06 ottobre 2021

UN INEDITO AUTORITRATTO DI SANTO LOMBINO

 






Siamo cresciuti insieme con Santo. Dalla scuola media in poi non ci siamo mai persi di vista e, anche se non siamo stati sempre d'accordo, abbiamo fatto tante belle cose insieme. L'ultima è stata la rivista NUOVA BUSAMBRA che ha animato il nostro territorio, intorno a Rocca Busambra, dal 2012 al 2014. 

L'inedito che mi ha trasmesso stamattina doveva essere pubblicato da una rivista che ha avuto vita più breve della nostra. C'è tutto Santo in questo ritratto scritto, con la sua consueta ironia, in terza persona per dissimulare il fatto che Nick Pennafredda sia stato proprio lui.  (fv)

RITRATTO DEL MILITANTE DA GIOVANE

Lo chiamarono Nick Pennafredda, perché scriveva su un giornale rivoluzionario senza esaltazioni retoriche e senza moltiplicare i numeri dei partecipanti alle manifestazioni: Ma questo nomignolo arrivò molto avanti nel tempo.

Possiamo cominciare dal 1966. Il nostro giovane proveniva da una famiglia del ceto artigiano di un paese dell’entroterra di Palermo. Finite le medie si iscrisse al liceo classico in un istituto della cosiddetta “Palermo bene” viaggiando ogni giorno con l’autobus, quasi due ore tra andata e ritorno. Si iscrisse a questa scuola su consiglio di uno studente universitario più grande di lui, appartenente alla piccola borghesia del paese, che sadicamente si augurava un impatto duro del Nostro con latino e greco tale da farlo ritornare indietro, magari ad un istituto professionale o al mestiere del padre. Nicola non aveva capito il tranello, che però evitò a sua insaputa.

Il 15 gennaio 1968, si sa, il terremoto sconvolse molti comuni del trapanese e del palermitano. Gli studenti del capoluogo dell’Isola organizzarono allora manifestazioni di solidarietà con le popolazioni colpite dal sisma. I cortei di alcune centinaia di ragazzi si concludevano davanti alla sede della Dc, in via Isidoro Lumia o in via Gaetano Daita, anche se all’inizio lui pensava che l’ultima tappa fosse davanti alla sede della RAI regionale. Invece, il giorno in cui si svolse la “festa delle matricole” e nessuno entrò in classe, il Nostro ruppe il cordone degli universitari all’ingresso della scuola e, con un altro “pendolare”, si presentò alle lezioni della professoressa di Italiano. La quale chiese loro il perché dell’inusuale gesto isolato e ne ebbe chiare risposte nella posizione sociale e ideale dei due, contrari a festeggiare privilegi. L’insegnante chiese perché invece partecipassero ai cortei solidali con gli abitanti del Belice (allora l’accento era sulla prima e) costretti a dormire accampati o in qualche baracca, e lei li fermò: “Voi protestate a fianco di queste famiglie contadine, ma non sapete che i contadini di quei paesi sono abituati al freddo della notte: le loro case hanno tetti pieni di aperture e quindi per loro non è cambiato nulla col terremoto, non soffrono più di prima…”

Tra febbraio e marzo ‘68 si svolse a scuola sulla questione del terremoto una riunione del “nucleo delle sinistre”, un organismo che riuniva tutti gli studenti rivoluzionari del liceo: ricevevano ogni mattina un “pizzino” dattiloscritto e copiato con la carta carbone, con le istruzioni per la giornata. In quella occasione fu data enfaticamente la parola a due suoi militanti che durante il week-end erano stati nella zona terremotata per partecipare ad un incontro o assemblea pubblica organizzata da ex collaboratori di Danilo Dolci come Lorenzo Barbera, Paola Buzzola, Francesco Calcaterra ed altri. Uno dei due riferì quello che aveva sentito e costatato tra i terremotati. Quando si trattò di tirare le somme da quella esperienza sentenziò compunto e sintetico: “Questi compagni del Belice non hanno ancora chiarezza sul giusto rapporto avanguardia-masse”. Nicola rimase stupito e mentre lo ascoltava cercava di seguire in aria o di immaginare quel tremendo trattino che univa “avanguardia” con “masse” e si chiedeva se questo potesse essere l’alto insegnamento che veniva da quelle lotte popolari…

