20 ottobre 2021

NON DIRE GATTO SE NON CE L'HAI NEL SACCO

 

Riprendo stamattina un bel pezzo dell'amico Mario Pintacuda che mette in guardia tutti coloro che cantano vittoria troppo presto...(fv)

Un noto proverbio popolare dice: “Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”. Il detto deriva dall’intuitiva constatazione che afferrare un gatto, felino agile e veloce, e infilarlo in un sacco non è facile per niente; quindi è inutile dire di averlo acchiappato prima di averlo fatto veramente.

Non manca, secondo alcuni, una possibile spiegazione storica del motto: negli anni 1378-1381, durante l’assedio di Chioggia da parte della Repubblica di Genova, i liguri avevano reclutato molti uomini della famiglia Fieschi, il cui simbolo araldico era il Gatto. Ora, il grido di guerra dei Fieschi era per l’appunto “Gatto! Gatto! Gatto!”; ma durante l’assedio evitarono di gridare “Gatto” finché la città non fu presa; e da qui sarebbe nato il detto.

Non mancano ulteriori varianti diversamente zoologiche, anche all’estero: “Non vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso”, “Don’t count your chickens before they are hatched!” (“non contare i tuoi polli prima che si siano schiuse le uova”).

Qualunque sia la sua formulazione esatta, il proverbio significa evidentemente che non bisogna cantare vittoria prima che essa sia arrivata e che non bisognerebbe mai parlare troppo presto e avventatamente. Di questo era consapevole persino Giovanni Trapattoni, che alcuni anni fa citò il gatto nel sacco in una famigerata intervista in inglese (rendendolo con un improbabile “No say the cat is in the sac” e suscitando l’ilarità generale).

Completamente all’oscuro del saggio avvertimento popolare sono invece alcuni politici odierni, come è facile vedere confrontando le loro dichiarazioni di qualche tempo fa con i commenti successivi alle recenti elezioni amministrative, che hanno segnato l’indubbio successo del centro-sinistra.

Matteo Salvini poco più di un mese fa profetizzava un trionfo assoluto della sua coalizione nelle principali città italiane («Scommetto un caffè che a Torino si vince e sarà una rivoluzione epocale», 22/09/2021); ora però ha ora dovuto fare marcia indietro, pagare milioni di caffè e ammettere che “gli elettori hanno sempre ragione” (anche quando gli danno torto).

Il leader leghista ha però tentato di minimizzare la bruciante sconfitta elettorale, dichiarando: “i sindaci sono stati eletti dalla minoranza della minoranza”. E fa impressione vedere come Salvini, che ha sempre usato al posto della prima persona singolare la sessantamilionesima persona plurale (anziché “io voglio” dice “gli Italiani vogliono”, anziché “io penso” dice “gli Italiani pensano”, ecc.), si accorga ora che gli elettori cui si rivolgeva da anni nel corso della sua interminabile campagna elettorale sono risultati poi, come il peso sulla Luna, la metà della metà.

Meglio di Salvini non sta Giuseppe Conte, altro velleitario catturatore di gatti, che il giorno 4 ottobre aveva dichiarato: “Questo è il tempo della semina per il M5S; i risultati confermano l'enorme potenzialità del nuovo corso e la prospettiva seria di lavorare con le forze progressiste". Affermazione incauta (come tante altre dell’ex premier), smentita sia dal disastroso raccolto elettorale del Movimento degli Zainetti, sia dall’annuncio che “il M5S a Roma, Torino e Trieste sarà all'opposizione” (bella conferma della “prospettiva seria di lavorare con le forze progressiste”).

In realtà il prof. Conte dovrebbe rileggere queste parole di Plutarco: “Frequente è anche il caso di chi s’è accostato alla vita politica in modo casuale, finendo per trovarsi nella stessa situazione di chi è salito in barca per scuotere il corpo, ma poi, una volta al largo, comincia a soffrire di mal di mare e rimane a scrutare l’orizzonte in preda a nausea ed agitazione, senza poter far altro che restare dov’è e rassegnarsi alle circostanze” (“Consigli politici”, 798 d).

