03 ottobre 2021

L' EVAPORAZIONE DEL PADRE SECONDO MARIO PINTACUDA 1 e 2

 


Da tempo sociologi, psicoanalisti e moralisti denunciano la crisi della famiglia tradizionale e, in particolare, la crisi della figura paterna. L'amico Mario Pintacuda, in questo suo articolo, riassume efficacemente lo stato dell'arte sulla questione. (fv)


MARIO PINTACUDA

L’EVAPORAZIONE DEL PADRE


Come è cambiato il ruolo dei padri negli ultimi anni? Quali nuove caratteristiche ha assunto questa figura un tempo così “dominante” nella società odierna? Come si è (o si riesce ad essere) padri oggi?

Alcuni anni fa lo psicanalista varesino Luigi Zoja scriveva così sul “Corriere della Sera”: «L’eclissi della famiglia tradizionale è, in sostanza, scomparsa dei padri: se i padri sono assenti si diventa consapevoli della loro importanza» (19.03.16); sull’argomento Zoja aveva pubblicato già nel 2003 un libro: “Il gesto di Ettore. Preistoria, storia, attualità e scomparsa del padre”.

Zoja fa iniziare la storia del padre dalla fase preistorica “dell’orda”; in questa epoca lontana la graduale differenziazione dei ruoli tra il maschio (dedito alla caccia) e la femmina (occupata nella raccolta e nell’accudimento dei figli) aveva istituito le basi della civiltà familiare. La famiglia era, letteralmente, “focolare”, riunione attorno al fuoco che protegge, chiusura in un interno caldo e accogliente che difendeva dalle minacce dell’esterno; parallelamente, l’uomo che faceva ritorno al focolare domestico non era più semplicemente un maschio predatore, ma un partner e un padre, cioè una persona capace di prendersi delle responsabilità, fra cui l’allevamento e la protezione dei figli.

Tuttavia, come nota Zoja, il rischio di tornare indietro, di regredire alla fase dell’orda, è costante; il processo che ha creato il padre può riproporsi al contrario, facendo “evaporare” il padre. Non a caso, di “evaporazione del padre” parlava già nel 1969 il filosofo francese Jacques Lacan, lamentando il venire meno della funzione educativa del genitore maschio e del suo ruolo di testimone. Negli ultimi decenni, per di più, il conflitto generazionale e l’emancipazione precoce dei figli hanno aggravato la crisi della figura paterna, per cui spesso i padri risultano oggi assenti o, peggio, si ritrovano ad essere più bambini dei propri figli.

Zoja parla di una “rarefazione del padre”, ricordando la frequenza con cui oggi le donne allevano (benissimo) da sole i loro figli; parallelamente avviene la rarefazione del ruolo paterno nella fase (rituale) del passaggio dei figli all’età adulta.

È svanito il mondo “verticale” del passato, dove i padri stavano un gradino sopra e un gradino prima dei figli; è nata invece una società “orizzontale”, incapace però di innescare processi fondati sulla responsabilità. Senza il tradizionale rapporto (anche conflittuale) tra padre e figlio non può esserci crescita, o avviene una crescita anomala; viene a mancare un punto di riferimento fondamentale nel processo di individuazione dell’adolescente, che prima diventava grande negando il padre, ma solo dopo averne sperimentato il ruolo attivo e “incombente”.

Zoja ritiene dunque necessario il ritorno al “gesto di Ettore”, che segna l’istituzione della civiltà, capace di fondare insieme “sia il fiume che l’argine”. Lo psicanalista accenna qui al momento dell’Iliade in cui Ettore va ad abbracciare la moglie Andromaca e il figlio Astianatte sulle mura di Troia, alle porte Scee. Nel momento in cui Ettore si volge verso il figlio per prenderlo dalle braccia della madre, questi scoppia a piangere: l’eroe si accorge che a spaventarlo è l’elmo che indossa e lo toglie (Iliade VI 471-484). Con il suo gesto, Ettore “dialoga” col figlio: togliere l’elmo significa metaforicamente aprirsi alla relazione.

Nell’odierna società “orizzontale”, di cui si parlava prima, il padre non gode più di un’autorevolezza concessa per diritto ereditario tradizionale, ma deve “conquistarsela” sul campo: deve dimostrare, agli occhi del figlio, sia di meritare il suo rispetto, sia di poter svolgere la sua storica funzione di guida verso l’esterno. Al padre “autoritario” deve subentrare il padre “autorevole”.