A proposito del “nucleo delle sinistre”, in cui prevalevano i componenti della Lega degli studenti rivoluzionari vicini al Circolo Lenin, ci fu un periodo in cui il Nostro ne fu escluso. Era successo che un compagno aveva detto ai dirigenti che Nicola era stato visto insieme a Pierfranco, suo compagno di classe e simpatizzante missino, entrare ed uscire dalla sede della “Giovane Italia”, gruppo notoriamente di destra. Il Nostro fece presente che la notizia fosse un falso, alla cui base ci doveva essere un malinteso, ma in attesa che il problema venisse risolto, non gli fu permesso di prender parte alle riunioni né di ricevere le comunicazioni mattutine. Quando un dirigente volle, procedette al confronto tra il nostro e quel ragazzo, che escluse di averlo visto in quel luogo e in quella compagnia. La faccenda doveva finire lì, ma qualche settimana dopo il dirigente del “nucleo”, incontrando Nicola gli chiese: “Ma se non eri tu, chi era il compagno di classe con gli occhiali che andava con Pierfranco nella sede fascista?”, cosa che occorreva chiedere all’accusatore piuttosto che all’accusato.

I marciapiedi del liceo videro durissimi scontri tra i compagni e gli squadristi dell’estrema destra, videro il rombare del motore di grossa cilindrata con cui Marcello Sorgi, futuro direttore della “Stampa” di Torino veniva a far visita in pelliccia ad amiche ed amici del liceo, le lacrime di due ragazze, che sembravano sorelle, che arrivavano ogni mattina presto davanti al cancello. Ma quei marciapiedi erano anche sede di animate discussioni. Uno studente dell’”Unione dei marxisti-leninisti” (anche qui un trattino!) all’ingresso o all’uscita diffondeva il giornale “Servire il popolo” e voleva convincere Nicola ad iscriversi alla “grande e giusta Unione”. Le sue obiezioni riguardarono la figura di Stalin, che veniva ritratto nei loro manifesti in bella posa accanto a Marx, Engels, Lenin e Mao-Zedong, che allora non si chiamava così. Lo studente affermò che il grande dirigente sovietico aveva fatto sì alcuni errori, ma che sostanzialmente riteneva grande e positivo il suo operato, mentre il nostro si ostinava a dare un giudizio nel complesso negativo. Non ci fu possibilità di arrivare ad un accordo, anche se forse alla fine si proposero entrambi di approfondire la questione. D’altro canto mai Nicola portò in corteo il “libretto rosso” delle verità assolute, di quel dogmatismo da catechismo cattolico, quel catechismo che per altro lui stava via via abbandonando…

Accadde poi che, per evitare di viaggiare, il Nostro fosse ammesso a dormire in un istituto gestito dai Salesiani, dove ebbe modo di conoscere il mensile “Dimensioni” che pubblicò con entusiasmo ampi estratti della “Lettera ad una professoressa” dei ragazzi di Barbiana e del loro maestro don Milani. Nicola ne rimase particolarmente colpito e preso dall’entusiasmo la studiò e la considerò da allora il suo “libretto rosso”. Mesi dopo, in un paese vicino al suo si organizzò perfino un dibattito in cui da solo ebbe a fronteggiare un nugolo di una ventina di maestre inviperite. In ogni caso, quando sul marciapiedi del liceo qualcuno vendette il settimanale “Lotta continua” che si stampava a Milano, fu conquistato dal linguaggio che vi si usava, lontano dal dottrinarismo e dalle citazioni m-l degli altri organi di stampa similari. Il linguaggio era molto simile, almeno così gli sembrò, a quello della “Lettera” di Barbiana. Cominciò così a cercare a Palermo chi fosse vicino a quelle idee: gli segnalavano un certo Gallovincino (che poi sarebbe diventato Vincino Gallo e infine solo Vincino), ma a parte il suono strano del nome, non riuscì a trovare altro. Poi lo misero in contatto con Matteo C., insegnante di matematica, che gli fece subito simpatia per il suo carattere pacifico. Con la 500 FIAT del professore andarono ad una riunione, anzi un “coordinamento meridionale” che si teneva in Calabra, a Castrovillari, lontana 400 chilometri. Pochi giorni dopo la riunione, a Matteo arriva la telefonata di in compagno che aveva partecipato alla stessa: lo metteva in guardia su Nicola, che poteva essere un infiltrato del Nemico nell’organizzazione. Infatti egli aveva notato che il Nostro indossava un paio di scarpe a punta nere e lucide, senza lacci ma con elastici laterali, tipici delle divise dei carabinieri in alta uniforme. Matteo disse subito che erano timori infondati e proclamò l’innocenza dell’imputato. Nicola dovette riconoscere di avere grave colpa: non si era accorto di avere comprato scarpe da “sbirro”!