Un’altra che i gatti pensa sempre di averli nel sacco è anche Giorgia Meloni, che - sotto l’effetto della batosta elettorale - ha infatti frugato nel suo sacco in cerca di gatti e ha dichiarato: “Il centrodestra deve mettersi immediatamente al lavoro per ridare un orizzonte, mettere in campo una risposta chiara e coesa di un governo della nazione che sia riconoscibile da subito”. Senonché il gatto della sua “risposta chiara e coesa” deve fare i conti con un sacco bucherellato, cioè con una pseudo-alleanza sempre più zoppa, se si riflette che dei tre partiti che ne fanno parte uno è all’opposizione, uno è al governo totalmente dalla parte di Draghi (con subliminali tentazioni “ursuliane”) e uno è mezzo dentro e mezzo fuori secondo gli umori del suo instabile leader.

A questo punto, vista la situazione, il gatto nel sacco si illudono di averlo i vincitori della recente consultazione, gli esponenti del centro-sinistra, convinti ormai di vedere davanti a sé un’epoca di indubbi successi incontrastati. Ma non andrebbe trascurato il saggio appello alla moderazione rivolto ieri su “Repubblica” da Stefano Cappellini al PD e al centrosinistra, a scanso di trionfalismi eccessivi e frettolosi: “La destra non è ancora sconfitta”. I vincitori sono esortati a non illudersi di avere superato tutte le difficoltà, visto che il lavoro da fare è ancora tanto e visto che gli elettori (o per lo meno i 4 italiani su 10 che vanno a votare) sono umorali quanto mai. Prima delle prossime elezioni ci saranno molti scogli da superare (manovra fiscale, riforme, reddito di cittadinanza, pensioni, green pass, elezione del presidente della repubblica, ecc.); e non si può certo pensare (se è consentito il gioco di parole) che su tutti questi problemi non si abbiano problemi.

Il fatto è che i politici (almeno i politici di corto respiro come sono molti di quelli attuali) “devono” dire alla gente di avere il gatto nel sacco: un leader non può dichiarare in piazza le sue paure, le sue incertezze e le sue preoccupazioni; deve invece fornire un’immagine rassicurante, deve “annunciare” la vittoria come sicura e, se anche dovesse perdere, deve presentare la sconfitta come una vittoria di diverso tipo (es. “abbiamo perso nelle grandi città ma abbiamo vinto in molti centri minori”, “siamo scesi rispetto alle politiche ma siamo saliti rispetto alle precedenti amministrative”, ecc.). Un uomo politico che osasse mettere in piazza i suoi dubbi sarebbe un “perdente” in partenza; e del resto la gente ha memoria così corta che delle dichiarazioni avventate e poi ritrattate o smentite non si accorge e non si ricorda.

Un’ultima considerazione.

Nell’epoca dei gatti insaccati solo a parole, si ha l’impressione che a infilare immancabilmente gatti nel suo sacco sia l’attuale presidente del consiglio che, per dirla con Dante, “sta come torre ferma, che non crolla / già mai la cima per soffiar di venti”: senza dichiarazioni pubbliche, senza esternazioni, senza proclami, senza esposizione nei social, senza un Casalino curatore di vacue immagini, ma con il vantaggio di non dover millantare a tutti i costi gatti elettoralistici nel sacco.

Era l’uovo di Colombo, un leader così. Senofonte, parlando di se stesso, scrive: “Nell’esercito c’era un certo Senofonte, che non era né generale né capitano” (“Anabasi” III 1, 4); ma, come commenta Plutarco, “dato che capiva quel che si doveva fare e aveva l’ardire d’eseguirlo, assunse lui il comando e riuscì a portare in salvo i Greci” (op. cit. 817e). Meglio spedirlo al Quirinale, uno così; hai visto mai che i gatti nel sacco li debba continuare a mettere solo lui?

MARIO PINTACUDA



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