In un libro del 2013, “Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre”, lo psicanalista milanese Massimo Recalcati osserva che negli ultimi anni si assiste a “una inedita e pressante domanda di padre” che giunge dalle istituzioni e dal mondo civile: «I padri latitano, si sono eclissati o sono divenuti compagni di gioco dei loro figli».

Secondo Recalcati, «l’onda della morte del padre […] conosce nella storia più recente i suoi tornanti fondamentali nelle contestazioni giovanili del 1968 e del 1977. Quest’onda demolisce la figura del padre-padrone, del padre-Dio, del padre che pretende di avere l’ultima parola sul senso della vita, del padre autoritario, del padre del bastone». Tuttavia «il fatto che quella rappresentazione del padre sia tramontata non significa affatto fare a meno del padre».

In questa prospettiva, per Recalcati, Telemaco, il figlio di Ulisse, che resta in attesa del padre per ristabilire la legge a Itaca, suggerisce un nuovo modo di essere figli nell'epoca della morte del padre. Mentre Edipo uccide il Padre, Telemaco è in attesa del suo ritorno: esprime cioè una radicale invocazione del Padre, scaturita dalla presa di coscienza che senza Legge non c'è Senso, non c'è felicità. Dunque «il complesso di Telemaco è un rovesciamento del complesso di Edipo. Edipo viveva il proprio padre come un rivale, come un ostacolo sulla propria strada. Telemaco, invece, coi suoi occhi, guarda il mare, scruta l’orizzonte. Aspetta che la nave di suo padre - che non ha mai conosciuto - ritorni per riportare la Legge nella sua isola dominata dai Proci».

Come afferma Recalcati, «Siamo stati tutti Telemaco».

Siamo tutti figli che attendono l'arrivo di un padre che ristabilisca la legge: solo che i Telemaco di oggi sono diversi dal figlio di Ulisse, non si aspettano in eredità un regno, ma sono figli della crisi, della disoccupazione e dell’individualismo. Conseguentemente, il padre atteso e invocato da Telemaco non potrà essere più il padre padrone, il padre-eroe, il padre-dio: l'epoca del padre come Legge assoluta è finita.

Sarà invece un padre-Testimone, che non proporrà più verità assolute, ma testimonierà con la propria vita e le proprie scelte un Senso possibile, una Legge possibile, una Verità possibile. Come Recalcati dichiarò in un’intervista a “Repubblica” (30.10.2016), «I figli hanno bisogno di testimoni che dicano loro non qual è il senso dell'esistenza, bensì che mostrino attraverso la loro vita che l'esistenza può avere un senso».

In definitiva, un padre oggi deve ripensare il suo ruolo, a cavallo tra due opposti eccessi: essere totalmente assente o, al contrario, diventare un surrogato della presenza femminile (il cosiddetto “mammo”).

Secondo Maurizio Quilici, giornalista e presidente dell’Istituto di Studi sulla Paternità, «L’uomo sta cercando di disegnare una nuova figura di padre, lontano dal padre autoritario di una volta. Lo fa con incertezze ed errori, a volte perdendo di vista certe funzioni di guida e controllo e “maternizzandosi” eccessivamente; ma in compenso scoprendo una dimensione nuova ed affascinante nel rapporto con i figli. Quanto al futuro, difficile dirlo. Credo però che i padri non torneranno indietro e un giorno troveranno il loro equilibrio. E saranno padri migliori: teneri ma non sdolcinati, comprensivi ma non permissivi, autorevoli ma non autoritari».

P.S.: Una curiosità: in Messico l’esclamazione «Qué padre!» significa «Grande! Fantastico! Che meraviglia!» (inglese: “cool!”). La cosa deriverebbe dal fatto che nell’America Latina i conquistadores avevano generato moltissimi figli con le donne indie senza sposarle; quindi dire «Che padre!» equivaleva a meravigliarsi per una cosa desiderata e non avuta.

MARIO PINTACUDA


Commenti al post di Mario ripresi oggi dal suo diario fb:


Mario Franchina

Post molto bello e illuminante per chiarezza divulgativa e solidità d'impianto culturale, nel quale ho intravisto con profonda soddisfazione tanta eco della lunga e stimolante nostra ultima conversazione telefonica, in cui abbiamo toccato tra gli altri anche questo tema, drammaticamente emerso a partire dalla "rivoluzione" del '68 e oggi acceso argomento di dibattito tra gli studiosi di sociologia,di antropologia, di psicologia.

Un forte abbraccio, caro Mario, e tanto desiderio di ritrovarci di presenza, a supporto e conforto del nostro comune desiderio di ricerca e di approfondimento culturale.