L’organizzazione si diede una sede in città e affidò a Nicola, che si era diplomato e iscritto all’Università, e ad un altro compagno, la redazione cittadina e regionale del settimanale prima e del quotidiano poi. Venne in visita in città anche Adriano Sofri, fondatore e leader nazionale, che cercò di convincere molti simpatizzanti a diventare militanti e a spiegare la parola d’ordine lanciata per il Sud: ”Lavoro o no, vogliamo campare”, che però non convinse tutti. Tra quelli non convinti, Felice Cavallaro, futuro giornalista del “Corriere della sera”. Le riunioni si svolgevano sempre in stanze chiuse, con dieci/trenta persone che fumavano tutte, irrorando i polmoni dei pochi malcapitati, come Nicola, che non fumavano.

Arrivarono poi a Palermo in pianta stabile militanti molto conosciuti a livello nazionale, molto bravi, tra cui Mauro Rostagno, Ciro Noja, Clemente Manenti che favorirono il rafforzamento della sede locale. Arrivò anche qualche soldato simpatizzante dei “Proletari in divisa” che poi trovò l’amore a Palermo e vi rimase per il resto della vita. Arrivò un giorno anche Goffredo Fofi, ma chi era in sede, seppure leggeva le sue cose, non lo conosceva in viso e quando bussò non lo riconobbe, quindi non gli aprì la porta. Arrivò una compagna dal Veneto che fece innamorare tutti. Anche gli operai del Cantiere navale, storica azienda con lavoratori molto sindacalizzati, dove lei andava a volantinare con Nicola, Mariano e gli altri ragazzi della lotta continua a mezzogiorno, quando suonava la sirena, e un flusso enorme di persone usciva dal cantiere per andare a prendersi un panino e un bicchiere di zibibbo della pausa pranzo. A questo proposito, un operaio che conosceva i genitori di Nicola fece loro sapere che i dirigenti sindacali e del Pci erano molto arrabbiati con quegli estremisti che davano volantini provocatori e quindi lui e i suoi sodali rischiavano, un giorno o l’altro, di prendere botte, ma sul serio.

“Lotta continua” conquistò a Palermo molte simpatie tra il 1972 e il 1975, erano molti i simpatizzanti nelle scuole e ad un certo punto i suoi dirigenti venivano accolti bene anche in via Caltanissetta, sede del Pci, e alle inaugurazioni delle mostre di Renato Guttuso, come quando si presentò la “Vucciria”. Intanto si svolgeva a livello nazionale la lotta politica interna al movimento, e anche in città vi fu una notte di dibattito in cui un compagno fu accusato di essere di destra perché eccessivamente burocrate e accentratore, mentre Nicola e Sergio ricevettero l’accusa opposta, di non avere polso, di non sapere/volere assumere il ruolo di dirigenti, di non dettare con forza la linea del sorgente partito… Il tutto, attorno ad un tavolo, dalle nove di sera alle sei del mattino, sotto una coltre di nicotina. Fu bellissimo vedere sorgere l’alba in compagnia, assaporare l’aria fresca del nuovo giorno e prendere insieme un cappuccino al bar.

Per farla breve, nel 1974 il sindaco Marchello ebbe la bella idea di raddoppiare il prezzo del biglietto degli autobus cittadini. La mossa scatenò la rabbia degli studenti, quelli dei licei e quelli degli istituti tecnici e professionali, ma anche dell’università, i cui cortei di massa attraversarono contemporaneamente le strade cittadine non per uno o due giorni, ma per l’intera settimana, che fu subito definita in prima pagina “settimana rossa di Palermo”. Il povero Marchello fu bersaglio di diffusi ritornelli scurrili cantati a squarciagola da ragazzi e ragazze. Ma la conclusione della battaglia non fu una vittoria chiara e indiscussa, di quelle che fanno scrivere sui manifesti “La lotta paga!”. Fu una mezza delusione, con un compromesso tra sindacati e Comune. Nicola non sapeva cosa scrivere la sera dell’accordo sull’articolo da inviare alla redazione romana. Già in passato era stato abbastanza freddo nelle cronache, e non aveva mai raddoppiato le cifre dei partecipanti a cortei e assemblee promosse dal movimento. E dire che nelle istruzioni per i redattori che erano state diramate dal centro qualche anno prima si consigliava ai redattori di assaggiare, prima di scrivere, un bel bicchiere di vino rosso per dare ottimismo alle descrizioni e alle narrazioni. Quando qualche giorno dopo scrisse un avviso in sede firmandolo “Nicola”, qualcuno aggiunse sotto, con pennarello blu, “Nick Pennafredda”.

SANTO LOMBINO


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