Il revival del teatro dell’assurdo nell’Italia contemporanea
di Giorgio Mascitelli
Attualmente il dibattito pubblico del paese è saldamente incistato in una situazione nella quale una minoranza definisce liberticida, e dunque espressione di una dittatura sanitaria e di fascismo se non peggio, un provvedimento come il Green pass che agli occhi della maggioranza è la principale garanzia di ritorno alla libertà della circolazione e della abitudini, sospesa da 18 mesi di misure anticovid, la quale maggioranza a sua volta tende a considerare potenzialmente fascista qualsiasi espressione di dissenso della predetta minoranza. Non c’è dubbio che siamo di fronte a una circostanza oggettivamente inedita che sembrerebbe nascere dalla penna di un Ionesco, ma ciò che è occasione per lo scrittore reazionario di provare un aristocratico compiacimento per la propria indipendenza morale dalla follia delle masse e degli uomini in generale diventa, per chi conservi anche solo un vago ricordo dell’importanza della politica, un momento di smarrimento paragonabile a quello di un umarell che uscito di casa per la consueta passeggiata non trovi improvvisamente più nessun cantiere stradale a cui elargire i propri consigli. E tuttavia l’umarell politico vede in questo assurdo qualcosa che il senso di superiorità dello scrittore reazionario non può cogliere ossia la gerarchia nel teatro che si forma tra quegli attori che sono condannati a restare in questa dimensione dell’assurdo e quei pochi che hanno le chiavi per uscirne e calcare una scena decisamente più naturalistica.
A occhio e croce nella situazione presente mi sembra che queste chiavi consistano in una trasformazione della formula del governo tecnico o semitecnico, nato a febbraio per motivi contingenti e transitori, in una formula politica stabile che durerà magari per tutta la durata dell’emergenza e, visto che a un certo punto l’emergenza sanitaria terminerà, lascerà il posto a quella economica, che come è noto, nel neoliberismo è un fenomeno continuativo ed endemico, senza fine possibile. E se qualche estimatore del governo tecnico o semitecnico suggerisse che i suoi oppositori sono gli stessi che per mesi hanno denunciato come tirannico un provvedimento sanitario che per tre quarti dei cittadini è semplicemente quello che ha restituito importanti libertà individuali e messo in sicurezza il paese, e che peraltro il governo stesso ha un evidente interesse politico ed economico a sospendere, non appena le condizioni sanitarie lo consentiranno, renderebbe poco credibile qualsiasi voce critica sull’operato del governo in qualsiasi campo, dopo mesi di grida reciproche sul fascismo.
Si sa che la rivoluzione russa del 1905 prese slancio da un episodio assolutamente secondario: a Mosca ci fu uno sciopero dei tipografi, che all’epoca venivano pagati un tanto a lettera, per ottenere che venissero conteggiati anche i segni di punteggiatura, eppure questa rivendicazione così marginale e settoriale fece divampare l’incendio. La gente ha sempre protestato per motivi minimali, corporativi e talvolta francamente demenziali ( non è che i grandi scrittori reazionari quando denunciano l’assurdità dell’uomo siano dei fessi..) e le grandi parole che leggiamo sui libri di storia quali democrazia, socialismo, uguaglianza di fronte alla legge, autodeterminazione, come matrici delle rivoluzioni o dei movimenti del passato, negli intendimenti di chi li faceva significavano semplicemente la somma di quelle richieste parziali. Eppure il ricorso a queste parole significava anche una capacità di compiere un salto politico, di usare queste parzialità per un disegno generale e non è un caso che oggi una simile parola manchi, dato che nessuno è in grado oggi di compiere un salto del genere.
Eppure, quando tutte le prospettive appaiono chiuse e non sembrano esserci vie di fuga possibili, alcuni, seppur malvolentieri, finiscono lo stesso per rivoltarsi facendo emergere la loro piccolezza e i loro limiti, in definitiva l’incapacità di darsi una progettualità politica. E’ quello che accade in un film come Anche i nani hanno cominciato da piccoli di Werner Herzog, dove in una colonia di nani pesantemente gerarchizzata, i sottoposti si lanciano in una rivolta contro la direzione, approfittando dell’assenza del direttore, dai tratti autolesionistici che ben presto scivola in una festa crudele senza alcuna strategia di lotta. Non che le autorità siano meglio dei rivoltosi a cominciare dal fatto che tutto nell’istituto è costruito e progettato senza tenere conto che debba ospitare dei nani, i quali a loro volta sono palesemente inferiori ai compiti che vorrebbero darsi. A un certo punto risulta chiaro che la situazione è posta su un piano inclinato e che il precipitare in una rivolta senza obiettivo è lo sbocco naturale e inevitabile di una serie di mosse pregresse di ambedue le parti, esattamente come un oggetto posto su un piano inclinato finisce per cadere. Proprio la percezione potente e precisa di questo piano inclinato distingue Herzog da quella serie di scrittori, anche commendevoli, liberali o conservatori abituati a denunciare e a rappresentare la follia e l’incongruenza della massa, quando essa ruba la scena al potere rivoltandosi, come un suo carattere costitutivo e immutabile.
Naturalmente esagero, non è che le cose siano così drammatiche oggi in Italia e poi è oggettivamente difficile accorgersi di essere su un piano inclinato, si pensa sempre di essere impegnati nella discesa o nella salita di una normale altura. E in ogni caso nel film di Herzog alla fine arriva la polizia a riportare ordine nell’istituto.
Articolo ripreso da https://www.nazioneindiana.com/2021/10/24/il-revival-del-teatro-dellassurdo-nellitalia-contemporanea/
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