Francesca Pepi

Condivido pienamente la tua analisi storica che è perfetta. Io ho avuto un padre autoritario ma che mi ha saputo inculcare , con l" esempio , i valori drlla fam., dell'onesta, della solidarieta" e sono stata fortunata. Adesso la fam.e' cambiata e molti quarantenni riescono ad avere un esemplare rapporto con i figli. Purtroppo sono in minoranza e la nostra società si è " ammalata". Ciao e buona domenica.


Bernardo Puleio

Come sempre splendide e interessantissime le tue osservazioni. Il gesto di Ettore lo ricordo sempre in classe perché è il gesto fondativo dell'idea migliore possibile di paternità e ce la forniscono i greci. il padre che prende in braccio il figlio e che si auspica che il figlio possa essere più forte e migliore di lui: che altro può desiderare un padre se non auspicare la piena realizzazione il perfezionamento dei propri figli? E questo lo compie con grande umiltà e acutezza Ettore pur nella consapevolezza di andare incontro a un destino di morte, da cui per senso di dovere e di lealtà non può non può e non deve sfuggire. Ho letto il libro di Recalcati che non mi convince affatto. Tanto per cominciare Telemaco vive nell'assenza del padre che non ha mai conosciuto. E in luogo del padre interviene fin dal primo libro, con la sua apparizione, svolge una funzione paterna ma direi autoritaria epidittica e profetica, la dea Atena la quale non propone affatto una situazione di riconciliazione tra le generazioni, come secondo Recalcati dovrei bene attenere al complesso di Telemaco, ma propone uno stato di guerra, la soluzione autoritaria in cui figlio in partirà ordini alla madre: non sei più un bambino dice la dea al giovane figlio dell'eroe devi prenderti le tue responsabilità, se tuo padre fosse qui sterminerebbe i proci ( come alla fine crudelmente succederà). Prosegue la dea, se tua madre ha intenzione di risposarsi, perché ancora nelle prime battute non è chiaro che atteggiamento avrà Penelope, cacciala di casa. Il nucleo del ragionamento di Atena che poi condizioberà in tutto e per tutto il comportamento di Telemaco, consiste in questo: la reggia è il luogo del potere, ma il depositario di questo potere è Telemaco non la regina consorte. c'è una una visione patrilinea del potere Assolutamente maschile e se si vuole anche maschilista in cui Penelope non conta nulla e la reggia è la casa pubblica e privata di Ulisse. chi vuole sposare Penelope contrariamente al disegno dei proci non ottiene il potere Perché il potere non viene trasmesso in orizzontale, dal marito alla moglie, ma in linea verticale di padre in figlio. E peraltro se Penelope Si risposasse diventerebbe una nemica potenziale di Telemaco. È una visione chiusa e anche guerrafondaia di difesa del potere in maniera endogamica ristretta. Io non ci vedo nessuna apertura e nessun confronto con l'altro e con le generazioni precedenti ma una trasmissione cieca e assoluta di una visione ristretta. Il figlio che dà ordini alla madre della quale teme un atteggiamento non fedele, non in linea con in linea con il padre non mi pare proprio un esempio di riconciliazione tra le generazioni


  • Francesco Virga

    Bernardo Puleio RECALCATI non ha convinto neppure me. Non mi piace poi la tendenza del nostro tempo a psicoanalizzare tutto dimenticando i rapporti di forza che esistono da tempo tra le classi nella società, che lo stesso Adorno, fin dagli anni sessanta, invitava a tenere presenti nelle sue memorabili "lezioni di sociologia".


