Collage di Stefania Morgante
“Nel saggio “EREDITA' DISSIPATE. Gramsci Pasolini Sciascia", DIOGENE MULTIMEDIA, Bologna 2022/23 ho dedicato diverse pagine al giovane Gramsci critico teatrale.
"La maschera è la patina superficiale del costume, della moda, dello snob…” scrive Gramsci nella recensione a “La maschera e il volto”, sulle pagine torinesi dell’Avanti!, l’11 aprile 1917.
La commedia di Luigi Chiarelli è
una rivoluzione perché segna la nascita del teatro grottesco. Debutta con uno
strepitoso successo, all’”Argentina” di Roma, il 29 maggio 1916.
Sono preziosi due libri: “Il teatro
in rivolta” di Gigi Livio ( Mursia,1976 ) e “Gramsci e il teatro” di Guido
Davico Bonino ( Einaudi, 1972).
Livio racconta come un geniale
capocomico, Virgilio Talli, fosse consapevole di quella “svolta decisiva nel
cammino della nostra letteratura drammatica”. Davico Bonino traccia il
percorso, le intuizioni di Gramsci critico teatrale. E per Gramsci il lavoro di
Chiarelli e Talli travolge “molte banalità, molti luoghi comuni, molte affermazioni
del senso comune più comune”.
Travolge, per dirla con Livio, “l’eterno triangolo, l’ossessivo “ménage à trois” della commedia naturalistico-borghese”. E così vengono demoliti vecchi schemi, sentimenti insinceri, intrecci rassicuranti in cui il pubblico ama rispecchiarsi. Si affonda “senza pietà il bisturi nella piaga per mettere in bella evidenza la putredine.” Il ribaltamento è completato da Pirandello col “Giuoco delle parti”, in scena a Roma nel dicembre 1918 e a Milano nel febbraio 1919.
1919-2023, più di cent’anni. La questione è la stessa: un linguaggio nuovo per scardinare roba vecchia, ammuffita, magari spacciata per “cambiamento”. Un linguaggio che per Gramsci “è come una campana di cristallo”, che rivela il volto beffardo dietro la maschera ubbidiente.
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