei valori etici e dall’altro della portata delle complessità culturali: ci sono persone che in difesa dei diritti umani scendono in piazza sostenendo le vignette di Charlie Hebdo e la loro libertà di essere così come sono senza curarsi degli effetti emotivi che possono avere su certe persone, e c’è chi in difesa degli stessi diritti cancella porzioni di opere letterarie e di storia. E qualcosa allora non torna veramente, soprattutto perché il soggetto in questo caso specifico è lo stesso, e semmai si dovrebbe cercare di evitare l’offesa esercitata nell’oggi invece di intervenire indebitamente su testi passati. Sennò, come potremmo rispettare le diversità se pretendiamo di cancellare ciò che non ci piace? La rimozione di pezzi di storia e cultura è un pericolo, e non per un ovvio e anche banale discorso di identità, o perché ciò impedisce di non ripetere gli errori secondo il noto e scontato principio historia magistra vitae. Gli studi umanistici – attraverso l’esattezza filologica e il rigore storico – sono un banco di prova per sviluppare un atteggiamento critico in grado di confrontarsi in modo autentico e rispettoso con l’alterità di un contesto diverso dal nostro. Se vogliamo rimuovere l’alterità che non ci piace nel nostro passato come possiamo imparare a interagire con l’alterità di chi vive accanto a noi oggi, senza pensare di avere il diritto di modificarla a nostro piacimento? Questo atteggiamento è causa delle incomprensioni nelle relazioni interculturali odierne.
Eliminare dal canto XXVIII dell’Inferno il nome di Maometto è il segnale di una crisi più ampia, in cui la traduzione come operazione interculturale ha o dovrebbe avere un ruolo fondamentale, non abbastanza valorizzato e tutelato. La Blossom Books è una casa editrice divulgativa rivolta ad un pubblico fra i 15 e i 25 anni, il periodo del liceo e dell’università centrale per sviluppare spirito critico, e le scelte scolastiche ed editoriali dovrebbero tener conto di ciò. Rimuovere Maometto decontestualizza la sua presenza nel testo, aumenta la percezione di un’offesa che non c’è, creando nuove occasioni di incomprensioni come se non bastassero quelle già esistenti. Dante non condanna Maometto in quanto fondatore di un’altra religione, e perciò di una diversità, tanto più che Dante fu proprio un poeta della varietà sotto vari aspetti. Maometto era considerato un esponente del clero cristiano che in seguito a dei contrasti con il papa aveva deciso di staccarsi dalla Chiesa di Roma. Dante lo punisce in quanto scismatico che ha seminato discordia dividendo una comunità, esattamente come gli eretici cristiani condannati nello stesso canto da Dante. Non facciamo cancel culture, piuttosto facciamo accostare i ragazzi alla complessità di questo testo, non solo in un’aula ma anche in un’edizione o traduzione divulgativa dove una semplice scheda introduttiva funziona benissimo. Questa è un’occasione per formare lo spirito critico delle nuove generazioni nel loro rapporto con le diversità culturali e storiche. Dante conosceva le versioni latine del Corano e del Libro della scala che circolavano nell’Europa medievale, mostrava interesse per la cultura araba attraverso un confronto diretto con le sue manifestazioni da cui ricavava spunti e suggestioni. Il Libro della scala racconta il viaggio ultraterreno del profeta dell’Islam e studiosi come Maria Corti hanno riconosciuto che questo testo ha molto probabilmente offerto a Dante elementi per la costruzione del suo viaggio nell’aldilà.[3] E pure l’episodio incriminato, la pena di Maometto in Inf. XXVIII, viene da un motivo diffuso nella letteratura islamica come hanno mostrato alcuni studiosi anglosassoni, l’al-sharḥ presente anche nel Corano: Dio aprì il petto di Maometto per prendere il suo cuore e purificarlo.[4] Dante usa questa immagine secondo la logica del contrappasso, decontestualizzando sì ma senza una presa in giro accostabile a quella di una vignetta, c’è un fine morale alto: l’azione di Maometto divise la comunità dei fedeli con odio e guerre, come ora il suo corpo è spezzato, e secondo Dante davanti a tutto ciò occorreva negare l’idea di purezza espressa nell’originale racconto islamico. Rimuovere il nome di Maometto ostacola un incontro pieno con l’alterità storica di Dante in tutta la sua complessità, e così viene meno la possibilità di comprendere e allontanare i pregiudizi. Non si pensa certo di educare i ragazzi a condannare Maometto, ma a capire e indagare come funziona il testo di Dante, perché Maometto ha lì un certo ruolo, cosa significava allora, e non oggi. Se non riusciamo a confrontarci con l’alterità storica per come essa è, nemmeno nel caso di un autore come Dante, non saremo mai in grado di confrontarci serenamente e autenticamente con le culture altre che incontriamo nel nostro presente.
Note
[1] Consultare il sito internet dell’organizzazione: http://www.gherush92.com/home_it.asp. Per lo specifico dei loro interventi su Dante: http://www.gherush92.com/news_it.asp?tipo=A&id=2985 e http://www.gherush92.com/news_it.asp?tipo=A&id=3076.
[2] M. Alloni e C. Magris, Je suis Charlie?, in Alloni-Magris, Comportati come se fossi felice, Aliberti Compagnia Editoriale, Cavriago (RE), 2016, pp. 69-77, in particolare p. 74
[3] M. Corti, La Commedia di Dante e l’oltretomba islamico, in Ead., Scritti su Cavalcanti e Dante, Einaudi, Torino, 2002, pp. 365-379.
[4] Cfr.: M. Corti e K. M. Hall, Dante and Islamic Culture, in «Dante Studies, with the Annual Report of the Dante Society», 2007, No. 125 “Dante and Islam”, pp. 57-75 K. Mallette, Muhammad in Hell, in «Dante Studies, with the Annual Report of the Dante Society», 2007, No. 125 “Dante and Islam”, pp. 207-224
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