  • Mario Pintacuda

    Bernardo Puleio Recalcati fa bene a mio parere a vedere Telemaco come il “simbolo” che rappresenta da millenni, cioè il figlio che cerca il padre, che vive sulla soglia tra un “non più” (il tempo del padre) e un “non ancora” (il suo tempo, come successore del padre e responsabile della casa). In questo, credo abbia assolutamente ragione: non parla infatti di “riconciliazione tra le generazioni” ma dell’attesa del padre e di un confronto fra il padre atteso (e per questo desiderato nella sua mancanza) e il padre che sarà ritrovato (e un abbraccio fra le lacrime suggellerà questa ἀναγνώρισις, questo riconoscimento fra padre e figlio, nella capanna di Eumeo nel XVI libro). Quanto ad Atena, effettivamente nell’episodio che citi fa per Telemaco da “supplente” di Odisseo; infatti, assunte le sembianze di Mente, capo dei Tafi (Od. I 105), quindi con aspetto maschile, guida il giovane efebo a trovare in sé il μένος, cioè la forza necessaria a rivestire il ruolo che gli compete in assenza del padre. Telemaco è alla ricerca del κλέος, della gloria, del quale è privo, perché, prima di lui, ai suoi occhi, ne è privo il padre; una morte gloriosa di Odisseo in terra troiana avrebbe procurato il κλέος anche a lui, che alla guerra non ha preso parte (“Ché della sua morte non avrei tanto strazio, / se tra i compagni fosse caduto, in terra dei Teucri, / […] / tomba gli avrebbero fatto tutti insieme gli Achei, e al figlio gran fama [μέγα κλέος] avrebbe acquistata in futuro” (I 236-240). Mente/Atena esorta allora Telemaco anzitutto a convocare l’assemblea (primo atto “adulto” del giovane che si pone come erede del padre per questa competenza) e poi a recarsi a Pilo da Nestore e a Sparta da Menelao per cercare notizie del padre. Telemaco viene invitato a seguire l’esempio di Oreste, che il suo κλέος se l’è creato da sé (I 208) vendicando l’omicidio di suo padre Agamennone. A questo punto Telemaco ringrazia con parole importanti: “Ospite, queste parole con animo amico le hai dette, / come padre a figliuolo: non le scorderò” (I 307-8); dopo di che esegue puntualmente le prescrizioni dell’ospite/padre supplente. Come si vede, il “bisogno di padre” di Telemaco è evidenziato persino nelle sue scelte lessicali. In definitiva, è senz’altro condivisibile la tua riflessione sull’ottica patrilineare, maschilista, aristocratica della società arcaica omerica (una società, peraltro, in cui la donna aveva ancora un ruolo importante, più che nella Grecia classica); in tale ottica ci può stare che Telemaco dia ordini alla madre e che la madre li accetti (e non malvolentieri). È innegabile però che Telemaco abbia autentica e pressante “fame di padre”, come emerge da innumerevoli passi, autorizzando (anche negli autori successivi) la sua assunzione simbolica a modello di “figlio” nonché i confronti con Edipo (che il padre, sia pure inconsapevolmente, lo uccide) ed Oreste (che vendica il padre uccidendone l’assassino Egisto; qui ancora non si parla del matricidio).


  • Mario Pintacuda

  • Francesco Virga Per me ben venga la tendenza a "psicoanalizzare" tutto, sia in questo campo mitologico (non a caso con Karin Guccione all'Umberto abbiamo curato per anni un corso di Mitopsicologia seguitissimo dagli alunni), sia - perché no - in campo politico, dove proprio le deviazioni "schizofreniche" di oggi dai concetti tradizionali di centro, sinistra, destra hanno portato al "minestrone" governativo di oggi.



Karin Guccione

Francesco Virga non condivido la crítica alla “tendenza a psicoanalizzare”. Forse il termine é poco adatto... se il termine fosse “psicologizzare”, adottando una prospettiva che focalizzi gli elementi psichici che animano gli individui e la società, sarebbe più idoneo. Non si può leggere nessuna dinamica sociale o individuale senza questo focus. Lo sapevano bene gli antichi greci e dovremmo ricordarlo noi.


Francesco Virga

Karin Guccione forse hai ragione. E, in effetti, Adorno, prima ancora della psicoanalisi, criticava la psicologia...


Karin Guccione

Francesco Virga opinioni

Bernardo Puleio

La situazione di Telemaco a me pare molto più complessa e non facilmente etichettabile rispetto a quello che dichiara Recalcati Telemaco sarebbe l'anti-edipo nel senso della riconciliazione verso il padre che peraltro non ha mai conosciuto. libro primo versi 249-51 nel dialogo con Atena così si esprime il figlio verso la madre: " lei non rifiuta le odiose nozze e non è capace di portare a compimento; e intanto questi distruggono mangiando la mia casa; e presto sbraneranno Anche a me". C'è un conflitto irrisolto. La proiezione verso il padre è un fatto di potere maschile all'interno dell' Oikos. Telemaco, Rivolgendosi alle Ancelle e alla madre così dichiara v. 359: "mio qui il potere è in casa". Kratos, potere è legato a forza menos e coraggio. . C'è qualcosa di edipico e di irrisolto Quando, dichiarato I, versi 365-6 che i pretendenti rumoreggiavano mentre ognuno aveva il desiderio di stendersi accanto a Penelope, Telemaco si alza nell'assemblea impartisce ordini ai pretendenti. Nel terzo libro Telemaco si trova a Pilo dove Nestore gli racconta le vicende di Oreste che ha ucciso Clitennestra. Telemaco reputa che la sua condizione sia simile a quella di Oreste ma dichiara di non avere la stessa forza (dynamis) dell'eroe il figlio di Agamennone e si augura che gli dei gliela diano (v. 205).Il conflitto edipico continua in maniera evidente.

Ancora nell'XI libro quando Odisseo scende nell'ade e incontra Agamennone conflitto maschile femminile è talmente evidente, vengono raccontate da Agamennone storie di donne perfide, le donne vengono generalmente catalogate come perfide e Agamennone pur elogiando la saggezza di Penelope mette in guardia, versi 441-1 60, Ulisse: l'eroe non dovrà fidarsi di Penelope. Tutta la casa di Ulisse ruota attorno al conflitto sessuale alla seduzione possibile di Penelope e quindi al ruolo tra maschile e femminile di forte antagonismo sulla base del controllo sessuale e del potere.

Ancora nel sedicesimo libro viene ricordato, verso 126 Penelope non rifiuta le nozze e non ha il coraggio di compierle Odisseo quindi si fa riconoscere dal figlio. Legame forte è quello maschile tra padre e figlio.

Vv. 299-306: " altro ti dico e tu serbalo in cuore: se davvero sei mio, se sei del mio sangue, nessuno sappia che Odisseo e dentro casa. Nemmeno Laerte lo sappia, nemmeno il porcaio, nessuno dei Servi e neppure Penelope: ma soli tu e io proviamo La fedeltà delle donne, e ciascuno dei Servi mettiamo alla prova che ci rispetta e ci onora nel cuore"


Mario Pintacuda

Bernardo Puleio Secondo me quello che dice Recalcati è chiarissimo. Attesa del padre assente. Da utilizzare metaforicamente per la situazione odierna. Discorso semplice e calzante. È chiaro che l'analisi approfondita dei testi porta centomila altri stimoli (quelli che citi tu spostano il discorso sul tema maschile/femminile che merita sicuramente attenzione ma qui non incide più di tanto sul perfetto ritrovarsi di padre e figlio).


Bernardo Puleio

A me il cosiddetto complesso di Telemaco non pare un elemento paradigmatico da prendere a modello né per il passato né per il presente. In quel contesto in quella casa c'è un forte conflitto di potere di sessualità e di controllo della sessualità. Il figlio prende il posto del padre e la funzione non è tanto diversa da quella di Edipo come indicato da Recalcati. Poi il bello di questi testi è che non la si finisce più di interpretare e discutere

Mario Franchina

Come i grandi miti antichi, i grandi classici del passato, specialmente latini e greci, sono fonte aurorale inestinguibile per noi inquilini dell'attualità.

In essi stanno le nostre radici di moderni abitatori dell'Occidente.

In essi stabilmente riposano le fondamentali coordinate per le nostre mappe gnoseologiche ed assiologiche.

Essi non smettono mai di dirci ciò che debbono dirci .

Finché sentiremo la necessità insopprimibile di interpellarli, di interrogarli sui nostri problemi, sarà segno che il nostro spessore umano non sarà stato prosciugato dalla pericolosa deriva di questa stanca, perplessa, instabile e sbandata tarda "postmodernità".

"Viviamo come nani sulle spalle di giganti", è stato detto nel medioevo.

È verissimo.

Ma sino a quando pazientemente essi ci sorreggeranno?

O meglio, sino a quando sentiranno il nostro peso sulle loro spalle?

Il rischio è infatti che non ci sentiranno più.

Saremo leggeri, diafani, aerei, trasparenti, svagati e divaganti.

Futili Narcisi, non più tragici Adami.

Vagheggini edonisti, consumatori fatui e compulsivi.

Senza più peso alcuno.

Visconti dimezzati, per dirla con Calvino, arborei baroni rampanti, cavalieri inesistenti.

Inconsistenti.

Senza più peso.

Senza più peso di pensiero.

Senza più pensiero.

E sarà la nostra "leggerezza" , ahimè, tanto ma tanto diversa da quella, meravigliosa, delle "lezioni americane".

Sempre di Calvino.

Bernardo Puleio

Mario Franchina perfettamente d'accordo. Purtroppo dal mondo anglosassone giungono notizie molto pericolose: la cancel culture vuole condannare a morte la cultura classica in università prestigiose Come Princeton. temo che questa marea barbarica giungerà anche da noi. Mi mancano 5 o 6 anni alla pensione: ho avuto il privilegio di studiare al Liceo Classico, di laurearmi in lettere classiche e di insegnare in un liceo classico.




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